diomede917
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lunedì 4 giugno 2007
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storia di un'ossessione
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Zodiac non è un film su un serial killer, ma sull'ossessione che esso ha rappresentato tanto nei protagonisti della storia quanto nella società americana visto che ha ispirato film come Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo o Bullit.
Un'ossessione che nasce nel Luglio del 1969 e che prosegue fino ai giorni nostri coinvolgendo a turno il poliziotto a cui hanno affidato il caso, il giornalista che sfida il killer e infine il vignettista del San Francisco Chronicle dove venivano inviate le lettere di sfida del Serial Killer.
La chiave di lettura che ha dato Fincher nel realizzare il film è stata quella di rimare inchiodato negli anni 70 sia nell'ambientazione che nella narrazione. Il film è molto parlato e per molti versi ricorda Tutti gli uomini del presidnete e poggia tutto sulla bravura dei suoi interpreti che portano sulle loro spalle e sulle loro facce questo orribile ossesione.
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Zodiac non è un film su un serial killer, ma sull'ossessione che esso ha rappresentato tanto nei protagonisti della storia quanto nella società americana visto che ha ispirato film come Ispettore Callaghan il caso Scorpio è tuo o Bullit.
Un'ossessione che nasce nel Luglio del 1969 e che prosegue fino ai giorni nostri coinvolgendo a turno il poliziotto a cui hanno affidato il caso, il giornalista che sfida il killer e infine il vignettista del San Francisco Chronicle dove venivano inviate le lettere di sfida del Serial Killer.
La chiave di lettura che ha dato Fincher nel realizzare il film è stata quella di rimare inchiodato negli anni 70 sia nell'ambientazione che nella narrazione. Il film è molto parlato e per molti versi ricorda Tutti gli uomini del presidnete e poggia tutto sulla bravura dei suoi interpreti che portano sulle loro spalle e sulle loro facce questo orribile ossesione. Farei una segnalazione particolare per Mark Ruffalo che ci regala un poliziotto tipico anni '70 un magnifico perdente che sembra uscito da Il braccio violento della legge.
Nonostante Fincher si è dato un freno registico a vantaggio della sceneggiatura vi è da segnalare comunque le inquietanti esecuzioni di Zodiac quella di apertura su tutte e soprattutto la discesa nello scantinato del proiezionista DA BRIVIDI!!!!
Voto un bel 8,5
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mystic
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venerdì 22 febbraio 2013
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zodiac, in fondo, è soltanto un ottimo film
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Ultimamente e sempre più spesso il nome di David Fincher è stato associato a Il curioso caso di Benjamin Button, film che, ad onor del vero, ha diretto con gusto e personalità, e con cui ha clamorosamente esteso a quasi tutte le età il suo pubblico. In realtà i suoi fan più accaniti (gli amanti di Seven e Fight Club) gradiranno molto di più questo severo ritorno alle origini che le sue romantiche riflessioni sul tempo. Zodiac si muove infatti sulla stessa lunghezza d'onda dei suoi migliori lavori, donando al pubblico un giallo, oscuro quanto basta, basato su una storia vera che per anni ha terrorizzato l'America.
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Ultimamente e sempre più spesso il nome di David Fincher è stato associato a Il curioso caso di Benjamin Button, film che, ad onor del vero, ha diretto con gusto e personalità, e con cui ha clamorosamente esteso a quasi tutte le età il suo pubblico. In realtà i suoi fan più accaniti (gli amanti di Seven e Fight Club) gradiranno molto di più questo severo ritorno alle origini che le sue romantiche riflessioni sul tempo. Zodiac si muove infatti sulla stessa lunghezza d'onda dei suoi migliori lavori, donando al pubblico un giallo, oscuro quanto basta, basato su una storia vera che per anni ha terrorizzato l'America.
Zodiac, pseudonimo terrificante con cui si presenta, è un misterioso omicida che manda lettere con tanto di messaggi cifrati alla redazione del quotidiano San Francesco Chronicle, decifrate puntualmente dal vignettista di Jake Gyllenhaal. Inizia così un'indagine lunga, coinvolgente e assolutamente misteriosa dove tutti i personaggi sembrano poter essere, ognuno in diversi momenti del film, il misterioso assassino. Downey Jr., misterioso e alcolizzato, funziona bene nel confondere le carte in tavola, e Ruffalo interpreta con sincera professionalità un ruolo comunque non difficile. Ma è Fincher a dettare le regole: oscurità e assoluta mancanza di sentimentalismo, il tutto collegato da una potente fotografia.
Molto spesso, nel definire un film, si usano termini ricercati che riassumano l'essenza stessa dell'opera, ma non è questo il caso: Zodiac, in fondo, è soltanto un ottimo film. E, di questi tempi, non è poco.
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valerypto
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domenica 9 novembre 2014
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zodiac era allen
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Dopo film come "Se7en" e "Fight Club" (ma anche "The game") da David Fincher ci si aspetta sempre il thriller sofisticato, quello con un finale a chiave che fino alla fine non ti fa capire chi è il colpevole e, soprattutto, di cosa. Con Zodiac i presupposti erano completamente diversi. La storia infatti è vera, ed è quella del serial killer che tra il 1969 e il 1970 terrorizzò la baia di San Francisco rivendicando pubblicamente ben 13 aggressioni. Un caso che non ha mai visto nessun imputato essere condannato e che quindi per essere raccontata in maniera interessante (capire l'assassino è il gioco per eccellenza dello spettatore di questo genere di film) doveva avere un altro punto di vista, un altro "centro".
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Dopo film come "Se7en" e "Fight Club" (ma anche "The game") da David Fincher ci si aspetta sempre il thriller sofisticato, quello con un finale a chiave che fino alla fine non ti fa capire chi è il colpevole e, soprattutto, di cosa. Con Zodiac i presupposti erano completamente diversi. La storia infatti è vera, ed è quella del serial killer che tra il 1969 e il 1970 terrorizzò la baia di San Francisco rivendicando pubblicamente ben 13 aggressioni. Un caso che non ha mai visto nessun imputato essere condannato e che quindi per essere raccontata in maniera interessante (capire l'assassino è il gioco per eccellenza dello spettatore di questo genere di film) doveva avere un altro punto di vista, un altro "centro".
Fincher lo trova nelle ossessioni di tutti coloro che si impegnarono all'epoca e per oltre venti anni alla ricerca del colpevole. Parte dal romanzo omonimo di Robert Graysmith (nel film interpretato da Jake Gyllenhaal) per farne un film corale sull'impegno e conseguenze che quei tragici eventi ebbero sulla vita non solo delle vittime, ma anche di chi vi si trovò indirettamente invischiato. Un lavoro corale in cui l'assassino è protagonista quanto gli altri personaggi. I suoi omicidi vengono rappresentati, i suoi discorsi riportati grazie ai messaggi che lasciò alla polizia e ai giornali, i suoi pensieri interpretati a voce alta da chi di volta in volta ne aveva interesse. La narrazione è lineare e supportata da opportune didascalie, su luogo e tempo di ogni scena. Attenzione è data, attraverso piccoli, ma interessanti espedienti (si pensi alla costruzione accelerata del grattacielo), al passare del tempo, elemento importantissimo sia ai fini della comprensione del "fallimento" dei detective, che del sacrificio richiesto a chi all'epoca, ebbe senso del dovere.
Seppur a livello globale si possa trovare il tutto non privo di momenti di "stanca", quasi che si stesse assistendo ad un reportage, sempre interessante è notare l'utilizzo di Fincher della macchina da presa. Ogni scena, e di conseguenza tutto il film, appare definito nel suo spazio, aree entro le quali succede sempre qualcosa, senza che "l'azione" scappi altrove. La redazione del Chronicle, la casa di Graysmith, la macchina dei due poliziotti e le case dei presunti assassini. L'esercizio di stile fatto con il precedente Panic room (un film che ha innovato l'uso della computer grafica al cinema) viene finalmente applicato ad una storia vera e propria, creando frammenti di suspance degni dei migliori registi di genere della storia. Le sequenze dedicate agli omicidi, il faccia a faccia nella casa dell'operatore del cinematografo, sono un perfetto connubio di visione e sonoro con destinazione groppo in gola.
Qualcosa a livello di sceneggiatura può scricchiolare: il film è stato montato più volte dopo i test non troppo positivi avuti con il pubblico statunitense alle anteprime. Si fanno accenni a scene non viste, e non tutto appare sempre lineare, ma sono davvero dettagli. Il finale, per esempio, è perfetto e chiude tutto al meglio.
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giuseppe pastore
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domenica 20 maggio 2007
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bentornato mr. fincher
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Cinque anni dopo il passatempo “Panic Room” e soprattutto otto anni dopo “Fight Club”, torna – era ora – David Fincher. Come per la lunga attesa spesa per Tarantino prima di ammirare i suoi due Kill Bill, si può dire, con la pancia ancora piena di uno spettacolo-fiume di oltre due ore e trenta minuti, che ne è valsa la pena. Gli anni di sosta sono serviti a Fincher per smussare gli angoli che impedivano di definirlo regista finalmente “maturo”, una leggera propensione a preferire la forma alla sostanza, un certo maledettismo da copertina che faceva storcere il naso (la seconda parte di “Fight Club”). Muovendosi nel solco del bellissimo “Seven” Fincher torna sul luogo del delitto scegliendo di raccontare una storia che ha segnato le infanzie di molti quaranta-cinquantenni americani, lui compreso.
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Cinque anni dopo il passatempo “Panic Room” e soprattutto otto anni dopo “Fight Club”, torna – era ora – David Fincher. Come per la lunga attesa spesa per Tarantino prima di ammirare i suoi due Kill Bill, si può dire, con la pancia ancora piena di uno spettacolo-fiume di oltre due ore e trenta minuti, che ne è valsa la pena. Gli anni di sosta sono serviti a Fincher per smussare gli angoli che impedivano di definirlo regista finalmente “maturo”, una leggera propensione a preferire la forma alla sostanza, un certo maledettismo da copertina che faceva storcere il naso (la seconda parte di “Fight Club”). Muovendosi nel solco del bellissimo “Seven” Fincher torna sul luogo del delitto scegliendo di raccontare una storia che ha segnato le infanzie di molti quaranta-cinquantenni americani, lui compreso. La caccia cieca, disperata e senza metodo a Zodiac è l’ultima e migliore messa in immagini del suo inestinguibile pessimismo verso le cose del mondo, ma l’allucinante constatazione che si tratta di fatti realmente accaduti (tra le fonti di cui ha disposto Fincher c’è anche il romanzo di Robert Graysmith) sembra messa lì apposta per dargli ragione. Stilisticamente molto diverso dai precedenti lavori di Fincher, è meno notturno e ha un’inquietudine molto più nascosta che sfocia di tanto in tanto in sequenze straordinarie (tutte quelle degli attentati di Zodiac, di tensione inaccettabile); il suo altissimo valore si afferma man mano che ci si fa trascinare nel viluppo e – anche per chi ne conosce il finale – si cerca disperatamente l’appiglio, l’indizio, il ragionamento giusto. Disseminato di false piste e di continui equivoci, termina molte volte e altrettante ricomincia, per un risultato di lunghezza estenuante ma necessaria, un’enormità che difficilmente potrà essere superabile. Notevolissima la cura del dettaglio: è così che si fa un film d’epoca. I tre protagonisti si scambiano sovente i ruoli ed è difficile stabilire chi sia il migliore, anche perché nessuno dei tre ha un ruolo decisivo nella storia, ma sono tre personaggi che si fondono in un’unica, grande, tradizionale figura cinematografica, quella del Detective. Non è ancora arrivata l’estate, ma il 2007 conosce già il suo film.
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aldogu
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mercoledì 12 giugno 2013
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zodiac: l'altra metà di fincher
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Un occhio discreto che suggerisce un punto di vista soggettivo ed emotivamente evidenziato.
Zodiac pone sullo stesso piano due aspetti umanamente realistici:quanto l'essere umano si arrenda di fronte ai propri limiti e quanto possa cercare in tutti i modi di andarci oltre,non per interessi materiali ma in finalità a se stessi e al proprio ego (quest'ultimo concetto ben espresso dal personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal).
Tutto ruota neanche intorno al delitto stesso come avviene in Seven quanto nelle circostanze emotive di chi ,un po' per esigenze professionali e chi per orgoglio o semplice curiosità ne è coinvolto.
Un Fincher un po' piu realistico rispetto ai tempi di Mulholland drive ma sempre differenziato dalla massa per i suoi thriller, in cui spicca sempre una certa nota di sarcasmo( personalmente incuriosita dal modo ironico in cui tende a sottolineare il sistema poliziesco di fine anni Sessanta,adesso denominato forse primitivo,grazie all'assenza di fax,e sistemi di indagine molto meno tecnologicamente avanzati di oggi) e ricco di dialoghi,forse a volte un po' lunghi, ma che rendono pesante un atmosfera che sicuramente ,trasmette allo spettatore la stessa pesantezza in cui è stato realmente affrontato il caso di Zodiac.
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Un occhio discreto che suggerisce un punto di vista soggettivo ed emotivamente evidenziato.
Zodiac pone sullo stesso piano due aspetti umanamente realistici:quanto l'essere umano si arrenda di fronte ai propri limiti e quanto possa cercare in tutti i modi di andarci oltre,non per interessi materiali ma in finalità a se stessi e al proprio ego (quest'ultimo concetto ben espresso dal personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal).
Tutto ruota neanche intorno al delitto stesso come avviene in Seven quanto nelle circostanze emotive di chi ,un po' per esigenze professionali e chi per orgoglio o semplice curiosità ne è coinvolto.
Un Fincher un po' piu realistico rispetto ai tempi di Mulholland drive ma sempre differenziato dalla massa per i suoi thriller, in cui spicca sempre una certa nota di sarcasmo( personalmente incuriosita dal modo ironico in cui tende a sottolineare il sistema poliziesco di fine anni Sessanta,adesso denominato forse primitivo,grazie all'assenza di fax,e sistemi di indagine molto meno tecnologicamente avanzati di oggi) e ricco di dialoghi,forse a volte un po' lunghi, ma che rendono pesante un atmosfera che sicuramente ,trasmette allo spettatore la stessa pesantezza in cui è stato realmente affrontato il caso di Zodiac.
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nicolò
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venerdì 25 maggio 2007
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ispirato a una storia vera, un film che è già cult
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Decisamente un'ottima prova. Eppure Fincher è un regista dall'itinerario diviso fra alti e bassi, fra un sequel deludente e dalla lavorazione travagliata come "Alien3" e quel capolavoro che è "Seven", thriller con Brad Pitt e Morgan Freeman su un serial killer - interpretato da Kevin Spacey - che s'ispira ai sette peccati capitali. Con "Zodiac" torna a raccontare di un serial killer, seguendo la meccanica del thriller e del polar d'azione ma con un taglio decisamente documentaristico, intento più a ricostruire gli avvenimenti realmente accaduti piuttosto che a far inutile, ma comunque efficace, sensazionalismo. La bravura degli interpreti e di Fincher dietro la macchina da presa è fuori discussione, e "Zodiac" è più di un semplice thriller: il regista non cerca il guadagno facile, cercando di attirare il tipico pubblico da multiplex, soltanto ricostruisce fatti di cronaca nera scanditi in 158 minuti che, a dir la verità, poco si sentono, perché l'azione scorre e il ritmo non è rallentato.
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Decisamente un'ottima prova. Eppure Fincher è un regista dall'itinerario diviso fra alti e bassi, fra un sequel deludente e dalla lavorazione travagliata come "Alien3" e quel capolavoro che è "Seven", thriller con Brad Pitt e Morgan Freeman su un serial killer - interpretato da Kevin Spacey - che s'ispira ai sette peccati capitali. Con "Zodiac" torna a raccontare di un serial killer, seguendo la meccanica del thriller e del polar d'azione ma con un taglio decisamente documentaristico, intento più a ricostruire gli avvenimenti realmente accaduti piuttosto che a far inutile, ma comunque efficace, sensazionalismo. La bravura degli interpreti e di Fincher dietro la macchina da presa è fuori discussione, e "Zodiac" è più di un semplice thriller: il regista non cerca il guadagno facile, cercando di attirare il tipico pubblico da multiplex, soltanto ricostruisce fatti di cronaca nera scanditi in 158 minuti che, a dir la verità, poco si sentono, perché l'azione scorre e il ritmo non è rallentato. Una standing ovation meritatissima a Jake Gyllenhall che, dopo la prova del cowboy omosessuale de "I segreti di Brokeback Mountain", dimostra di avere tutte le caratteristiche che il pubblico gli ha riconosciuto nell'ormai diventato cult "Donnie Darko".
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cormac mccarthy
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domenica 15 febbraio 2009
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"zodiac"
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Scrivendo un'opinione per l'ultimo Fincher, ho osato definire "Zodiac" come film di "culto" per beccarmi subito la risposta pepata di un utente che lo reputava orribile. Vedo che non tutti la pensano allo stesso modo; questo film attrae schiere di estimatori entusiasti e detrattori inferociti. Io faccio parte della prima "corrente", diciamo così. Chiaro che qui non ci sia la geniale ispirazione di "Seven" o il ritratto feroce di una generazione alla deriva di "Fight Club". Eppure è un film ossessivo, che una volta entrato nel meccanismo, è difficile non apprezzare. Durante la visione mi sono sentito coinvolto a tal punto da pensare che se fossi stato parte della storia, mi sarei anche io fatto travolgere dalla compulsione che affligge i personaggi, e quando succede questo, quando il film ti prende a tal punto, i difetti scivolano inevitabilmente in secondo piano.
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Scrivendo un'opinione per l'ultimo Fincher, ho osato definire "Zodiac" come film di "culto" per beccarmi subito la risposta pepata di un utente che lo reputava orribile. Vedo che non tutti la pensano allo stesso modo; questo film attrae schiere di estimatori entusiasti e detrattori inferociti. Io faccio parte della prima "corrente", diciamo così. Chiaro che qui non ci sia la geniale ispirazione di "Seven" o il ritratto feroce di una generazione alla deriva di "Fight Club". Eppure è un film ossessivo, che una volta entrato nel meccanismo, è difficile non apprezzare. Durante la visione mi sono sentito coinvolto a tal punto da pensare che se fossi stato parte della storia, mi sarei anche io fatto travolgere dalla compulsione che affligge i personaggi, e quando succede questo, quando il film ti prende a tal punto, i difetti scivolano inevitabilmente in secondo piano. Un esempio per tutti: quando Robert si trova nella cantina del proiezionista dinanzi al possibile Zodiac, ovvero la personificazione dei suoi fantasmi, la tensione si taglia a fette. A chi muove a "Zodiac" l'accusa di non avere un finale dico che questa è un'affermazione infondata per due motivi: 1) Il vero Zodiac non è mai stato scovato ufficialmente, quindi era inevitabile un finale del genere; 2) Il probabile killer era stato trovato e solo cause naturali ne impedirono un arresto, quindi non è vero che il film resta in sospeso, piuttosto gli manca un finale classico Hollywoodiano, con gli agenti che entrano a tutto spiano e la giustizia che trionfa. Gli attori poi sono bravissimi. Jake Gyllenhall, Robert Downey Jr. ma soprattutto Mark Ruffalo, Anthony Edwards e Brian Cox sono al loro meglio e vederli recitare tutti insieme è un piacere per gli occhi. In definitiva un thriller atipico, antispettacolare, ossessivo, che non ha avuto il successo che secondo me meritava, ma che un giorno forse anche i suoi detrattori guarderanno con occhi diversi.
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isin89
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lunedì 19 gennaio 2015
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fincher magistrale
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Con Zodiac il regista David Fincher firma una delle pellicole più belle e riuscite degli ultimi anni toccando sicuramente uno dei (se non il) picchi più alti della sua intera carriera. Si tratta di un giallo-thriller dalle tinte leggere e colorate che ritrae perfettamente un famoso episodio di cronaca nera che sconvolse la California durante i primissimi anni '70 protraendo le indagini della polizia per più di vent'anni fino a che, a causa di insufficienza di prove, le autorità si videro costrette ad archiviare il caso lasciando irrisolto il mistero sul fantomatico killer conosciuto con il nome di Zodiac.
È un film caldo e vivo dotato di un ritmo piacevolmente scorrevole impregnato della giusta dose di suspense e tensione volta ad animare la narrazione e a conferirgli quel pathos necessario per tenere costante e acceso l'interesse dello spettatore.
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Con Zodiac il regista David Fincher firma una delle pellicole più belle e riuscite degli ultimi anni toccando sicuramente uno dei (se non il) picchi più alti della sua intera carriera. Si tratta di un giallo-thriller dalle tinte leggere e colorate che ritrae perfettamente un famoso episodio di cronaca nera che sconvolse la California durante i primissimi anni '70 protraendo le indagini della polizia per più di vent'anni fino a che, a causa di insufficienza di prove, le autorità si videro costrette ad archiviare il caso lasciando irrisolto il mistero sul fantomatico killer conosciuto con il nome di Zodiac.
È un film caldo e vivo dotato di un ritmo piacevolmente scorrevole impregnato della giusta dose di suspense e tensione volta ad animare la narrazione e a conferirgli quel pathos necessario per tenere costante e acceso l'interesse dello spettatore. L'estetica appare come quella di un comune thriller, con tanto di assassino e poliziotto alle calcagna, ma Fincher gli conferisce quel tocco magico e unico che riesce a dare al tutto una velatura più soft e piacevole in cui la violenza è ridotta a pochissime scene che non danno mai l'impressione di essere fastidiose o ingombranti. Le tinte colorate sono trasmesse da una fotografia quantomai superlativa che riesce a rappresentare decorosamente il passare degli anni conferendo alle varie epoche la giusta corrispondenza di colori e luci in modo da farci addentrare quanto più possibile all'interno del contesto storico degli eventi raccontati. Il passare degli anni viene inoltre percepito grazie ad alcune trovate registiche che permettono di sentire sulla propria pelle il tempo che scorre unito al cambiamento che questo ne comporta (la scena del grattacielo in costruzione è la scena più significativa a riguardo). Oltre che per le luci, il colore è conferito anche dalla messa in scena che propone il nostro Fincher e che in questo caso si distacca notevolmente da molti dei suoi lavori precedenti abituandoci a una diversa fruizione dei personaggi. Come d'incanto veniamo trasportati nei mitici anni '70 dove siamo circondati da macchine e vestiti d'epoca e pettinature eccentriche e particolari (quella dell'ispettore Toschi). I personaggi sono bizzarri e originali, goffi e simpatici ma la cura minuziosa della regia e della sceneggiatura è tale da non farli mai andare sopra le righe mantenendoli sempre fino alla fine entro i limiti delle loro rappresentazioni.
Zodiac è la storia di un killer che non è mai stato arrestato né trovato, se pur le indagini svolte da Robert Graysmith e dalla polizia si avvicinarono di molto alla verità. È una storia per certi versi piatta in quanto essendo priva di una conclusione lascia aperta e irrisolta la strada verso la scoperta della mistero. Dare vita a un film in cui non vi è una vera e propria risoluzione degli eventi e riuscire a intrattenere per quasi tre ore lo spettatore senza mai dare l'idea di essere di troppo è un operazione davvero tosta e complicata. Fincher riesce a mettere in scena un thriller originale e intelligente privo di un apice emozionale e narrativo tipico del genere ma che si caratterizza per lo spessore e l'attenzione rivolta ai suoi personaggi che è tale da venire automaticamente teletrasportati nei loro pensieri.
Il focus è proprio nei personaggi stessi e il loro bisogno di dare una conclusione a quei misteriosi eventi è messo in primo piano diventando così il perno sul quale ruota il film intero. Simpatizziamo e tifiamo per il personaggio interpretato da Jake Gyllenhaal e come lui desideriamo violentemente smantellare ogni nostro dubbio e accertarci una volta per tutte di chi sia l'assassino. Sebbene alla fine del film lo scopriamo, in quanto Gyllenhaal e Ruffalo arrivano alla verità, non riusciremo mai a sentirci definitivamente appagati perché ci rendiamo conto che pur avendolo smascherato non abbiamo le armi necessarie per sconfiggerlo.
Il finale dell'opera è superlativo e da solo varrebbe il film intero. Di anni ne sono trascorsi, siamo ormai all'inizio degli anni '90 e tutti i nostri eroi sono usciti di scena lasciando spazio a un nuovo detective e a un personaggio che, grazie a questa ultima sequenza, si rivelerà di fondamentale importanza. Si tratta della prima persona che appare nel film, il giovane ragazzo che apre le danze e che in seguito sopravvivrà al tentato omicidio da parte di Zodiac. Fincher lo sceglie come risolutore di tutti gli eventi quasi come se fosse la chiave per decifrare l'eterno enigma che ha afflitto la polizia di Vallejo e dintorni per più di vent'anni. Con lui il film comincia e con lui si conclude e in questo senso la trama assume un aspetto circolare perché lì dove era iniziata si conclude sempre con la stessa persona. Bastano poche inquadrature, un breve quanto efficace dialogo e il gioco è fatto. La risoluzione degli eventi effettivamente esiste e il regista decide di metterla in scene a modo suo e materializzarla nel discorso finale di Mike Mageau che riesce a dare giustizia allo spettatore il quale, alla fine del viaggio, arriva finalmente alla meta senza però toccarla ma con la consapevolezza di aver assistito a un esperienza magistrale e quantomai strabiliante.
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fabio 3121
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domenica 17 gennaio 2021
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il caso irrisolto del serial killer "zodiac".
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il film è tratto dai libri di Robert Graysmith dedicati al serial killer "Zodiac" che tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70 si rese autore di alcuni omicidi per poi inviare delle lettere ai giornali di San Francisco in California rivendicando i delitti e allegando dei messaggi cifrati. La sceneggiatura, essendo ispirata a fatti realmente accaduti, è molto corposa e possiamo dire che si articola sostanzialmente in 3 fasi: la prima parte, piena di suspense e tensione, con le scene delle 3 aggressioni (2 delle quali a due coppie di ragazzi - una in auto e l'altra in riva a un lago - dove in entrambi i casi le ragazze muoiono e i ragazzi feriti sopravvivono; la terza vede vittima un tassista).
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il film è tratto dai libri di Robert Graysmith dedicati al serial killer "Zodiac" che tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70 si rese autore di alcuni omicidi per poi inviare delle lettere ai giornali di San Francisco in California rivendicando i delitti e allegando dei messaggi cifrati. La sceneggiatura, essendo ispirata a fatti realmente accaduti, è molto corposa e possiamo dire che si articola sostanzialmente in 3 fasi: la prima parte, piena di suspense e tensione, con le scene delle 3 aggressioni (2 delle quali a due coppie di ragazzi - una in auto e l'altra in riva a un lago - dove in entrambi i casi le ragazze muoiono e i ragazzi feriti sopravvivono; la terza vede vittima un tassista). La parte centrale, un pò troppo lunga e dal ritmo più lento, vede una coppia di detective capitanata da Dave Toschi (Mark Ruffalo) che a partire dal sopralluogo della scena del crimine del tassista iniziano una indagine per scoprire l'identità del serial killer avvalendosi anche dei messaggi contenuti nelle lettere inviate da Zodiac ai quotidiani. Tra questi il giornalista di cronaca nera del "San Francisco Chronicle" Paul Avery (Robert Downey Jr.) scrive diversi articoli sui casi e il vignettista Robert Graysmith (Jake Gyllenhaal), esperto di enigmistica e codici, inizia a covare una vera e propria ossessione sulla identità di Zodiac. Viene pure interrogato il principale indagato - Lee Allen - ma non ci sono prove concrete a suo carico, inoltre le impronte digitali e la calligrafia lo scagioneranno. La terza e ultima parte del film vede Graysmith, nonostante siano passati diversi anni da che Zodiac non scriva più lettere ai giornali e i dipartimenti di polizia ritengano il caso chiuso benchè irrisolto, continua a ricercare tutto il materiale possibile negli archivi di polizia al fine di scrivere un libro sul serial killer. Il finale, amaro, vede nel 1991 il primo ragazzo sopravissuto indicare ad un agente di polizia la foto segnaletica di Lee Allen quale possibile volto di Zodiac. Il regista David Fincher ha sicuramente fatto un bel film cercando con minuzia di particolari di ricostruire l'intera complessa e drammatica vicenda. La scenografia e la fotografia ci riportano in modo convincente alle atmosfere di quegli anni. Un cast di attori di alto livello, anche quelli con piccole parti (vedansi l'esperto di calligrafia Sherwood e l'avvocato Melvin), rendono il film piacevole e interessante. Se proprio si vuole essere critici, il film perde un pò di mordente nella sua lunga parte centrale. Nel complesso, da vedere, voto: 7.
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mark10
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mercoledì 23 maggio 2007
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la lunga notte di zodiac
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Da John Doe a Zodiac. Da Seven all'ultimo film di Fincher sono passati più di dieci anni e, diciamolo subito, la differenza si vede. Si ripropone dunque il cruccio di questo regista di strordinario talento: ogni lavoro partorito dalla sua macchina da presa finisce inevitabilmente per essere paragonato con il suo primo grande successo e, in un modo o nell'altro, ne esce ridimensionato (almeno per quanto fatto finora). Dunque, il confronto, come sempre impietoso: Seven era una capolavoro, la storia di questo killer che terrorizzò San Francisco a cavallo dei '60 e '70 è un onesto film. Non ha nè la potenza estetica nè la verve drammatica del suo predecessore e, sicuramente, paga il difetto più grande imputabile ad un film che, sottigliezze di genere a parte, finisce per inserirsi in ogni caso nel calderone del poliziesco-thriller: l'eccesiva lunghezza.
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Da John Doe a Zodiac. Da Seven all'ultimo film di Fincher sono passati più di dieci anni e, diciamolo subito, la differenza si vede. Si ripropone dunque il cruccio di questo regista di strordinario talento: ogni lavoro partorito dalla sua macchina da presa finisce inevitabilmente per essere paragonato con il suo primo grande successo e, in un modo o nell'altro, ne esce ridimensionato (almeno per quanto fatto finora). Dunque, il confronto, come sempre impietoso: Seven era una capolavoro, la storia di questo killer che terrorizzò San Francisco a cavallo dei '60 e '70 è un onesto film. Non ha nè la potenza estetica nè la verve drammatica del suo predecessore e, sicuramente, paga il difetto più grande imputabile ad un film che, sottigliezze di genere a parte, finisce per inserirsi in ogni caso nel calderone del poliziesco-thriller: l'eccesiva lunghezza.
Messi subito in chiaro gli indiscutibili limiti della pellicola, passiamo a vedere che cosa c'è di buono. Innnanzitutto, è importante non confondere la lunghezza con la noiosità. Il film di Fincher è sì lungo, ma non reca con sè nemmeno un velo di tedio. Questo perchè, pur essendo costellato di dialoghi ben più di quanto non lo sia d'azione, non pecca certo di senso del ritmo. Per chi ricorda certi polizieschi anni '70, ma anche certi film inchiesta (oggi li chiamano docu-drama) dello stesso periodo (mi viene in mente, ad esempio, "Tutti gli uomini del Presidente"), capirà che a livello di plot narrativo siamo da quelle parti: il percorso per risolvere un inghippo senza passare per fiumi di sangue o inseguimenti spericolati, ma con tanti dialoghi, ricerche e metodo induttivo. Per tale ragione, soprattutto, possiamo dire che il film funziona. Fincher non ci appesantisce mai, cerca in ogni modo di dispiegare sullo schermo la notevole mole di indizi, false piste e personaggi che si rincorrono per più di un decennio. Il tutto alla ricerca di una verità che, come sa chi conosce la vicenda, non porterà mai ad una soluzione definitiva e "catartica". Ed è questo il nodo gordiano: la ricerca della verità. Fincher fa un thriller in cui, allo scardinamento delle regole tradizionali, hitchcockiane, si accompagna uno sforzo incessante da parte dei protagonisti di risolvere, di capire, di far luce. Ecco il punto forte del film: uomini, anche molto diversi tra loro, sono legati da un desiderio comune, al quale si dedicano con una operosità ed un'onestà a tratti commovente. Quante volte, nella nostra vita ci adoperiamo in ogni modo per risolvere problemi dificili, irrisolvibili o più grandi di noi, ma lo facciamo lo stesso perchè proprio in questo, nel non fermarsi mai, nel credere in un'idea, sta l'essenza stessa dell'esistenza umana, ciò che davvero ci fa sentire vivi?
Un giornalista problematico, un poliziotto tenace, un vignettista timido: ecco questi uomini. Prestano loro la faccia, nell'ordine, Robert Downey Jr., Mark Ruffalo e Jake Gyllenhal (il migliore, autore di una grande prova, la prima in carriera completamente matura). Vanno, vengono, leggono, si ubriacano, sognano; il tutto sullo sfondo di una San Francisco brumosa, dai colori notturni fortemente impastati e virati sull'arancione. Il digitale di cui si è servito Fincher per filmare la città, a tal proposito, può portare al ricordo della Los Angeles di Michael Mann in Collateral.
Concince ma non avvince, la pellicola di Fincher non lascia certo indiferenti e dimostra, ancora una volta, tanti pregi di un regista di talento.
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