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Non ha fortuna Josephine Hart con le trasposizioni cinematografiche dei suoi peraltro bellissimi ed ipnotici romanzi; Louis Malle non rese merito al primo romanzo dell'autrice, "Il danno", traendone un film che mal sintetizzava la prosa scarna ed avvincente della scrittrice irlandese, e che solo incidentalmente riusciva a restituire il fascino della pagina scritta. Si può dire che è andata peggio con "Ricostruzioni", da cui Roberto Andò ha tratto questo "Viaggio segreto", ed è un peccato, perché l'autore siciliano è regista di grande eleganza ed erudizione letteraria, e dunque da lui era lecito aspettarsi di più e di meglio, soprattutto dopo la buona prova fornita col titolo precedente nella sua filmografia, "Sotto falso nome". I temi cari alla Hart, la dannazione delle memorie familiari, lo sforzo titanico per sopravvivere ai disastri della vita, la morbosità delle relazioni all'interno di nuclei familiari apparentemente normali ma minati nel profondo, vengono affrontati in questa pellicola in maniera a dir poco statica e soporifera; in fin dei conti, etimologicamente cinema vuol dire movimento, ed allora Andò fallisce completamente nella missione di rielaborazione cinematografica della materia, di riscrittura in azione delle parole. La storia devastante della tragedia familiare nella vita dei due fratelli Leo ed Ale, che dopo il dramma hanno trovato nel rapporto simbiotico al limite dell'incestuoso la chiave per poter sopravvivere, è calligraficamente descritta nella pellicola facendo un uso abbondante dei flashback, che appesantiscono il racconto senza mai veramente toccare le corde dell'emotività dello spettatore. In quanto agli attori, sembra che svogliatamente aderiscano al lavoro di scavo psicologico che pure la trama richiede, ed alcune parti, vedasi i provini d'attrice cui si sottopone il personaggio di Ale (Valeria Solarino), risultano inutilmente verbose perché nulla aggiungono alle dinamiche della storia. Non c'è un guizzo che faccia intuire la complessità degli intrecci in gioco, e proprio come avveniva ne "Il danno", tutto è superficialmente centrato sull'insistita nudità esterna, che vorrebbe essere segno visibile del disturbo interiore, ma che sullo schermo purtroppo si traduce solo in una scelta esteticamente facile e banale di rappresentazione dei grovigli dell'anima. E quando alla fine arriva il colpo di scena, è con un senso di liberazione che lo si accoglie, troppo lente le (quasi) due ore per generare un sussulto partecipe. Doveva essere un concentrato di emozioni, ma sopravanza la noia.
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elisa
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mercoledì 13 giugno 2007
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come fate?
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Ma è possibile che per parlare di un'opera in sé e per sé tiriate in ballo altro.è come se Grace Kelly fosse considerata più bella di Ingrid Bergman perché ha gli occhi della Regina Elisabetta (defunta).Sono 3 persone,uniche.
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mrs hide
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lunedì 1 giugno 2009
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la psicoanalisi è terreno scivoloso
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Ringrazio Mavic per il suo commento, che mi trova perfettamente in sintonia. La psicoanalisi è terreno scivoloso e Andò è scivolato di brutto. Leggendo la critica 'ufficiale' sbuffavo. Mi domandavo (e mi domando) come mai tanta 'carineria' verso un film a mio parere veramente sbagliato. Mi stavo addirittura chiedendo se la mia avversione per il tipo di recitazione di Alessio Boni mi facesse velo (purtroppo, dopo il televisivo Cime tempestose mi viene da ridere ogni volta che lo vedo… soffrire). Ho trovato tutti gli altri attori in parte, a cominciare dai bambini, il che non è poco, ma la sceneggiatura non tiene. A tratti è ridondante, come la parte che riguarda la Solarino, come fa notare Mavic, e a volte fa acqua.
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Ringrazio Mavic per il suo commento, che mi trova perfettamente in sintonia. La psicoanalisi è terreno scivoloso e Andò è scivolato di brutto. Leggendo la critica 'ufficiale' sbuffavo. Mi domandavo (e mi domando) come mai tanta 'carineria' verso un film a mio parere veramente sbagliato. Mi stavo addirittura chiedendo se la mia avversione per il tipo di recitazione di Alessio Boni mi facesse velo (purtroppo, dopo il televisivo Cime tempestose mi viene da ridere ogni volta che lo vedo… soffrire). Ho trovato tutti gli altri attori in parte, a cominciare dai bambini, il che non è poco, ma la sceneggiatura non tiene. A tratti è ridondante, come la parte che riguarda la Solarino, come fa notare Mavic, e a volte fa acqua. Da dove sbuca il vecchio padre? E perché mai il figlio gli dice che non lo rivedrà mai più? E nell'economia del racconto cinematografico il fatto che il protagonista non guidi è un disastro. Tanto scorazzare avanti e indietro è noioso e del tutto incongruo. Poco verosimile che un giovane psicoanalista possa, in Italia per lo meno, permettersi di affittare per giorni un autista. Tra svariate banalità c'è stato però un guizzo, una frase "La menzogna quando non è vile è molto più interessante della verità" che per un momento mi è parso potesse risollevare le sorti dell'insieme che invece ha floppato con l'amenità dei figli e padri perduti e un colpo di scena finale telefonato.A differenza di Elisa, apprezzo molto quando si fanno paragoni. Mi aiutano a ricordare e a 'collocare'... Roberto Andò, per esempio. Avevo trovato interessante ma didascalico "Il manoscritto del principe" (che non ricordavo fosse suo). In compenso avevo apprezzato "Sotto falso nome". Anche di questa pellicola non ricordavo il regista. Ora chi se lo scorderà più?
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