Tu chiamami Peter

Lietta Tornabuoni

Il regista inglese Stephen Hopkins decide di dirigere perla Hbo, la televisione a pagamento americana, una cinebiografia di Peter Sellers, protagonista dei “Dottor Stranamore” di Kubrick, di “Oltre il giardino” di Hai Ashby, della divertentissima serie della “Pantera Rosa”, del fantastico “Hollywood Party” di Blake Edwards. Non riesce a ottenere neppure uno spezzone, neanche una citazione né un’immagine delle meravigliose performances di Peter Sellers, uno dei comici più raffinati e irresistibili del Novecento, morto nel 1980 a 54 anni per un attacco di cuore.
Anziché rinunciare all’impresa, il regista sceglie di raccontare soltanto la vita privata del suo protagonista, con un interprete bravo, brutto e scostante come l’australiano Geoffrey Rush. Il risultato è sorprendente: di un divo celebre e molto divertente, la biografia fa un personaggio odioso. Come sa chi l’abbia conosciuto, Peter Sellers era un uomo con molti brutti difetti. Il film li descrive largamente. Sellers dipendeva puerilmente da una madre prepotente e autoritaria. Era preda di crisi di nervi distruttive, durante le quali faceva a pezzi la casa, spaccava i giocattoli del figlio bambino, picchiava le mogli (ne ebbe quattro, le più famose sono interpretate da Emily Watson e Charlize Theron). Odiava tutto quanto faceva. Giudicava il vedere se stesso sullo schermo una delle esperienze più noiose al mondo. Era un donnaiolo compulsivo: la passione non corrisposta e tormentosa per Sophia Loren (Sonia Aquino, perfetta, già vista in “Signora” di Francesco Laudadio), una serie ininterrotta di rapporti con ragazze di passaggio. Ricorreva nell’incertezza a un veggente, lettore di tarocchi ed evocatore di morti. Era insolente, sprezzante verso tutti i suoi registi (Cretini mangiasoldi) tranne Kubrick (massimo rispetto) e Hal Ashby che lo aveva diretto in “Oltre il giardino” tratto da Kosinki. Secco e spietato, “Tu chiamami Peter” risulta quindi sincero, sgradevole, e stranamente fuori del comune.
Da L’Espresso del 25 agosto 2005


di Lietta Tornabuoni,