fabio1957
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lunedì 18 maggio 2015
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strepitoso
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Originalissimo e straordinario film che tiene magneticamente incollati davanti allo schermo, facendoci pensare ma che diavolo sta succedendo?La prima volta che l'ho visto per una buona oretta non riuscivo a capire l'arcano,ma una volta svelato la storia è ancora più irresistibile.Trovata geniale per spiegare l'intrusione pericolosa e nefasta dei reality nella vita di tutti noi.E'una parabola amara ed estrema, ma non tanto, della deriva che sta prendendo la televisione,l'interpretazione di jim Carey subblime.Da vedere e rivedere
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claudio92s
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lunedì 4 maggio 2015
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storia di un non reality show
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"The Truman Show" è un film nel film. I miei studi classici mi riportano alla memoria il cosiddetto metateatro, ovvero l'espediente attraverso il quale all'interno di una finzione ve ne è un'altra come in questo caso il film nel film. La storia di questo giovane 30enne non è nulla di particolare: si sveglia, si veste, saluta il vicinato, compra il giornale e va a lavoro. Ogni giorno per 30 anni (qualcuno in meno visto che da bambino andava a scuola). Presto si accorgerà di come in realtà la sua vita sia solo costruita. Truman capisce che non può fidarsi di nessuno, non ha alcun rapporto, probabilmente non ha neppure alcun sentimento, non verso la madre, non verso la finta moglie, non più verso un padre creduto morto e come nelle più belle trame televisive riapparso dopo anni.
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"The Truman Show" è un film nel film. I miei studi classici mi riportano alla memoria il cosiddetto metateatro, ovvero l'espediente attraverso il quale all'interno di una finzione ve ne è un'altra come in questo caso il film nel film. La storia di questo giovane 30enne non è nulla di particolare: si sveglia, si veste, saluta il vicinato, compra il giornale e va a lavoro. Ogni giorno per 30 anni (qualcuno in meno visto che da bambino andava a scuola). Presto si accorgerà di come in realtà la sua vita sia solo costruita. Truman capisce che non può fidarsi di nessuno, non ha alcun rapporto, probabilmente non ha neppure alcun sentimento, non verso la madre, non verso la finta moglie, non più verso un padre creduto morto e come nelle più belle trame televisive riapparso dopo anni. L'unico sentimento che cova è quello per Silvia, l'unica vera persona in una vita in cui tutti sono attori. Truman, ovviamente, non ci sta e decide di scappare, evadere da questo mondo, in realtà perfetto, costruito a misura per lui.
Questo film fa pensare tantissimo. Durante tutta la pellicola sono stato pervaso da un senso di angoscia perenne; a dire il vero non ne comprendo il motivo, probabilmente soffrivo all'idea di essere nei suoi panni. Una prima riflessione che mi è venuta quasi spontanea è il rapporto con il mondo che ci circonda. Truman non ha problemi effettivamente, la sua vita va bene, il regista del suo show dice bene quando afferma che lì non deve temere nulla, lì è il suo mondo. Eppure preferisce il mondo sbagliato, quello malato (ho visto in lingua originale ed era detto "sick"), quello che noi viviamo nella nostra quotidianità, che vorremmo cambiare e renderlo perfetto come la città in cui Truman ha vissuto per tutta la sua vita. Dall'altra parte un'esistenza finta non è un'esistenza. E' solo una "sussistenza" (concedetemi il termine), specialmente quando ne vieni a conoscenza. Eppure forse anche nel nostro mondo non viviamo per davvero ma è tutto artificiale, costruito. Non come per Truman, nessuno ci spia, ma forse i tempi della nostra vita, il nostro modo di vivere, di agire e anche pensare, talvolta è dettato da un copione che giorno dopo giorno recitiamo, tutti insieme, senza accorgercene, scritto per noi da altri. Per carità niente di complottista nelle mie parole, semplicemente una riflessione in un mondo in cui prevale spesso più quello che gli altri ci impongono piuttosto che quello che noi stessi vorremmo.
Un ultimo spazio lo vorrei lasciare ad una riflessione che non so quanto sia attinente al film, ma io l'ho vissuta così. Il rapporto tra Truman e il regista del suo film è a tutti gli effetti un rapporto Creatore/Creatura. Il regista è il suo Dio, certo senza che Truman lo sappia, ma è lui a regolare la sua vita, lui pianifica qualsiasi sua scelta, lui potrebbe persino decidere quando e come farlo morire. L'idea che qualcuno o qualcosa pianifichi e controlli come un "pupo" la mia vita mi incute molta ansia.
Consiglio il film, a me è piaciuto tanto, mi ha coinvolto, angosciato come ho ripetuto più volte. Merita 4 stelle, forse potrei azzardarne pure 5. E' un 4,5 quindi preferisco il 4 piuttosto che un'eccellenza completa.
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yurigami
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domenica 26 ottobre 2014
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capolavoro indiscusso
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il film più bello di jim carrey, capolavoro, questo film è uno dei pochi che mi ha fatto piangere e mi ha coinvolto al 200%, mi ha fatto provare emozioni vere, mi ha fatto pensare: "e se fossi stato io al suo posto, cosa avrei fatto?" uno dei film migliori di sempre, questo film dovrebbe essere messo in una cassa forte sottoterra in modo che la gente lo veda anche fra 50 anni. Recitazione da urlo, sceneggiatura da urlo, scenografia da urlo. voto 10 e lode.
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gabriele
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mercoledì 25 giugno 2014
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viva la libertà
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È meglio una vita piatta e senza senso, finta e in qualche modo tranquilla come quella di Truman Burbank o è preferibile una vita vera ma incerta e piena di dubbi e ostacoli decisa autonomamente, vita che rincorrono coloro che anelano alla libertà, costi quel che costi? Il senso del film è soprattutto in questo interrogativo. Finora, come dimostra il regista Peter Weir, gran parte dell’umanità ha fatto la prima scelta.
Dalle prime immagini del film si ha una sensazione di affettazione, di estraneazione e di angoscia fobica per Truman Burbank e per il mondoapparentemente perfetto e sereno in cui egli vive.
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È meglio una vita piatta e senza senso, finta e in qualche modo tranquilla come quella di Truman Burbank o è preferibile una vita vera ma incerta e piena di dubbi e ostacoli decisa autonomamente, vita che rincorrono coloro che anelano alla libertà, costi quel che costi? Il senso del film è soprattutto in questo interrogativo. Finora, come dimostra il regista Peter Weir, gran parte dell’umanità ha fatto la prima scelta.
Dalle prime immagini del film si ha una sensazione di affettazione, di estraneazione e di angoscia fobica per Truman Burbank e per il mondoapparentemente perfetto e sereno in cui egli vive. Tale mondo (Seahaven e cioèrifugio di mare, porto tranquillo) è angosciante perché è sempre simile a se stesso. Persone e cose sembrano imbalsamate e quindi immutabili. Man mano che la trama del film si dispiega, il senso d’irrealtà diventa sempre più concreto per essere infine svelato, con tutte le riflessioni sociologiche e innanzitutto psicologiche ed esistenziali che la visione del film suscita.
Truman, a sua insaputa, ha vissuto fin dalla nascita e per trenta lunghi anni della sua vita su un’isola e dentro una cupola (un doppio utero), trasformati in un immenso set, una specie di Disneyland. Ci sono stati diversi registi che, senza saperlo, con il loro intuito di artisti, hanno affrontato il tema della vita prenatale. Alcuni l’hanno proposto in modo drammatico (Tornatore con La leggenda del pianista sull’oceano), altri in modo leggero (S. Spielberg con The Terminal), e altri ancora in modo originale e creativo (Tim Burton con Alice in Wonderland).
Il film The Truman Show si sofferma su tale periodo della vita, così complesso e delicato, inserendolo nel mondo contemporaneo. Ne viene fuori uno straordinario affresco dell’uomo e della società odierna. E sì, perché Truman è ognuno di noi, fintantoché, come lui, non usciamo dall’utero. Truman solo secondariamente è schiavo della televisione e della società, perché all’origine è succube della madre. Siamo Truman e siamo il pubblico che assiste divertito e coinvolto sulle sue vicende. Siamo dentro l’utero (Truman) e fuori dall’utero. Siamo l’osservato e l’osservatore. Così come avviene per Truman, in un primo tempo vissuti del genere risalenti alla vita prenatale sono inconsci e inaccessibili. La madre primordiale che dirige la nostra vita e ci possiede è invisibile, così come Christof è invisibile a Truman fino all’ultimo. Appare solo quando lui ha deciso di stanarla.
Questo film è un’acuta e profonda riflessione sul potere, meglio ancora, sullo strapotere che ha la madre fin dalle origini della vita nel suo seno nel manipolare e usare la vita del figlio per i suoi bisogni, tornaconti e progetti. Oggigiorno sono tante le madri che, come Christof, ambiscono a fare dei loro figli delle star, dei campioni e quant’altro, infischiandosene se i loro desideri contrastano con le peculiarità e i progetti dei figli. Ma il film ci mostra anche quanto potere ha il figlio, se lo assume, per affrancarsi dalle manipolazioni e dai condizionamenti della madre stabilitisi già durante la vita prenatale. Se si escludono delle situazioni rare ed estreme, nessuno può essere completamente soggiogato e vittima di nessuno. Pensarlo è un modo per non assumersi la responsabilità della propria vita.
La particolarità di questo film rispetto agli altri che hanno trattato la vita prenatale, è, appunto, osservare lo strapotere che ha la madre nel dirigere e condizionare la vita del figlio fin dall’inizio della vita e dappertutto. Infatti, il rapporto di coppia di Truman è condizionato dal legame in essere con la madre, tanto è vero che Truman è sposato con una donna che non ama e che fa l’infermiera (un surrogato della madre). Il lavoro e il posto di lavoro Truman non li ha scelti lui e quindi non li ama, dal momento che il suo sogno è di andare alle isole Figi con Lauren, la donna che lui ha scelto e che ama.
Questo film pone il problema della libertà, del libero arbitrio, cioè della capacità di decisione e di scelta che l’essere umano ha dinanzi agli eventi della vita e cioè subirli o darsi da fare per cambiarli, rischiando, laddove è necessario, anche la vita, così come fa Truman.
Ci sono una infinità di indizi, interni ed esterni, che ci indicano qual è la nostra realtà esistenziale più profonda in ogni momento della nostra vita. Possiamo coglierli, come fa ad un certo punto della sua vita Truman (la caduta del riflettore, l’irruzione di Lauren sul set, le interferenze della radio), e darci da fare per uscire dall’utero ed evolvere, oppure possiamo ignorarli con tutti i rischi che l’estraniazione da noi stessi e la stasi della vita comportano.
La libertà non ha prezzo, è il bene più prezioso. Senza libertà c’è preclusa ogni cosa. Ecco perché bisogna lottare per conquistarla e non arrendersi mai. Non bisogna mai barattare o rinunciare alla nostra libertà neanche per tutte le comodità e per tutto l’oro del mondo.
L’uomo non nasce né libero né tantomeno felice, come ingenuamente abbiamo immaginato per secoli. L’una e l’altra possibilità vanno conquistate giorno per giorno.
Christof (la madre) che s’illude di poter soggiogare in eterno la vita del figlio contro la sua volontà, dovrebbe far riflettere, nel senso che nessuno può dominare completamente qualcuno se non ne è complice, tanto è vero che Truman, nonostante tutto quello che ha patito, decide di distaccarsene.
Christof è il dio nascosto (la madre) che non vuole lasciare libero il figlio.
È la madre che rende il figlio pavido e pieno di paure per dominarlo meglio.
È la madre che precocemente inculca nel figlio il timore che il mondo è cattivo e pieno di pericoli per tenerlo legato a sé per sempre.
È la madre che castra il figlio, laddove lui osa contrapporsi al suo potere fallico.
È la madre che addirittura tenta di ucciderlo se lui osa separarsene e lasciarla.
È la madre che, in un ultimo vano tentativo, per tenerlo legato a sé, gli crea confusione e cerca di convincerlo dicendogli che il suo mondo è migliore di quello che c’è là fuori del suo.
È vero che il mondo ordinario non è perfetto, non lo è mai stato e mai lo sarà, ma è il mondo che è necessario attraversare, il passaggio obbligato per chi decide di nascere ed evolvere per poi proiettarsi al di là dello stesso. Viceversa rimanere nell’utero per sempre significa nascere e morire senza essere mai nati.
Per liberarsi della madre primordiale che alberga dentro ognuno di noi, qualunque sia il suo travestimento con la quale ci irretisce e ci attrae a sé (minacce, lusinghe e seduzioni: Christof le prova tutte), è necessario stanarla e rinunciare alla nostra complicità di voler restare attaccati a lei perennemente per le nostre paure, principalmente la paura dell’ignoto e la paura di soffrire ciò che è necessario patire per affrancarsene.
Ogni separazione, qualsiasi separazione, comporta sempre e comunque un dolore da attraversare. Dietro ogni separazione e dolore, quando sono sani, c’è la Vita che si rinnova.
Poi di supporre di non poter vivere senza di lei per una presunta sicurezza che ci può dare. La simbiosi fetale, l’attaccamento a lei in generale, in qualche modo è vero che dà una certa sicurezza, ma il prezzo da pagare è tremendo ed è quello di rinunciare a vivere la nostra vita. Finché stiamo nell’utero, ci illudiamo di essere liberi. Di conseguenza, l’attraversamento della vita prenatale è il passaggio obbligato per diventare persone libere e mature.
Truman ha deciso di varcare la porta che gli permette di uscire dall’utero per andare verso l’ignoto (porta che invece non ha varcato Novecento nel film di Tornatore, perché ha deciso di distruggersi (la scena della passerella, quando sta per sbarcare in America e a metà della stessa torna indietro per saltare in aria insieme alla nave). Al di là di essa non c’è più la vita prestabilita dalla madre e quella preconfezionata da chicchessia, ma c’è la Vita vera, quella degna di essere vissuta. Non solo ma il mondo sotterraneo, quello che esplora Alice nel film sopracitato, se, come lei, lo attraversiamo con coraggio e con saggezza, ci può proiettare in spazi infiniti!
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beppe baiocchi
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mercoledì 12 marzo 2014
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profetico
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Prima di parlare di questo film è importante contestualizzarlo.Siamo nel 1998 i Reality Show iniziano ad essere popolari, ma non c'è ancora stato il boom del Big Brother.
Truman Burbank (Jim Carrey) un trentenne come tutti gli altri vive un esistenza perfetta, in una cittadina perfetta (Seaheaven), ha una bella moglie, un amico del cuore, un bel lavoro da impiegato. Quello che a Truman sembra essere una vita normalissima è invece un Reality Show basato sulla sua persona. Infatti proprio il nostro protagonista è il volto inconsapevole di un programma televisivo, il Truman Show, che dura da ben trent'anni ed è seguito da milioni e milioni di spettatori.
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Prima di parlare di questo film è importante contestualizzarlo.Siamo nel 1998 i Reality Show iniziano ad essere popolari, ma non c'è ancora stato il boom del Big Brother.
Truman Burbank (Jim Carrey) un trentenne come tutti gli altri vive un esistenza perfetta, in una cittadina perfetta (Seaheaven), ha una bella moglie, un amico del cuore, un bel lavoro da impiegato. Quello che a Truman sembra essere una vita normalissima è invece un Reality Show basato sulla sua persona. Infatti proprio il nostro protagonista è il volto inconsapevole di un programma televisivo, il Truman Show, che dura da ben trent'anni ed è seguito da milioni e milioni di spettatori. Una telecamera lo ha seguito già dal grembo materno e lo continua a seguire fino ad ora dove vive la sua tranquilla giornata in un posto finto, popolato da attori e comparse dove l'unica cosa vera è lui. Truman però inizierà a sospettare qualcosa...
La sceneggiatura di Andrew Niccol (Gattaca, Lord of War) è perfetta e in qualche modo profetica. Analizza e mostra il subdolo meccanismo dei Reality Show che di lì a pochissimo avrebbero avuto un gran successo. Si può da spettatore gioire, commuoversi, ridere, piangere di un uomo la cui realtà è finzione? A quanto pare si, ma non per forza questo può essere considerato giusto. Per quanto si possa vivere un sogno, dove tutto sembra perfetto, bisogna avere la lucida consapevolezza che quello non è realtà, non è quella la vita vera, non è niente.
La regia di Peter Weir (Witness - il testimone, L'attimo fuggente) non è nulla di speciale, ma riesce nella sua semplicità a rendere questa sceneggiatura complessa fruibile davvero a tutti. La bellezza di questo film infatti è che anche se i temi sono profondi, comunque analizzabili su diversi piani di lettura, la regia operaia di Weir non rende il tutto ancora più complesso,facendo diventare il film pesante e di nicchia, ma con la sua semplicità un bambino di 6 anni già riesce a comprendere perfettamente ciò che questa pellicola ha da dirci.
Il cast comprende attori rispettabili da Ed Harris a Laura Linney ma a farla da padrone è Jim Carrey (forse nel suo primo ruolo drammatico) che riesce a rendere credibile il tutto, a far trasparire tutte le emozioni, le illusioni e le amarezze con la sua fisicità e con il suo viso molto espressivo. Un film che va visto, un inno al libero arbitrio e una critica al meccanismo delle televisioni che mostrano le gioie e sofferenze delle persone per lucrarci su.
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gigigante
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martedì 5 novembre 2013
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sottovalutazione totale
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Uno dei film più sottovalutati degli ultimi vent'anni.
The Truman Show non sarà un capolavoro epocale o una pietra miliare del cinema, eppure ci colpisce, ci fa riflettere, ci prende dentro. Cos'altro chiedere a un film?
Quando guardiamo The Truman Show non vediamo semplicemente una bella idea cinematografica espressa in una sorta di drammatica commedia; ci vediamo dentro un mondo, o meglio, ce lo apre. Questo bellissimo film infatti ci apre un mondo nuovo che induce alla riflessione su noi stessi e sulle nostre vite attraverso varie metafore: chi siamo realmente? Possiamo considerarci padroni della nostra vita? Chi sono i nostri amici? (..)
La paura dell'ignoto e l'impotenza nel nostro destino è un enorme paura umana che viene legata con maestria da Peter Weir ad uno dei problemi (allora nascente, oggi concerto) di maggior rilievo: IL CRESCENTE MONOPOLIO DELLA TELEVISIONE.
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Uno dei film più sottovalutati degli ultimi vent'anni.
The Truman Show non sarà un capolavoro epocale o una pietra miliare del cinema, eppure ci colpisce, ci fa riflettere, ci prende dentro. Cos'altro chiedere a un film?
Quando guardiamo The Truman Show non vediamo semplicemente una bella idea cinematografica espressa in una sorta di drammatica commedia; ci vediamo dentro un mondo, o meglio, ce lo apre. Questo bellissimo film infatti ci apre un mondo nuovo che induce alla riflessione su noi stessi e sulle nostre vite attraverso varie metafore: chi siamo realmente? Possiamo considerarci padroni della nostra vita? Chi sono i nostri amici? (..)
La paura dell'ignoto e l'impotenza nel nostro destino è un enorme paura umana che viene legata con maestria da Peter Weir ad uno dei problemi (allora nascente, oggi concerto) di maggior rilievo: IL CRESCENTE MONOPOLIO DELLA TELEVISIONE.
Il regista ci mostra la schiavitù e la dipendenza dell'uomo nei confronti della televiosne e, in questo caso, dei suoi reality show. Con una previsione degna di un grande profeta, Weir pare ammonire la società sul pericolo del piccolo schermo, destinato in poco tempo a dominare e a condizionare la vita di ognuno di noi.
Il primo a soffrire di questa inguaribile dipendenza è sicuramente Ed Harris che, accecato dal potere e dai soldi derivanti dalla televisione, finisce per comportarsi come un vero e proprio Tiranno e andando a definire una piacevole figura di "Dio contemporaneo", non più buono e misericordioso ma semplicemente condivisore di valori consumistici.
Il fatto che innervosisce di più è sicuramente la grande prova di Jim Carrey che spinge a chiedersi: "se di talento ne ha perchè si ostina a recitare nelle classiche scemenze americane?"
GIOIELLO DEL CINEMA MODERNO.
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nerazzurro
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lunedì 4 novembre 2013
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una perla del cinema
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Quando un film entra nella lista dei preferiti di uno spettatore l'oscar non serve. Con The truman show, Man on the moon e Eternal sunshine Jim carrey ha dato le migliori interpretazioni della sua carriera. E sicuramete ne darà altre.
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davrick
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mercoledì 14 agosto 2013
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bellissimo film
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bel film niente da dire....
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mystic
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mercoledì 29 maggio 2013
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"truman" è un'anticipazione sui tempi
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Probabilmente il film più originale di Peter Weir, "The Truman Show" è uno dei suoi tanti capolavori.
Qualche anno prima che facebook e i social network conquistassero il consenso di molti di noi, il regista, catturato dall'influenza mediatica che ruota attorno a molte celebrità e dal timore di vivere in una realtà finta (Nolan ha affrontato il problema grazie al mondo di sogni di "Inception"), diresse l'originale storia di Truman, uomo che fin dalla nascita è stato vittima del controllo del "creatore" Christof (Ed Harris) che lo ha fatto protagonista di un reality trasmesso in diretta mondiale 24 ore su 24. Dopo 30 anni di dirette però, lo spettacolo vacilla: Truman inizia a sospettare degli strani atteggiamenti che la moglie ha mentre, discutendo, promuove prodotti e recita slogan a fini commerciali; si imbatte in un set nascosto dove alcune comparse si preparano ad entrare in scena; si accorge che quelle auto non possono essere tutte lì per caso; il comportamento ruffiano dei vicini è decisamente sospetto.
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Probabilmente il film più originale di Peter Weir, "The Truman Show" è uno dei suoi tanti capolavori.
Qualche anno prima che facebook e i social network conquistassero il consenso di molti di noi, il regista, catturato dall'influenza mediatica che ruota attorno a molte celebrità e dal timore di vivere in una realtà finta (Nolan ha affrontato il problema grazie al mondo di sogni di "Inception"), diresse l'originale storia di Truman, uomo che fin dalla nascita è stato vittima del controllo del "creatore" Christof (Ed Harris) che lo ha fatto protagonista di un reality trasmesso in diretta mondiale 24 ore su 24. Dopo 30 anni di dirette però, lo spettacolo vacilla: Truman inizia a sospettare degli strani atteggiamenti che la moglie ha mentre, discutendo, promuove prodotti e recita slogan a fini commerciali; si imbatte in un set nascosto dove alcune comparse si preparano ad entrare in scena; si accorge che quelle auto non possono essere tutte lì per caso; il comportamento ruffiano dei vicini è decisamente sospetto.
Di certo c'è qualcosa di moralmente ambiguo nel comportamento di un pubblico che resta per anni indifferente di fronte all'illusione della libertà di un uomo, ma questa e altre potenziali imprecisioni si perdono nel meraviglioso stile di Weir.
"The Truman Show" è indubbiamente un film meraviglioso, scandito da veri e propri picchi di intensità emotiva. Mai la comicità e il talento di un Jim Carrey in stato di grazia erano stati messi al servizio di un personaggio tanto fragile. L'amicizia col compagno di scuola Marlon (Noah Emmerich) è simile ad un rapporto virtuale, intenso quanto frivolo. Da parte sua invece, Ed Harris dipinge con un tocco di sentimento paterno il suo creatore, utile ad avvisarci che nel mondo reale vigono gli stessi inganni e le stesse illusioni che regolano il mondo di Truman.
Si tratta di un'opera commovente, triste, divertente, il cui finale rimane impresso per giorni. "Truman" è un'anticipazione sui tempi, una visione sci-fi di una realtà simile ad un Grande Fratello di proporzioni hollywoodiane. Più di tutto però, è una parabola sulla libertà con una buona dose di comicità al suo interno, la cui ultima e più significativa domanda è: how is it going to end?
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jacopo b98
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giovedì 2 maggio 2013
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la sceneggiatura perfetta di niccol diventa film
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Truman Burbank (Carrey) è sposato, fa l’impiegato ed è felice. Ha una vita normale, fino a quando non scopre che la sua città, su un’isola, non è che un immenso set televisivo, tutte le persone sono attori pagati per interpretare i loro ruoli, la moglie (Linney), il migliore amico (Emmerich)… È perciò lui l’unica persona reale in questa gigantesca soap-opera che va avanti da poco meno di trent’anni.
L’autore del “più costoso film d’autore di ogni tempo” (80 milioni di dollari) non è il suo regista Weir, quanto lo sceneggiatore, anche autore del soggetto originale, Andrew Niccol, che firma un copione magistrale.
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Truman Burbank (Carrey) è sposato, fa l’impiegato ed è felice. Ha una vita normale, fino a quando non scopre che la sua città, su un’isola, non è che un immenso set televisivo, tutte le persone sono attori pagati per interpretare i loro ruoli, la moglie (Linney), il migliore amico (Emmerich)… È perciò lui l’unica persona reale in questa gigantesca soap-opera che va avanti da poco meno di trent’anni.
L’autore del “più costoso film d’autore di ogni tempo” (80 milioni di dollari) non è il suo regista Weir, quanto lo sceneggiatore, anche autore del soggetto originale, Andrew Niccol, che firma un copione magistrale. È un film memorabile che tocca molti temi, fa ridere, ma anche commuove e nel finale ha fatto persino piangere milioni di persone. Non manca la presa in giro alle soap-opera, dove tutto è insipido e falso, ma qui è diverso: l’intuizione del regista (Harris) è che Truman è reale, perciò spontaneo, e questo alla gente piace perché dà un’idea di realtà, e tutto questo è molto vero, molto divertente e molto inquietante. Non mancano rimandi più colti ed ancora più apocalittici, specie a Orwell (1984): tutto è controllato, la sala controllo muovendo pochi pulsanti può ucciderlo, salvargli la vita, far sorgere il sole o farlo calare… e questo offre spunti di riflessione. Inoltre contribuiscono le scenografie palesemente finte, da sit-com, la colonna sonora scatenata e specialmente Carrey, divertente, imbranato, pasticcione, esagerato, esilerante e assolutamente folle, anche se può venire un dubbio: è Jim Carrey in grado di sostenere un ruolo così complesso, psicologicamente complesso e approfondito? A mio parere sì (anche se alcuni critici non sono d’accordo). Riguardo alla regia di Weir egli si limita a mettere in scena una sceneggiatura perfetta e non mette nulla di suo nel film, tuttavia la sua messa in scena è così buona, gira quasi come un documentario, con pochissime inquadrature “normali”, che gli possiamo anche perdonare una mancata partecipazione più attiva al film nella sua fase di pre-produzione (purtroppo o per fortuna?). Successo mondiale e solo tre candidature all’Oscar, regia, sceneggiatura e attore non protagonista (Harris), nell’anno del trionfo del peggiore Shakespeare in love. Comunque la mancata nomination di Carrey (peraltro premiato ai Golden Globe, dove il film vinse anche per il miglior attore non protagonista [sempre Harris] e miglior colonna sonora, e fu nominato anche per film, regia e sceneggiatura) resta uno scandalo (se non altro trionfò Benigni per La vita è bella). Lasciamo perdere poi la scelta di premiare la sceneggiatura di Tom Stoppard e Marc Norman per Shakesperare in love invece di quella di Niccol. Due battute memorabili: “Buongiorno…e casomai non ci rivedessimo più, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte” e il finale “Allora, cosa guardiamo? Prendi il giornalino TV.”.
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