sergio leone
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martedì 3 luglio 2007
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c'era una volta in america
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Dal romanzo Mano armata (The Hoods, 1983) di Harry Grey (David Aaronson). All'origine dell'ultimo film di Leone (1929-89) c'è il tempo con la sua vertigine. Come struttura narrativa, è un labirinto alla Borges, un giardino dai sentieri incrociati, una nuova confutazione del tempo. La sua vicenda abbraccia un arco di quasi mezzo secolo, diviso in 3 momenti: 1922-23, quando i protagonisti sono ragazzini, angeli dalla faccia sporca alla dura scuola della strada nel Lower East Side di New York; 1932-33, quando sono diventati una banda di giovani gangster; 1968, quando Noodles (R. De Niro), come emergendo dalla nebbia del passato, ritorna a New York alla ricerca del tempo perduto. Se il 1922 e il 1932 sono flashback rispetto al 1968, il 1968 è un flashforward rispetto al 1933: il Noodles anziano è una proiezione di quel che Noodles, allucinato dall'oppio, ha sognato nella fumeria.
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Dal romanzo Mano armata (The Hoods, 1983) di Harry Grey (David Aaronson). All'origine dell'ultimo film di Leone (1929-89) c'è il tempo con la sua vertigine. Come struttura narrativa, è un labirinto alla Borges, un giardino dai sentieri incrociati, una nuova confutazione del tempo. La sua vicenda abbraccia un arco di quasi mezzo secolo, diviso in 3 momenti: 1922-23, quando i protagonisti sono ragazzini, angeli dalla faccia sporca alla dura scuola della strada nel Lower East Side di New York; 1932-33, quando sono diventati una banda di giovani gangster; 1968, quando Noodles (R. De Niro), come emergendo dalla nebbia del passato, ritorna a New York alla ricerca del tempo perduto. Se il 1922 e il 1932 sono flashback rispetto al 1968, il 1968 è un flashforward rispetto al 1933: il Noodles anziano è una proiezione di quel che Noodles, allucinato dall'oppio, ha sognato nella fumeria. Il presente non esiste: è una sfilata di fantasmi nello spazio incantato della memoria. Alle sconnessioni temporali corrispondono le dilatazioni dello spazio: con sapienti incastri tra esterni autentici ed esterni ricostruiti in teatro, Leone accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso l'America metropolitana (e la storia del cinema su quell'America) che è reale e favoloso, archeologico e rituale. Sono spazi dilatati e trasfigurati dalla cinepresa; spazi anche sonori e musicali, riempiti dalla musica di E. Morricone e da motivi famosi: “Amapola”, “Summertime”, “Night and Day”, “Yesterday”. È un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue, paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la pulsione sessuale è legata all'analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. È l'America vista come un mondo di bambini. Piccolo gangster senza gloria, Noodles diventa vero protagonista nell'epilogo quando si rifiuta di uccidere l'ex amico Max. Soltanto allora, ormai vecchio, è diventato uomo. Il produttore Arnon Milchan rimontò e ridusse il film a 2 ore per la versione da distribuire negli USA e fece fiasco. Nel 2003 edito dalla Warner Bros Video in DVD con una nuova colonna sonora in cui la voce di Ferruccio Amendola (per R. De Niro) è stata sostituita da quella di un altro doppiatore.
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[+] grande tra i più grandiosi
(di robertone)
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loewe
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giovedì 30 aprile 2009
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il sorriso piu' enigmatico della storia del cinema
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Quando giungi al termine del film, non ti rendi conto di cosa ti abbia accarezzato, diventi vulnerabile alla bellezza,
sei vinto dagli sguardi che indovini persi di chi ti sta accanto. Ognuno pronto a dire qualcosa, ma subito si tace, poichè, la bellezza sfiora ognuno in modo diverso. Per qualcuno assumerà le sembianze di un dito che lima i contorni di una pasta, per altri solo un gesto, come quello di sollevarsi una sciarpa per poi porla su di un attaccapanni che sembra attenderti, per altri la violenza scarnificta di un gesto insopportabile all'interno di un'auto, per altri un volo di stridenti gabbiani su di una spiaggia. Tutto questo per lasciarci poi soli, all'uscita, smarriti, e inesorabilmente avvinti per la vita.
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Quando giungi al termine del film, non ti rendi conto di cosa ti abbia accarezzato, diventi vulnerabile alla bellezza,
sei vinto dagli sguardi che indovini persi di chi ti sta accanto. Ognuno pronto a dire qualcosa, ma subito si tace, poichè, la bellezza sfiora ognuno in modo diverso. Per qualcuno assumerà le sembianze di un dito che lima i contorni di una pasta, per altri solo un gesto, come quello di sollevarsi una sciarpa per poi porla su di un attaccapanni che sembra attenderti, per altri la violenza scarnificta di un gesto insopportabile all'interno di un'auto, per altri un volo di stridenti gabbiani su di una spiaggia. Tutto questo per lasciarci poi soli, all'uscita, smarriti, e inesorabilmente avvinti per la vita. Ognuno a modo suo ha comunque compreso, che l'arte, è davvero l'eleaborazione dei sogni rifinita ad occhi aperti.
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piccolopanda
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martedì 2 giugno 2009
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sogno, realtà, sorrisi, morte, sesso e ragazzi
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Un film capolavoro, le tre ore e mezza si divorano...
Sergio Leone con questo film ci hafatto un enorme regalo, una storia con molti blocchi che si incastrano con il passare del tempo...
Una musica favolosa di Ennio morricone...
I ragazzi già da giovani, in mezzo alla strada, nelle povertà, violenti e con le loro voglie non cambiano mai, tranno noodles, che matura solo quando ormai è anziano e si rifiuta di uccidere l'amico...
Quel sorriso enigmatico alla fine del film lascia lo spettatore con mille domande...
Il camion con l'amico max alla conclusione della storioa è un'alto enigma, sarà morto?
Insomma un capolavoro del cinema...
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tony montana
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domenica 17 ottobre 2010
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capolavoro del cinema gangster
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Ibrido fra la gangster story classica che ha sempre affascinato il cinema e l’autentico grande affresco epico, C’era una volta in America è il più maturo e controverso dei lavori di Sergio Leone già noto per gli spaghetti western che hanno fatto storia. Nato da un progetto decennale, C’era una volta in America è senz’altro uno dei migliori ( se non il migliore ) dei film sui gangster degli ultimi decenni. Dopo 17 anni di silenzio, Leone torna al cinema con quel film che sarebbe poi stato conosciuto come C’era una volta in America. Il film vede come protagonisti un cast stellare fra cui Robert De Niro nei panni di David Noodles Aaronson; James Woods nel ruolo di Max ed Elizabeth McGovern che interpreta la bella Deborah ( l’interpretazione dello stesso personaggio, adolescente però, è affidata alla giovane Jennifer Connelly ).
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Ibrido fra la gangster story classica che ha sempre affascinato il cinema e l’autentico grande affresco epico, C’era una volta in America è il più maturo e controverso dei lavori di Sergio Leone già noto per gli spaghetti western che hanno fatto storia. Nato da un progetto decennale, C’era una volta in America è senz’altro uno dei migliori ( se non il migliore ) dei film sui gangster degli ultimi decenni. Dopo 17 anni di silenzio, Leone torna al cinema con quel film che sarebbe poi stato conosciuto come C’era una volta in America. Il film vede come protagonisti un cast stellare fra cui Robert De Niro nei panni di David Noodles Aaronson; James Woods nel ruolo di Max ed Elizabeth McGovern che interpreta la bella Deborah ( l’interpretazione dello stesso personaggio, adolescente però, è affidata alla giovane Jennifer Connelly ). Il film è conosciuto soprattutto per la disposizione dei fatti interrotti da flashback che narrano la gioventù dei protagonisti. C’era una volta in America può essere diviso in tre parti: la giovinezza che racconta la storia dei personaggi adolescenti che prima di diventare gangster sono dei teppisti di strada che vivono di furti e piccoli ricatti; la seconda parte che è dedicata alle imprese ( non tanto pulite ) della gang dopo la scarcerazione di Noodles che da ragazzo fu condannato a 10 anni per aver ucciso in una colluttazione, un poliziotto e la terza parte che descrive l’ultimo incontro di Max e Noodles ormai avanti negli anni. L’interpretazione spigolosa e ferocemente maschilista di De Niro non piacque al pubblico femminile, soprattutto nella scena in cui Noodles, violenta Deborah, la donna della sua vita, dopo aver proclamato a lei il suo amore, venendo respinto. Nonostante questo, il film ottenne commenti e recensioni positive venendo premiato con i David di Donatello e i Nastri d’Argento. Grande contributo da parte di Ennio Morricone, che con la colonna sonora struggente e drammatica ha reso questo film, un capolavoro. In America, l’opera di Leone non fu accolta bene perché il produttore accorciò il film della durata complessiva di 3 ore e 40 minuti a 2 ore e 23’, rendendo poi incomprensibile lo sviluppo degli eventi da un flashback all’altro. Nel 2003 il film, in occasione del restauro è stato completamente ridoppiato suscitando le polemiche dei fan. Le voci di Ferruccio Amendola ( De Niro ) e di Sergio Fantoni ( Woods ) furono sostituite da Stefano De Sando per Noodles e Luca Ward per Max. doppiato o ridoppiato, C’era una volta in America resta il miglior film di Sergio Leone, un’opera che coinvolge gli spettatori, nonostante la lunga durata, nelle vicende dei protagonisti, non visti come criminali, ma come eroi del Male, film dall’alto sapore di tragedia, una storia che sfocia nella morte e nel mistero che lascia un solco profondo nell’animo, ma alla fine, Robert De Niro ci rassicura e ci rasserena con un sorriso pacifico, largo, eterno…
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giorpost
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giovedì 23 dicembre 2010
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c' era una volta il cinema
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Stati Uniti, anni 30. In un’ epoca dominata dall’incertezza economica e da gang di varie etnie che spopolano nelle metropoli, Noodles e Max si ritagliano il loro spazio criminoso partendo dal nulla. Cominciano, infatti, dalle minacce a un poliziotto italiano avvezzo alla prostituzione minorile, passando per gli incendi provocati ai commercianti che non vogliono pagare il pizzo.
Nasce così l’ epopea di una banda atipica, fatta di ragazzi ebrei che incorporano il modello giovanile del tempo, ovvero l’essere amanti della buona musica, delle feste di alto borgo, delle fumerie di oppio, penetrati da una sana e lucida follia e dalla forte attrazione erotica per l’altro sesso.
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Stati Uniti, anni 30. In un’ epoca dominata dall’incertezza economica e da gang di varie etnie che spopolano nelle metropoli, Noodles e Max si ritagliano il loro spazio criminoso partendo dal nulla. Cominciano, infatti, dalle minacce a un poliziotto italiano avvezzo alla prostituzione minorile, passando per gli incendi provocati ai commercianti che non vogliono pagare il pizzo.
Nasce così l’ epopea di una banda atipica, fatta di ragazzi ebrei che incorporano il modello giovanile del tempo, ovvero l’essere amanti della buona musica, delle feste di alto borgo, delle fumerie di oppio, penetrati da una sana e lucida follia e dalla forte attrazione erotica per l’altro sesso.
Ma è proprio una donna l’ago della bilancia tra i due protagonisti, colei che avrà nella storia la delicata parte di chi sceglie la stabilità a discapito all’ amore. Solo che per stabilità s’intende l’essersi sposata con la falsa identità di Max che diventerà il senatore Bailey, mentre per amore s’ intende l’ affetto che ha sempre provato per Noodles, il quale però non ha mai saputo tenere a bada la sua indole, il suo essere, una rabbia incontrollata che lo porterà allo stupro vero e proprio della sua amata dopo l’ennesimo rifiuto.
Una storia fatta di flashback, tant’ evvero che il film parte con un Noodles ormai invecchiato, con gli occhi tristi di un uomo che si vede scorrere una vita intera davanti e che non si capacita al cospetto degli innumerevoli fallimenti che ha dovuto affrontare, compresi perdere glia amici e non poter vivere a fianco della donna della sua (alternativa) vita che avrebbe potuto svolgere.
Sergio Leone ci lascia artisticamente con uno dei capolavori assoluti della storia del Cinema, quel Cinema con la C dannatamente maiuscola, quel Cinema romantico fatto di particolari, di scenografie studiate, di arredi, costumi ed auto d’epoca, ambientazioni fedeli al decennio di riferimento, insomma Cinema puro. Il Maestro italiano lascia il genere western per far capire al mondo come si gira un colossal in carne e ossa, insegnandoci come il ponte di Brooklin possa essere fedelmente “gigantografato” a Cinecittà e ripreso con una sensibilità talmente unica da farci stentare a credere che quello non sia il vero mitico ponte newyorkese.
Alla bellezza di questa opera contribuisce in modo determinante Robert De Niro. L’ attore italo-americano in quel periodo della sua carriera non sbaglia una sceneggiatura, ed in questo film ci regala una delle più belle interpretazioni di sempre, fatta di rara intensità, soprattutto nelle scene in cui Noodles è anziano. De Niro conferma la sua maniacale discesa nel profondo del personaggio, stavolta con la sfida della difficile contrapposizione a quella faccia da schiaffi che si ritrova James Woods, ottima spalla.
In una ipotetica classifica dei migliori 10 film della Storia, “C’ era una volta in America” (USA, 1984) non può non essere presente. De Niro e Leone non avrebbero potuto concludere le rispettive carriere senza incontrarsi, senza fondere la loro bravura.
Grazie Cinema, una volta c’eri per davvero
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paolo 67
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lunedì 5 dicembre 2011
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cronaca fantastica del mito americano
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Leone era, secondo l'amico Carlo Verdone, "un'anima divisa in due": da una parte il romano cinico, sornione, dalla battuta tagliente, dall'altra un uomo estremamente sensibile e intelligente, colto e raffinato. In questo suo ultimo splendido capolavoro egli esprime tutto il suo amore per il cinema, il suo gusto per la ricostruzione minuziosa fino al manierismo, sublimando uno stile personalissimo, che dilata liricamente i gesti e gli eventi, anche quelli più truculenti, con una specie di lentezza liturgica in una solennità che sottende anche il senso della morte, un disincanto esistenziale ("Il mondo è diretto dalla violenza, la morale ha perso definitivamente la sua battaglia", ebbe a dire negli ultimi anni).
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Leone era, secondo l'amico Carlo Verdone, "un'anima divisa in due": da una parte il romano cinico, sornione, dalla battuta tagliente, dall'altra un uomo estremamente sensibile e intelligente, colto e raffinato. In questo suo ultimo splendido capolavoro egli esprime tutto il suo amore per il cinema, il suo gusto per la ricostruzione minuziosa fino al manierismo, sublimando uno stile personalissimo, che dilata liricamente i gesti e gli eventi, anche quelli più truculenti, con una specie di lentezza liturgica in una solennità che sottende anche il senso della morte, un disincanto esistenziale ("Il mondo è diretto dalla violenza, la morale ha perso definitivamente la sua battaglia", ebbe a dire negli ultimi anni). Leone racconta la Storia come un sogno, un trip allucinato in una fumeria d'oppio, un labirinto onirico (con alcune date fondamentali) in cui l'America è quella come l'hanno raccontata il cinema e la letteratura. Nella rappresentazione di un'angoscia esistenziale, dell'incapacità del protagonista di mettersi in sintonia coll'esistenza (un Robert De Niro straordinario per tutto il film fino all'ultimo definitivo impenetrabile meraviglioso sorriso) Leone esprime una malinconia, come ha fatto nel resto della sua opera, sul passare del tempo e la scomparsa progressiva dei valori. L'interpretazione di James Wood del nevrotico e tormentato Max è grande, ma eccellente come sempre in Leone è tutto il cast, dalla sensibile Tuesday Weld alla piccola Jennifer Connelly, vera scoperta del film e destinata a una carriera notevole, alla affascinante, espressiva Elizabeth Mc Govern, destinata al successo soprattutto a teatro. Nella versione ridotta e rimontata uscita in America, che annulla la suggestiva architettura a flashback temporali, il film non perde la sua tensione e il suo fascino, segno di una qualità non dovuta ad artifici tecnici -è questa una novità rispetto ai lavori precendenti del regista, che esibivano anche il lavoro di montaggio- ma alla maestria nella trasfigurazione dell'immagine, al gusto della restituzione del reale sentito, amato o sognato con la cura portata alla perfezione di immagini, suoni, rumori, attese, sospensioni come nella scena dove Noodles mescola il caffè, epica e insieme autoironica nella maniera in cui Leone è stato inarrivabile.
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dany_twelve
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sabato 29 dicembre 2012
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appagante! uno dei migliori de niro
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La mia prima recensione, mi farebbe molto piacere un commento.
auguri a tutti
C'era una volta in america
il Western,nell'immaginario del cinema moderno,trova la sua massima raffigurazione nei film degli anni sessanta del maestro romano Sergio Leone.
Ma a nostro avviso, il regista trova l'apice della sua competenza quando nel 1984 gira il capolavoro ''C'era una volta in America''. Il commento piu' banale sul film potrebbe essere:lungo, difficile da comprendere, ma una volta visto l'ambiguo sorriso di Noodles seguito da una toccante aria ancora una volta composta dal grande Morricone,si rimane appagati.
Le chiavi di lettura sono molteplici: l'amicizia, il tradimento,l'ambizione, la violenza,l'amore,l'istinto.
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La mia prima recensione, mi farebbe molto piacere un commento.
auguri a tutti
C'era una volta in america
il Western,nell'immaginario del cinema moderno,trova la sua massima raffigurazione nei film degli anni sessanta del maestro romano Sergio Leone.
Ma a nostro avviso, il regista trova l'apice della sua competenza quando nel 1984 gira il capolavoro ''C'era una volta in America''. Il commento piu' banale sul film potrebbe essere:lungo, difficile da comprendere, ma una volta visto l'ambiguo sorriso di Noodles seguito da una toccante aria ancora una volta composta dal grande Morricone,si rimane appagati.
Le chiavi di lettura sono molteplici: l'amicizia, il tradimento,l'ambizione, la violenza,l'amore,l'istinto...e il pentimento..
Il finale, ad oggi ancora opinabile, è un grande ed attraente espediente del regista.
Un grande attore è tale quando non fa' trasparire una personalita' definita.
O meglio, quando rappresenta l'essere umano in tutte le sue caratteristiche.Nel bene e nel male. DeNiro, con la sua sensibile interpretazione raccoglie questa grande qualita'. In Toro Scatenato di Scorsese, Bob studio' all'estremo per ottenere di immedesimarsi in un personaggio violento ed orgoglioso..sfacciato, ma in questo caso la strada è stata ben piu' ardua.
Le sfaccettature caratteriali sono assai piu numerose.
Un romantico stupratore;un leale ladro;un onesto gangster. Simboli di tutte le debolezze e le virtu' intrinsiche nell'essere umano.
James Wood,all'apice della sua carriera; i competenti giovani attori che interpretano la gang agli arbori; cameo esemplare di Joe Pesci.
Un regista è apprezzabile quando a discapito dell'intrattenimanto e di conseguenza del business, non viola la sua sensibilita' e la sua narrativa. Leone in questo film ne è l'esempio eclatante.
Aneddoto: A chi (tra i produttori de ''il buono il brutto e il cattivo'') osservava che probabilmente non valeva la pena di acquistare costosi orologi da taschino, poco visibili perche' inquadrati per qualche frazione di secondo, il maestro rispondeva con un paradossale ed elegante romanesco: ''aoh!!, non stamo al circo!!,stamo al cinema!!, se vede tutto!!
E poi.. New York, il Brooklin Bridge,la Central Station,il porto, l'edificazione dei grattacieli.Suggestivi negli anni 2000 ma magici negli anni del sogno degli immigrati Americani.
La malavita:Macabra ma pur sempre affascinante.
E per finire le musiche:Yesterday dei Beatles, e ancora una volta Morricone, pioniere,insieme a Kubrick del pericoloso binomio tra musica classica e violenza.
Chiudiamo con le due immagini piu' commoventi del film, a cui vorremmo accostare la purezza presente nei bambini, Patsy che è tentato da un dolce che doveva essere utilizzato come merce di scambio per perdere la sua verginita', e Dominic, che troppo presto paga la sua scelta di entrare nella malavita venendo freddato da un rivale. Le sue ultime parole: ''qualcosa mi ha punto''. Lo sfondo è il famoso scorcio del Brooklin Bridge visto da un vicolo della grande mela, simbolo nell'immaginario comune della coesistenza tra la modernita' e passato.
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alessandro rega
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giovedì 14 febbraio 2013
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il progetto più grande...il sogno che si realizza
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Sergio Leone ha sempre voluto portare a termine questo progetto decennale e ha affrontato tutte le difficoltà che possono presentarsi dal momento in cui si decide di realizzare un film.
Alla fine nel 1984 ci fu C'era una volta in america, una pietra miliare ed uno dei più grandi manifesti del cinema.
Un'opera senza tempo, ma un'opera in cui il tempo occupa un ruolo fondamentale: in questo film il tempo è al centro di tutto, non a caso ci sono tanti salti temporali nella trama e le vicende si svolgono in tanti anni, precisamente dal 1921 al 1968.
Il film (tratto da un romanzo di Harry Grey) ha come punto fermo la storia del protagonista "Noodles" interpretato straordinariamente da Robert De Niro che riesce a dare un caratura (ormai diventata storica) al personaggio.
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Sergio Leone ha sempre voluto portare a termine questo progetto decennale e ha affrontato tutte le difficoltà che possono presentarsi dal momento in cui si decide di realizzare un film.
Alla fine nel 1984 ci fu C'era una volta in america, una pietra miliare ed uno dei più grandi manifesti del cinema.
Un'opera senza tempo, ma un'opera in cui il tempo occupa un ruolo fondamentale: in questo film il tempo è al centro di tutto, non a caso ci sono tanti salti temporali nella trama e le vicende si svolgono in tanti anni, precisamente dal 1921 al 1968.
Il film (tratto da un romanzo di Harry Grey) ha come punto fermo la storia del protagonista "Noodles" interpretato straordinariamente da Robert De Niro che riesce a dare un caratura (ormai diventata storica) al personaggio.
Ma l'interpretazione di De Niro è straordinaria sotto tutti gli aspetti perchè la recitazione che fa in questo film non è facile dovendo recitare in diversi periodi temporali (ovviamente non è lui a recitare nel 1921, quando il personaggio è giovanissimo è stato sostituito dall'attore Scott Schutzman Tiler) ed egli riesce a dare al personaggio sia una presenza fisica e sia un'aspetto psicologico che cambiano leggermente quando è più vecchio ma di entrambi gli aspetti vengono conservati alcuni particolari in tutte le fasce temporali.
A parte la perfezione tecnica del film stesso, conta l'atmosfera che si è creata in questo film, soprattutto grazie ai movimenti straordinari della cinepresa è stato possibile creare un'alone di nostalgia e grazie ad Ennio Morricone che è uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, già in C'era una volta il West aveva creato con le sue musiche un'alone di nostalgia volto a far risaltare il tramonto del west.
Il film è senza ombra di dubbio ben riuscito e le emozioni che lo spettatore prova durante la visione e nelle successive ore ne sono la prova.
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johncor1960
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venerdì 6 gennaio 2017
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un capolavoro come un dipinto su di una tela ..
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Un capolavoro che come un dipinto su di una tela che cela il vero tesoro sotto un opera eseguita a questo scopo.Avevo visto diverse volte questo film ma mai in questa maniera con una cronologia perfetta,e rispondente secondo me ,al volere del regista: un immenso Sergio Leone.Che con questo film mi ha fatto cambiare la graduatoria dei lavori del Regista,con questo film al vertice della classifica.Un film che restutuito alla sua cronologia originaria si srotola come una imagine story con una elaborazione della nostalgia,dei sentimenti come l'amicizia e dell'attaccamento del protagonista a dei valori che anche se dopo quasi 40 anni si sono persi non vuole e non può separarsene.Le atmosfere,le cadenze una pseudo lentezza che fa meglio apprezzare ciò che vuol significare,anzi riesce persino a sottolinearlo meglio che se avesse avuto un ritmo da action movie.
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Un capolavoro che come un dipinto su di una tela che cela il vero tesoro sotto un opera eseguita a questo scopo.Avevo visto diverse volte questo film ma mai in questa maniera con una cronologia perfetta,e rispondente secondo me ,al volere del regista: un immenso Sergio Leone.Che con questo film mi ha fatto cambiare la graduatoria dei lavori del Regista,con questo film al vertice della classifica.Un film che restutuito alla sua cronologia originaria si srotola come una imagine story con una elaborazione della nostalgia,dei sentimenti come l'amicizia e dell'attaccamento del protagonista a dei valori che anche se dopo quasi 40 anni si sono persi non vuole e non può separarsene.Le atmosfere,le cadenze una pseudo lentezza che fa meglio apprezzare ciò che vuol significare,anzi riesce persino a sottolinearlo meglio che se avesse avuto un ritmo da action movie.Insomma un capolavoro che finalmente molti critici e persone comuni si sono ricreduti e lo hanno apprezzato come merita.Uno dei pochi 5 stelle che appartengono alla storia del cinema.Da non perdere,anzi da rivedere più volte magari a distanza di un pò di tempo.
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flegiàs tn
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giovedì 27 marzo 2008
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il re leone
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Ha scritto Godard a proposito del cinema di Ingmar Bergman: “Un film di Ingmar Bergman è, per così dire, un ventiquattresimo di secondo che si trasforma e si dilata per un'ora e mezzo. È il mondo fra due battiti di palpebre, la tristezza fra due battiti di cuore, la gioia di vivere fra due battiti di mani”. E ancora: “La sua macchina da presa cerca una sola cosa: cogliere il momento presente in ciò che esso ha di più fugace e approfondirlo per dargli valore d'eternità. Di qui l'importanza primordiale del flashback, dato che il movente drammatico di ogni film di Bergman è costituito solo da una riflessione dei suoi protagonisti sul momento e sul loro stato presente”.
Da Quarto potere in poi, cioè dalla dimostrazione dell'impossibilità dell'interpretazione oggettiva del passato e, contemporaneamente, dell'illimitata possibilità analogica del cinema, questa è la tendenza dominante del cinema moderno: attraverso la storia, cogliere l'attimo, quello che conta davvero, presente.
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Ha scritto Godard a proposito del cinema di Ingmar Bergman: “Un film di Ingmar Bergman è, per così dire, un ventiquattresimo di secondo che si trasforma e si dilata per un'ora e mezzo. È il mondo fra due battiti di palpebre, la tristezza fra due battiti di cuore, la gioia di vivere fra due battiti di mani”. E ancora: “La sua macchina da presa cerca una sola cosa: cogliere il momento presente in ciò che esso ha di più fugace e approfondirlo per dargli valore d'eternità. Di qui l'importanza primordiale del flashback, dato che il movente drammatico di ogni film di Bergman è costituito solo da una riflessione dei suoi protagonisti sul momento e sul loro stato presente”.
Da Quarto potere in poi, cioè dalla dimostrazione dell'impossibilità dell'interpretazione oggettiva del passato e, contemporaneamente, dell'illimitata possibilità analogica del cinema, questa è la tendenza dominante del cinema moderno: attraverso la storia, cogliere l'attimo, quello che conta davvero, presente. Ogni film è un rendiconto con carattere di ineluttabilità, anche se nessun film è chiuso nella propria parola “Fine”, ma da qualche altra parte, tra le pieghe di un'inquadratura. Ogni film è una ricognizione sul passato tesa a stabilire una verità presente; per questo il cinema offre più senso di morte che non di vita. Per questo, in ogni film c'è un ventiquattresimo di secondo che riassume un'esistenza intera, ed è, quindi, dilatabile a un'ora e mezzo o, come nel caso di Leone, a tre ore e quaranta.
Il film di Leone è racchiuso tra due fumate d'oppio (la stessa, che ritorna) e tra due frasi che riassumono, se non due secoli di storia, certamente ottant'anni di narrazione cinematografica: quelle di NoodIes vecchio a Moe (“I vincenti si riconoscono alla partenza”) e al senatore Bailey/Max (“Molti anni fa avevo un amico, un caro amico. Lo denunciai per salvargli la vita; invece fu ucciso. Volle farsi uccidere. Era una grande amicizia. Andò male a lui, e andò male anche a me”). L'immagine dilatabile a senso complessivo dell'esperienza di NoodIes è quella, notturna e piovosa, in cui egli, anonimamente mescolato alla folla, vede i cadaveri dei tre amici che ha tradito. “Mitch, che cosa facciamo qui Mitch? Andiamocene via, ritorniamo giù al fiume, nel nostro rifugio”, balbettava perplesso e morente Robert Stack all'amico d'infanzia Rock Hudson che aveva appena tentato di uccidere. Anche se per Noodles, Max, Patsy, Cockeye, Dominic e Moe l'infanzia non è stata davvero una faccenda del genere “andare al fiume” (nel senso TomSawyeriano del termine), essa ha comunque il senso mitico dell'innocenza e della purezza di rapporti, sebbene secondo regole di violenza. Il tradimento degli amici è per NoodIes il punto di non ritorno. La rottura del codice dell'infanzia, la fine dell'innocenza. Noodles, che è l'eroe puro per antonomasia, non se ne riavrà mai più. “Cosa hai fatto tutti questi anni, Noodles?” “Sono andato a letto presto”. Cinematograficamente (e non solo), non ha vissuto. La scoperta dell'esistenza di una forma ben peggiore di tradimento, quella motivata esclusivamente dalla competitività e dall'arrivismo, non modifica la colpa di NoodIes; ne arrotonda semplicemente la fisionomia, abbinando al carattere della purezza il suo correlato classico, la sconfitta.
Noodles è, banalmente, il più tipico dei loosers, una specie di incrocio tra Billy the Kid, Deke Thornton (che tradisce il “mucchio” per poi riassumerne gli ideali perdenti) e Cable Hogue, in pazientissima attesa dei compagni che lo hanno tradito. NoodIes e la sua storia sono la summa esplicita delle suggestioni del cinema americano. Tanto esplicita che la classica, sfumata amicizia virile si è trasformata in un lampante amore omosessuale, dove l'atto fisico è mediato per ben tre volte dal rapporto con la stessa donna (Peggy, Carol e Deborah), e dove la dinamica psicologica assegna i tratti della mascolinità positiva a NoodIes (eroismo, purezza, anticonformismo) e quelli della femminilità negativa a Max (isteria, non affidabilità, compromissione). La donna non ha più l'ambiguo ruolo di equilibratore delle tensioni maschili: non riduce l'uomo all'adattamento né, come la Hildy di Cable Hogue, fugge per far fortuna dopo essersi concessa una volta sola. Non si concede mai, in una sorta di abbietta caricatura di Mrs. Miller; abbietta perché è una vincente e perché, a differenza di Mrs. Miller, abbandona la baracca molto prima dell'ineluttabile, tragica conclusione. Non è solo per concomitanza di situazioni e di volti che il dialogo sulla spiaggia tra NoodIes e Deborah ricorda quasi testualmente la notte d'amore tra Monroe Sthar e Kathleen in Gli ultimi fuochi di Kazan. Deborah è un'esplicita rappresentazione della terribile vergine americana di Fitzgerald, “non più la donna maltrattata, che solo con la sofferenza e la morte riesce a evirare chi l'ha tradita, ma la donna che maltratta, simbolo di un'America imperialista anziché coloniale”, come scrive Leslie FiedIer. Come per Fitzgerald, anche per NoodIes il fascino di Deborah è un'illusione, “e la bianca fanciulla, una volta conosciuta da vicino, si rivela una strega bianca, la ragazza d'oro un idolo d'oro. Sulla sua tavolozza bianco e oro compongono un colore sporco; perché la ricchezza non è più innocente, l'America non è più innocente, la ragazza che è l'anima di entrambe è divenuta deleteria e corrotta”. Con in più, rispetto all'universo istintivamente adolescenziale di Fitzgerald, la consapevolezza della propria determinazione e della propria corruzione.
Ancora: Fat Moe, amico di second'ordine perché privo di coraggiosa iniziativa, come arriva di corsa, ultimo della fila, a salutare NoodIes bambino che entra in carcere, così in una sorta di rivalutazione dell'amicizia silenziosa, rimane l'indistruttibile baluardo di fedeltà. La ninfomane isterica e aggressiva, alla resa dei conti, è più umana, sentimentale e pulita dell'eroina di ferro. Quelli che proclamano ai quattro venti la propria purezza di spirito, come il sindacalista O'Donnell, si compromettono puntualmente con il potere. Non si tratta qui di rivisitazione, ma di esplicitazione totale delle sfaccettature di un universo mitico.
Un'esplicitazione che lavora anche sul terreno propriamente stilistico, attraverso la dilatazione del particolare simbolico e la sottolineatura dei significati “psicologici” dei movimenti di macchina. Ma, mentre gli snervanti preliminari dei duelli nei western racchiudevano precisi intenti simbolici all'interno delle immagini dilatate di oggetti, volti, particolari, qui il simbolo ha ceduto il posto alla presunta verità che sottende. Il sottofondo è risalito in superficie e gli insistiti carrelli in avanti non sottolineano più una maschera rituale, ma l'essenza, la presa di coscienza, l'incontro con se stessi. Troppo spesso: nei primi venti minuti ci sono almeno cinque zoom o carrelli in avanti, in una marcatura di senso che, nell'eccesso, perde di efficacia. Certo, nel film c'è tutta una vita, ma è una vita che ruota (come Leone stesso sottolinea) intorno a un unico momento; tutto il resto rappresenta il percorso (in avanti o indietro) per arrivare a quel momento conclusivo.
L'idea di un film costruito come una lunga soggettiva della memoria del protagonista (che è poi la memoria cinematografica di Leone) è senza dubbio la caratteristica più interessante del fìlm. E va rispettato, in questo senso, lo sforzo compositivo di Leone, il suo rifiuto della successione cronologica “realistica” del flashback consecutivo, la ricerca tormentosa di suoni e immagini catalizzatori del flusso della memoria.
La prima parte del film, il ricordo cruciale di NoodIes e il suo ritorno, composta come faticosa ricostruzione di un puzzIe in soggettiva, è indubbiamente un pezzo di cinema di grande intensità emotiva ed efficacia narrativa. Gli scarti temporali sono innescati da tre momenti di lancinante puntualità: lo squillo in primo piano del telefono fuori campo, il passaggio del tempo sul volto di NoodIes alla stazione, e, sulle note di “Amapola”, la fuga all'indietro, questa volta negli occhi di NoodIes. Non mancano, anche qui, alcuni eccessi calligrafici: i numerosi carrelli in avanti di cui si è detto e una studiata insistenza sulle reciproche attrazioni degli oggetti su cui sono costruite le dissolvenze incrociate (da lampada a lampione stradale, da fotografia della città a squarcio della città in movimento); ma ugualmente il racconto e le immagini hanno una forte carica fascinatoria. Poi, i tratti della memoria si organizzano e la successione del ricordo procede per blocchi consecutivi, dall'infanzia in avanti, fino al momento cruciale del tradimento. Ancora una volta, al proprio interno, alcuni di questi blocchi sono ineccepibili; pieno di suggestione e di sottili implicazioni il racconto dell'adolescenza; molto teso, nella sua essenzialità da cinema classico, il ritorno di NoodIes dal carcere; dolorosissima la lunga sequenza del corteggiamento e della violenza a Deborah. Ogni volta che si concludono pezzi della vita, la memoria torna all'oggi, alla ricerca di NoodIes della verità sul suo passato. Ma ogni volta il giochetto si fa più macchinoso, anche perché la verità è, cinematograficamente, la più ovvia, anticipata da una quantità di segnali, primo fra tutti l'orologio truffato da Max e NoodIes; e perché lo stesso Noodles, essendo pura creatura di cinema, conosce perfettamente il risultato della sua indagine.
C'era una volta in America ha la non insolita caratteristica di vivere per brani separati, mescolati però e collegati da eccessi di ridondanza, ovvietà, frammenti inessenziali. Senza per questo arrivare (come avrebbe potuto, seguendo le divagazioni del ricordo) alla visionarietà . Il kitsch qui, più che frutto di una scelta, come accadeva nei western, sembra casuale, se non, appunto, all'interno dei singoli brani autonomamente conclusi. L'eccesso, allora, rischia di confinarsi esclusivamente all'uso della macchina da presa che, spesso, si “sente” troppo, indugia sull'estetismo, ripete se stessa. C'era una volta in America sta su un ambiguo confine; è contemporaneamente troppo e troppo poco: troppo lungo, sofferto e articolato per essere un fìlm di genere, è anche troppo esile nel tessuto narrativo e troppo “classico” in quello iconografico per arrivare alla rottura dei genere e alla decisa anche se nascosta autorialità, per esempio, del Padrino. È musicato con troppo elegante ridondanza, troppo ben fotografato (con inquadrature spesso volutamente “ardite”), troppo studiato, proponendosi così con insistenza come film d'autore, e denunciando a più riprese la presenza dell'uomo che sta dietro la macchina da presa, secondo un tratto tipico dei cineasti europei. Un tratto che troppo spesso (e non solo nel caso di Leone) si risolve, soprattutto in presenza di ricchissimi budget americani, in puro estetismo.
Rimangono l'onestà con cui Leone analizza l'ambiguità del proprio rapporto con l'immaginario e il cinema americani, un'interpretazione straordinaria di Robert De Niro, controllato, silenzioso, capace di recitare solo con gli occhi, e alcuni momenti di intensità angosciante. L'improvviso ralenti sottolineato dalla musica con cui i ragazzi si disperdono prima della sparatoria, un puro attimo di western metropolitano, e quel lungo, esasperante battito del cucchiaino contro la tazzina, durante il quale NoodIes dimostra la propria istintiva superiorità morale e carismatica a Max, fanno un po' rimpiangere il film che avrebbe potuto essere. C'era una volta in America avrebbe potuto essere un film delirante e barocco o un'elegante e lucida metafora della violenza, purché Leone avesse selezionato con più rigore i propri materiali mitici ed espressivi, sacrificandone qualcuno alla coerenza interna del film Un'immagine finale forte è indimenticabile: tre, in successione, sono esili. NoodIes guarda la macchina delle immondizie che si allontana. NoodIes guarda passare le automobili con i giovani schiamazzanti a bordo. NoodIes, in flashback, sdraiato nella fumeria d'oppio, guarda in macchina e sorride; sino alla fine, il sovraccarico priva le immagini della loro forza.
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