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Quel sorriso abbozzato suelle labbra di De Niro nell'inquadratura finale, suggeriscono allo sprovveduto spettatore che lo vede per la prima volta, lo sgomento di non aver ben compreso quale verità, quale impenetrabile trama possa essere ordita e spiegata. Ma esiste la poesia e con essa ogni parola, ogni fotogramma, rende vulnerabile quella tentazione di costringerci a comprendere quale sia il leit-motiv di tutto quello che abbiamo veduto. Poi uno si alza si avvia all'uscita del cinema, con la mente ottenebrata da quadri che ricompaiono, nel vano tentativo di attribuirli a chissà quale artista pittorico, o a strutture sinfoniche complesse che ricordano una sinfonia di Brahms, volti, occhi, parole, tempi sospesi in una leggendaria trasfigurazione, lacrime, rinunce, strazianti adii, le progressioni dilatate di ritmi che hanno in sè la luce del crepuscolo.. Ma fuori è buio, e alzando il bavero del cappotto, alzo lo sguardo al cielo. Cerco un'espressione che mi ricordi qualcosa di questo capolavoro. La cerco, e la trovo davanti a me, osservando Andrea, il mio migliore amico.
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