Anno | 1999 |
Genere | Documentario |
Produzione | India |
Durata | 105 minuti |
Regia di | Goutam Ghose |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Un intenso e rispettoso ritratto per il più grande cineasta indiano del mondo.
CONSIGLIATO SÌ
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Nel 1992, il suo volto, mentre era disteso su un letto d'ospedale di Calcutta, apparve di fronte a tutto il mondo. Fra le mani stringeva l'Oscar alla carriera consegnatogli dall'Academy, e anche se la sua voce era debole e incerta, le sue parole erano ancora piene di energia. Questa è l'ultima immagine del più grande regista indiano di tutti i tempi, Satyajit Ray, che morì pochi giorni dopo, il 23 aprile. Ed è dalla sua fine che parte l'intero documentario. Da questa ultima immagine si snoda tutta la narrazione sulla vita di questo intelligente artista che ha saputo farsi notare dal mondo intero come il più autorevole esponente del rinascimento indiano, realizzando capolavori dietro capolavori.
Il documentario di Goutham Ghose descrive, con dovizia di particolari, l'esistenza di Ray: dall'infanzia da orfano di padre, cresciuto ed educato culturalmente dalla madre (una cantante), al forte legame con il Bengala, dall'incontro con Jean Renoir che cambiò la sua vita alla visione di Ladri di biciclette di Vittorio De Sica che gli diede la convinzione di fare del suo futuro un futuro da cineasta. Scorrono, come quei fiumi selvaggi che tanto amava, le immagini dei suoi successi a Cannes e a Venezia (ma soprattutto in patria, dove mai un regista era stato premiato per il suo operato), alcuni frame dei suoi film (la trilogia su Apu, La sala di musica, Devi) dei quali componeva personalmente la musica, scorrono le parole del suo mentore Tagore, che tanto hanno influenzato la sua carriera, e le copertine e le illustrazioni di "Sandesh", il giornale per ragazzi per il quale lavorava come fumettista. E scorre, infine, la sua vita, fino all'ultima nota.
Difficile non rimanere sorpresi e stupiti di fronte a una personalità così illustre come Ray, così come risulta difficile annoiarsi di fronte al documentario di Ghose che ben equilibra racconti di vita, musica e opere del regista. Impeccabile nella sceneggiatura, dinamico lo stile narrativo. Il documentario è paragonabile a un grande e ossequioso inchino che Goutham Ghose fa al suo stimato e glorioso predecessore della settima arte indiana.