francesca50
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martedì 19 marzo 2024
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nuovo successo di stallone sulla boxe sentimentale
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Nuovo interessantissimo film sulla boxe.
Mi è piaciuto molto come gli altri film.
E Stallone con questo nuovo personaggio mi commuove.
Sono una donna ma la boxe col sentimento mi entusiasma
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jonnylogan
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mercoledì 8 marzo 2023
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w la nostalgia
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Quando nel 2015 Ryan Coogler, quasi trentenne regista di belle speranze, rimise mano al franchise di Rocky, nessuno avrebbe pensato ne potesse scaturire qualche cosa di nuovo. Al contrario l’idea di dare nuova linfa a una storia e a un ecosistema cambiato con il tempo ma che si regge ancora sui medesimi prodromi: il desiderio di riscatto del vecchio pugile e del nuovo talento, gli allenamenti estenuanti e i ricordi di un passato pieno di vittime: Adriana, Paulie e Apollo, riescono a dare nuova energia a una narrazione che al contrario sembrava essersi estinta con il quinto capitolo della saga capostipite.
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Quando nel 2015 Ryan Coogler, quasi trentenne regista di belle speranze, rimise mano al franchise di Rocky, nessuno avrebbe pensato ne potesse scaturire qualche cosa di nuovo. Al contrario l’idea di dare nuova linfa a una storia e a un ecosistema cambiato con il tempo ma che si regge ancora sui medesimi prodromi: il desiderio di riscatto del vecchio pugile e del nuovo talento, gli allenamenti estenuanti e i ricordi di un passato pieno di vittime: Adriana, Paulie e Apollo, riescono a dare nuova energia a una narrazione che al contrario sembrava essersi estinta con il quinto capitolo della saga capostipite. Coogler, poi divenuto celebre grazie al personaggio di Black Panther, portato sul grande schermo in ben due capitoli molto convincenti e trasversali rispetto al Marvel Cinematic Universe, riesce a rispettare il personaggio di Balboa affiancandogli il figlio di un vecchio amico. Pronto a fargli rammentare quanto sia stata una figura essenziale alla quale ispirarsi e che non per forza deve ritenersi semplicemente un ristoratore, attività con la quale Rocky ormai fa i conti giornalmente e sempre molto distante dal ring e dalla palestra. Dal canto suo Stallone dimostra di essere diventato un attore ben differente dal pugile di Tusculum Street che all’epoca della prima pellicola, ed esattamente come il personaggio, cercava il ruolo che potesse imporlo al grande pubblico. Oggi Stallone è un attore più maturo e in grado, esattamente come il suo Rocky, di impersonare ruoli più psicologici e sfaccettati. Jordan, sul quale si regge metà della trama, e già visto sempre diretto da Coogler nella pellicola di denuncia Prossima fermata Fruitvale Station, riesce a impersonare un ruolo non semplice senza mai sfociare nella parodia e strizzando l’occhio al futuro, possibilmente sganciando il personaggio dall’ala protettrice del suo mentore, evento accaduto nel corso di Creed 3 in uscita in questi giorni.
Piacerà molto a chi ama le storie di redenzione e riscatto e non per forza la nobile arte della boxe.
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zorrokid
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martedì 11 dicembre 2018
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questa storia l'ho già sentita
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Ma adesso basta con questa storia trita e ritrita, sono quarant'anni che va avanti sempre la stessa e sempre la solita lagna. Il modesto pugile che perde l'incontro, allora spacca pietre, prende a pugni il muro, poi quando è bello rincitrullito torna sul ring, e dato che il copione l'ha scritto lui, vince l'incontro combattendo con la sola mano sinistra. Altrimenti facevo uno sfracello. E dato che le favole piacciono a grandi e piccini eccone altre centoventi puntate in arrivo. Dove il modesto pugile perde il secondo incontro, va a spaccare le pietre a mani nude, rompe un muro con un colpo di Karate e poi, gran rullo di tamburi, alè alè e l'incontro è bello e vinto.
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Ma adesso basta con questa storia trita e ritrita, sono quarant'anni che va avanti sempre la stessa e sempre la solita lagna. Il modesto pugile che perde l'incontro, allora spacca pietre, prende a pugni il muro, poi quando è bello rincitrullito torna sul ring, e dato che il copione l'ha scritto lui, vince l'incontro combattendo con la sola mano sinistra. Altrimenti facevo uno sfracello. E dato che le favole piacciono a grandi e piccini eccone altre centoventi puntate in arrivo. Dove il modesto pugile perde il secondo incontro, va a spaccare le pietre a mani nude, rompe un muro con un colpo di Karate e poi, gran rullo di tamburi, alè alè e l'incontro è bello e vinto. E poi cìè il pugile modesto che..........
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lupo83
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lunedì 29 gennaio 2018
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poco convincente
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Ormai la serie é satura, solita storia del Carneade che diventa campione del mondo con una poco convincente colonna sonora durante gli allenamenti supervisionati dal vecchio Rocky. Alla fine la storia dei personaggi passa in secondo piano davanti ai match di boxe..magari fosse stato piu psicologico e meno sportivo..
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valterchiappa
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sabato 27 gennaio 2018
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l'ultimo viaggio di un anti-eroe
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Diciamocelo: abbiamo sempre amato Rocky. Se le successive sceneggiature non lo avessero trasformato in un pupazzo, quell’uomo semplice, malinconico, romantico, ma dalla volontà incrollabile, quell’antieroe così tipicamente americano sarebbe un’icona immacolata nei nostri cuori. Assieme al suo mondo minimale, fatto di grigie periferie e di persone qualunque: la mite fidanzatina, l’indimenticabile Adriana, Mickey, l’anziano allenatore, Paullie, l’amico macellaio, il cane Birillo.
E se non fosse stato per quella valanga di kitsch che furono i suoi sequel, il primo “Rocky” resterebbe, inattaccabile, non solo nell’immaginario collettivo, ma, si voglia o no, anche nella memoria dei cinefili.
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Diciamocelo: abbiamo sempre amato Rocky. Se le successive sceneggiature non lo avessero trasformato in un pupazzo, quell’uomo semplice, malinconico, romantico, ma dalla volontà incrollabile, quell’antieroe così tipicamente americano sarebbe un’icona immacolata nei nostri cuori. Assieme al suo mondo minimale, fatto di grigie periferie e di persone qualunque: la mite fidanzatina, l’indimenticabile Adriana, Mickey, l’anziano allenatore, Paullie, l’amico macellaio, il cane Birillo.
E se non fosse stato per quella valanga di kitsch che furono i suoi sequel, il primo “Rocky” resterebbe, inattaccabile, non solo nell’immaginario collettivo, ma, si voglia o no, anche nella memoria dei cinefili. Assieme a quelle scene epiche che tutti, almeno una volta nella vita, hanno visto emozionandosi: gli allenamenti sotto la squillante colonna sonora di Bill Conti, l’urlo “Adrianaaa!” al termine del match finale e ovviamente la salita di quelli che ormai sono i Rocky Steps del Philadelphia Museum of Art.
In verità abbiamo amato anche i Rocky successivi, con quegli avversari da cartoni animati, le frasi ad effetto (come dimenticare “Gli occhi della tigre” o “Ti spiezzo in due”?), le trascinanti canzoni delle colonne sonore. Ma questo attiene alla nostalgia e non al commento cinematografico.
“Creed” ci restituisce quel primo Rocky. È invecchiato, lo Stallone italiano, ma torna finalmente a piacerci. È dimesso, conduce una vita normale, fra la sua trattoria tappezzata dai ricordi del passato e il modesto appartamento. La scontrosità è diventata una semplice saggezza, l’espressione perennemente aggrottata si è aperta in un sorriso bonario. Non pensa più alla boxe, Rocky. Pensa ad Adriana e a Paullie, con cui va a conversare al cimitero. A farlo tornare a bordo del ring ci pensa però un ragazzo nero dal cognome ingombrante: Creed.
Il figlio di Apollo (Michael B. Jordan), che non si chiama Apelle ma Adonis, ha avuto un infanzia tormentata: nato da una relazione extraconiugale e non riconosciuto dal padre, è cresciuto nei riformatori, dove sfoga la rabbia inespressa a suon di cazzotti. Adottato infine dalla vedova di Apollo, cresce nel lusso. Ma la voglia di combattere è un tarlo che non l’abbandona. Abbandona tutto e parte alla ricerca dell’unico uomo che può allenarlo e dargli le giuste motivazioni: ovviamente Rocky Balboa.
Ed ecco quindi questo nuovo capitolo della saga. Sembra che il regista Ryan Coogler, dopo la bella prova di “Prossima fermata: Fruitvale Station”, abbia voluto ricordare, dopo la morte, il padre con cui condivideva la visione dei film della saga, omaggiando al contempo l’eroe della sua infanzia.
Il risultato è un Rocky in salsa black. Tutto procede parallelo: le difficoltà del protagonista, il riscatto attraverso la boxe, i duri allenamenti, l’inevitabile match finale. Tutto si ripete, debitamente aggiornato: il tema di “Gonna fly now”, ripetutamente suggerito dalla colonna sonora ma rivisto con sonorità R&B e rap, la corsa per le strade, con il seguito non più di scolaretti ma dei teppistelli del ghetto che pinnano sugli scooter sgangherati, la salita dei celebri scalini, assieme ad un Rocky zoppicante ed affannato. Sì, perché Rocky è ammalato, ha un cancro. Accetta con serenità il suo destino, fino a che sarà il suo nuovo “nipote” a convincerlo a non mollare. Sconfiggere la malattia, superare il dolore dell’abbandono: entrambi hanno una sfida da vincere, ma entrambi sono nati per combattere.
Cosa c’è quindi di nuovo in questo “Creed”? È proprio lui, Rocky (il resto è semplice, infantile divertimento, d’altronde cosa chiedere di più a questa storia?). All’ennesimo, forse ultimo ritratto del puglie più famoso del cinema, non più lucido di muscoli ma nascosto dietro spesse lenti da miope, con il berretto di lana a nascondere la chioma sfrondata dalla chemioterapia, il personaggio è quanto mai convincente e a lui sono riservate le sole scene che riescono davvero a toccare lo spettatore. Ma se c’è Rocky c’è anche lui, Stallone: il suo volto, da sempre quasi del tutto inespressivo, è la maschera più adatta per Rocky, e Rocky è forse l’unico personaggio che Sly potrebbe mai interpretare.
Sylvester Stallone si presenterà alla notte degli Oscar, candidato come miglior attore non protagonista. Nel 1977, dopo il primo “Rocky” corse sia come migliore attore che per la sceneggiatura, titolo che condivide addirittura con Charlie Chaplin e Orson Welles. Circostanza incredibile per la sua, diciamo così, caratura artistica. Se dovesse essere chiamato a ritirare la statuetta, magari sarà introdotto da “Gonna fly now”, magari salirà di corsa le scale che portano al palcoscenico, magari alzerà al cielo l’Oscar come la cintura che Rocky sollevò dopo aver sconfitto Apollo Creed.
Sì, il miracolo americano si sarebbe davvero compiuto. Ma non ci sarebbe niente da dire.
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laurence316
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sabato 15 luglio 2017
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ormai la serie ha fatto il suo corso
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7° film dell’interminabile saga di Rocky, spin-off dei precedenti, narra delle vicende che portano Adonis Johnson, figlio di Apollo Creed, a seguire le orme del padre. Scritto (con A. Covington) e diretto da Coogler, che già si era fatto notare con il film d’esordio, Prossima fermata Fruitvale Station (che aveva anch’esso come protagonista M. B. Jordan), Creed è un discreto film d’intrattenimento, confezionato impeccabilmente e perfetto per i fan della saga (che si pensava conclusa con il Rocky Balboa del 2006), un film che tenta di dare nuova vita al franchise di fatto spostando il punto di vista (ma non poi così tanto) dal protagonista assoluto dei film precedenti ad un giovane irrequieto, ma promettente con un cognome ingombrante.
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7° film dell’interminabile saga di Rocky, spin-off dei precedenti, narra delle vicende che portano Adonis Johnson, figlio di Apollo Creed, a seguire le orme del padre. Scritto (con A. Covington) e diretto da Coogler, che già si era fatto notare con il film d’esordio, Prossima fermata Fruitvale Station (che aveva anch’esso come protagonista M. B. Jordan), Creed è un discreto film d’intrattenimento, confezionato impeccabilmente e perfetto per i fan della saga (che si pensava conclusa con il Rocky Balboa del 2006), un film che tenta di dare nuova vita al franchise di fatto spostando il punto di vista (ma non poi così tanto) dal protagonista assoluto dei film precedenti ad un giovane irrequieto, ma promettente con un cognome ingombrante.
Questo sarà di certo utile al fine di produrre un’altra sterminata serie di sequel, ma non basta a fugare la costante sensazione di già visto. Di fatto, il film ha ben poche idee originali, e ricicla il più delle volte scene e sequenze dei film precedenti della saga. Questo non toglie che alcune sequenze, in particolare quelle di combattimento, siano girate con perizia e che, tutto sommato, il film riesca ad offrire un paio d’ore di divertimento senza troppe pretese.
Il problema sorge quando ci si sofferma ad osservare i momenti fra un match e l’altro, o fra un allenamento e l’altro. E qui, oltre che diventare talvolta melenso, il film scade nello stereotipo: al di là della storia d’amore quasi completamente inutile e molto banale, che dire della diagnosi di Rocky? Non sem- bra avere alcuna funzione narrativa se non quella di fare da pretesto ad un paio di scenette strappalacrime.
In ogni caso, si conferma il talento in cabina di regia di questo giovane regista-autore, e il film, che fa molto leva sul fattore nostalgia (come diversi altri rilanci di franchise famosi negli ultimi tempi), rimane un discreto film di genere, un film d’intrattenimento divertente e di buona fattura, recitato benino, anche se non adatto a chiunque si sia stancato del franchise già dai tempi di Rocky II.
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uptempo
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lunedì 10 luglio 2017
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pessimo su tutta la linea
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Una costola esterna del grande affresco sul pugile più amato dal cinema.Ecco in cosa si è cimentata la produzione,mobilitata tanti (troppi?)anni dopo gli anni non sospetti dell'anziana saga.
L'impresa ha assai deludenti esiti in quanto essenzialmente l'approccio al materiale risulta superficiale, di facile edonismo,nella migliore delle ipotesi ansioso soltanto di approdare ad una dignitosa confezione del prodotto(obiettivo,almeno questo,raggiunto).Ma i problemi sono molteplici.
La sfilata di momenti topici di cui unicamente è allestito lo scarno plot ne fanno un collage largamente prevedibile,e mutuano un disonesto tentativo di "viver di rendita" pretendendo le ovazioni nonostante il mancato sforzo.
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Una costola esterna del grande affresco sul pugile più amato dal cinema.Ecco in cosa si è cimentata la produzione,mobilitata tanti (troppi?)anni dopo gli anni non sospetti dell'anziana saga.
L'impresa ha assai deludenti esiti in quanto essenzialmente l'approccio al materiale risulta superficiale, di facile edonismo,nella migliore delle ipotesi ansioso soltanto di approdare ad una dignitosa confezione del prodotto(obiettivo,almeno questo,raggiunto).Ma i problemi sono molteplici.
La sfilata di momenti topici di cui unicamente è allestito lo scarno plot ne fanno un collage largamente prevedibile,e mutuano un disonesto tentativo di "viver di rendita" pretendendo le ovazioni nonostante il mancato sforzo.Ma dove Ryan Coogler,il regista,si palesa proprio inadeguato-e inconsapevole d'essere-è nella gestione dell'organico narrativo.Apparentemente così premuroso di esser coerente con la poetica ROMANTICA ma RUVIDA appartenente alla saga,finisce per non mostrarla intatta affatto.Quell'universo narrativo reso totalmente appiattito è ciò che lui ci consegna.I personaggi assenti animano di poco spirito una vicenda che avrebbe necessitato reale coinvolgimento,mentre si trascina un montaggio apatico e per di più vanesio quando insinua di saper rievocare,puntuale,il mood giusto.
Invece,durante la visione non si è persuasi che questa sfida sia epica.
Avvinti dall'intreccio o trasportati dai personaggi secondari?Ancor meno.
Ci si chiede se sia stato con mestiere ma attraverso un filtro sterile che si è arrivati all'editing finale.Il sospetto viene anche ascoltanto le musiche,parodianti in modo sbiadito ciò che Bill Conti aveva saputo fare in termini di enfasi molti anni or sono con ben più alte competenze orchestrali.
Ci si chiede se andrebbero concesse attenuanti sul prodotto in quanto spin-off,ma allora perchè non si discosta IN NULLA da un "regolamentare" Rocky VII?
Qui Coogler,nella duplice veste di sceneggiatore e regista, non rende giustizia a Stallone,il quale-tristemente-non rende giustizia a se stesso e al suo alter-ego,tempo adddietro forte di un'autenticità rara.
Rocky catturava con la sua smorfia lo strazio,la malinconia,la parabola del perdente.Storia di sorte,impegno,miseria.CREED ha aggiunto le sue stimmati e adesso la memoria dei fantasmi di Philadelphia è sgretolata. Irrimediabilmente.
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johseph
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sabato 8 aprile 2017
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uno stallone che non ti aspetti
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Quando il lettore Blu Ray è partito, le mie aspettative si basavano principalmente sulla saga storica di Roky. Pugile, palestra, allenamento, avversario da battere e vittoria con musica finale per regalare qualche emozione allo spettatore. Niente di tutto questo. Il film mostra uno Stallone drammatico in un interpretazione da "Oscar", potevano darglielo stavolta. Spin-off di qualità, lontano da operazioni commerciali. Il film è una chicca da inserire nella collezione della storica serie pugilistica. Consigliato!
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inesperto
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domenica 4 dicembre 2016
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rocky non si discute, si ama
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Meno emozionante del previsto. Rocky compare anziano e debole, ma sempre ricco di insegnamenti. Adonis non è un fuoriclasse come suo padre e non è un combattente dalla volontà infinita come il suo mentore. Apollo era una furia scatenata ("veloce come un fulmine, difficile da sorprendere"), aveva la box nel dna; Rocky faceva la guerra sul ring, ne prendeva tante e non si capiva come facesse a rimanere in piedi, gli avversari ne erano sconvolti, Apollo stesso non poteva perdere il titolo che da Rocky, nessun altro ci sarebbe riuscito. Quindi, si capisce come la differenza tra Adonis e i due grandi sia abissale; infatti, consapevole di essere lontano da quelle vette, cerca semplicemente di trovare se stesso nel mondo della box, l'unico in cui si senta in grado di esprimere qualcosa.
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Meno emozionante del previsto. Rocky compare anziano e debole, ma sempre ricco di insegnamenti. Adonis non è un fuoriclasse come suo padre e non è un combattente dalla volontà infinita come il suo mentore. Apollo era una furia scatenata ("veloce come un fulmine, difficile da sorprendere"), aveva la box nel dna; Rocky faceva la guerra sul ring, ne prendeva tante e non si capiva come facesse a rimanere in piedi, gli avversari ne erano sconvolti, Apollo stesso non poteva perdere il titolo che da Rocky, nessun altro ci sarebbe riuscito. Quindi, si capisce come la differenza tra Adonis e i due grandi sia abissale; infatti, consapevole di essere lontano da quelle vette, cerca semplicemente di trovare se stesso nel mondo della box, l'unico in cui si senta in grado di esprimere qualcosa.
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iuriv
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martedì 12 luglio 2016
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nostalgico con gusto.
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Con uno Sly troppo anziano per il ring e tutti i personaggi secondari deceduti, ormai la saga di Rocky pareva essere giunta al capolinea. Ma l'universo dello stallone italiano è rimasto nel cuore di molti, quindi si è deciso di scavare nello scanzonato passato di Apollo Creed fino a pescarne un erede illegittimo con lo stesso amore per i cazzotti.
Così ci troviamo a seguire le vicende di un giovane pugile che, esattamente come il film di cui è protagonista, non vuole portare il nome del padre, ma sarà costretto a farci i conti.
La trama va a caccia di originalità tentando di infrangere lo stereotipo del boxeur proveniente dalla strada, ma finisce per srotolarsi attraverso il solito insieme di buoni sentimenti.
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Con uno Sly troppo anziano per il ring e tutti i personaggi secondari deceduti, ormai la saga di Rocky pareva essere giunta al capolinea. Ma l'universo dello stallone italiano è rimasto nel cuore di molti, quindi si è deciso di scavare nello scanzonato passato di Apollo Creed fino a pescarne un erede illegittimo con lo stesso amore per i cazzotti.
Così ci troviamo a seguire le vicende di un giovane pugile che, esattamente come il film di cui è protagonista, non vuole portare il nome del padre, ma sarà costretto a farci i conti.
La trama va a caccia di originalità tentando di infrangere lo stereotipo del boxeur proveniente dalla strada, ma finisce per srotolarsi attraverso il solito insieme di buoni sentimenti. La vicenda ricalca piuttosto fedelmente gli eventi dell'originale Rocky, regalando citazioni ed omaggi espliciti a quel gran pezzo di cinema che fu il suo illustre genitore.
Ma Coogler non si limita a questo. Grazie a una regia forte, anche se sempre al servizio della storia, l'autore riesce ad enfatizzare i momenti di una trama comunque prevedibile, andando a esaltare l'aspetto emotivo del suo lavoro.
Di pugilato se ne vede poco, ma quel poco è reso benissimo dalle scelte di Coogler, che riprende gli incontri utilizzando spesso il piano sequenza, offrendoci la prospettiva del pubblico in prima fila o dell'arbitro. La continuità offerta da questo approccio premia il realismo e l'immersività del pubblico e viene interrotta solo quando il regista taglia sugli aspetti brutali dello sport e sulla sete di sangue del pubblico sugli spalti. Come risultato Creed si ritrova con alcune tra le migliori scene pugilistiche viste negli ultimi anni sullo schermo.
Magari è una pellicola un po' troppo lunga, questo va detto. Tagliare qua e la non le avrebbe fatto male e avrebbe forse premiato il ritmo di un film che è stato costruito come intrattenimento.
Ma Creed non è un capolavoro e non ha nessuna intenzione di diventarlo. Si limita a omaggiare il capostipite della saga senza mancargli di rispetto (a differenza di molti beceri seguiti ufficiali), sperando magari di avere le carte in regola per aprire un nuovo filone.
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