cinephilo
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martedì 23 luglio 2019
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non servono parole
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Grandissimo Hazanevicius. Il cinema che parla di cinema nel modo più semplice e complicato allo stesso tempo, ovvero senza proferir verbo. L'omaggio più bello al cinema degli anni venti. Il declino del cinema muto l'avvento del sonoro e la conciliazione tra il vecchio e il nuovo : il musical. Sceneggiatura e regia meravigliose, un film di cui i nostri tempi avevano bisogno.
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fabio
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martedì 12 febbraio 2019
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conta l'idea
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Si gusta tutto, dall'inizio alla fine, questo "The Artist". Merito del regista che sa' come rendere al meglio l'idea che sta' alla base: fare un film muto che, raccontando le vicissitudini di un attore, caduto in disgrazia con l'avvento del sonoro, omaggia il genere e racconta un'epoca d'oro.
Così finiamo per sperimentare veramente quanto può essere potente e affascinante il cinema in bianco e nero, con il solo commento musicale affidato ad un'orchestra dentro la sala. Emozioni comunicate solo con lo sguardo, un sorriso o un'alzata di sopracciglia.
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lofamo
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sabato 2 gennaio 2016
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alchimie della poesia
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E' spettacolo nel quale si combinano le alchimie della poesia delle quali non si conoscono formule e sono casuali. Il merito è del regista per la creazione di atmosfere che superano i tecnicismi, per l'elegante visione d'assieme, la sintesi, l'originalità. I protagonisti vi apportano l'ispirata vitalità, la finezza e la simpatia nella partecipazione alla vita dei personaggi. A fronte degli spettacoli di inaudita volgarità, è esempio di ciò che il cinema potrebbe offrire.
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andrejuve
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mercoledì 30 dicembre 2015
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accettiamo il cambiamento accantonando l'orgoglio
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“The Artist” è un film muto del 2011 diretto da Michel Hazanavicius, ambientato in America a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. George Valentin è uno dei più famosi attori di cinema muto, ogni sua pellicola riscuote grandissimi successi ed è amato da tutto il pubblico. Dopo la presentazione di uno dei suoi film, durante una delle sue numerose interviste da, una giovane ragazza si scontra accidentalmente con George e lui, sempre disponibile con i suoi ammiratori, accetta con il sorriso “l’incidente”. La ragazza si chiama Peppy Miller, è una grande fan di George e il giorno successivo decide di partecipare a dei provini per assumere il ruolo di comparsa all’interno di un film che vede proprio come protagonista George.
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“The Artist” è un film muto del 2011 diretto da Michel Hazanavicius, ambientato in America a cavallo tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. George Valentin è uno dei più famosi attori di cinema muto, ogni sua pellicola riscuote grandissimi successi ed è amato da tutto il pubblico. Dopo la presentazione di uno dei suoi film, durante una delle sue numerose interviste da, una giovane ragazza si scontra accidentalmente con George e lui, sempre disponibile con i suoi ammiratori, accetta con il sorriso “l’incidente”. La ragazza si chiama Peppy Miller, è una grande fan di George e il giorno successivo decide di partecipare a dei provini per assumere il ruolo di comparsa all’interno di un film che vede proprio come protagonista George. Col passare del tempo la carriera di Peppy comincia a decollare e viene ingaggiata per ruoli sempre più importanti e prestigiosi. Nel 1929 inizia a farsi strada il sonoro all’interno delle pellicole cinematografiche e Al Zimmer, produttore cinematografico, ritiene che questo sia il cinema del futuro e chiede a George di abbandonare il cinema muto intraprendendo questa nuova strada. George rifiuta l’offerta e decide di dirigere lui stesso un film muto che lo vede come protagonista. Nel frattempo Peppy Miller è diventata la nuova star di Hollywood e nello stesso giorno vengono proiettate sia la pellicola muta di George che quella sonora interpretata da Peppy. Quest’ultima avrà la sua definitiva consacrazione mentre per George inizierà un declino diventato inesorabile anche a causa del famoso crollo delle borse del 1929. I tempi sono cambiati ma il protagonista non sembra accettare la realtà e, col passare del tempo, si isolerà sempre di più. La pellicola innanzitutto focalizza l’attenzione sull’introspezione psicologica di George, il quale drasticamente vede la sua vita stravolta senza neanche avere il tempo di metabolizzare e capire cosa stia accadendo attorno a lui. George è un uomo orgoglioso, non accetta alcun consiglio ed è fermamente convinto di essere sempre e comunque una celebrità che non vedrà mai spegnere le luci della sua ribalta e del suo successo. Vive col costante pensiero malinconico nei confronti di un passato che non ritornerà più e dal quale deve necessariamente distaccarsi per ricominciare a vivere una vita gioiosa, gratificante e spensierata. Questo atteggiamento è sintomo di un senso di inquietudine che attanaglia l’essere umano, il quale spesso è tormentato da incubi e paure, in questo caso rappresentate dal cinema sonoro, nei confronti delle quali vuole creare una barriera invalicabile. In realtà l’unico modo per sormontare e superare questo senso di angoscia è affrontando i timori interiori che condizionano l’esistenza dell’uomo. L’egocentrismo e la megalomania di George non permettono a quest’ultimo di prendere in considerazione i consigli e i suggerimenti delle persone che lo circondano, considerate come dei corpi inanimati che agiscono esclusivamente al suo servizio e che sono costrette ad idolatrarlo per sempre. Purtroppo il suo carattere lo porterà ad allontanarsi dalle persone che gli hanno sempre voluto bene e che hanno cercato invano di aiutarlo. Tutta questa situazione comporta nell’essere umano un inevitabile stato di depressione e di sconforto totale che può sfociare in conseguenze irreparabili. E’ solo riconoscendo i propri limiti e le proprie debolezze che si può ricominciare a vivere. Inoltre è fondamentale sapere ascoltare gli altri accettando qualsiasi forma di aiuto e tutto ciò non è sintomo di debolezza o di inferiorità, ma di intelligenza e maturità. George interpreta l’altruismo di Peppy come una dimostrazione di pietà e di compassione nei suoi confronti, in quanto egli non conosce il significato della solidarietà e della generosità. In realtà Peppy nutre il desiderio di infondere a George una gioia di vivere che quest’ultimo ha terribilmente perduto, affinché ritrovi la motivazione e la voglia di reagire alle difficoltà e alle problematiche che sono sorte nell’arco della sua esistenza. Ma senza l’umiltà e la presa di coscienza degli errori commessi è impossibile riuscire ad attuare un radicale cambiamento all’interno della propria vita. In questo senso il passaggio dal cinema muto a quello sonoro rappresenta la metafora della forza di volontà che l’uomo deve possedere per mutare la propria esistenza adattandosi alla fatale, inesorabile, costante e inarrestabile evoluzione a livello personale, anagrafico, sociale e tecnologico. L’egoismo e la presunzione comportano un’incapacità di attuare un’autocritica e di analizzare lucidamente e obiettivamente gli sbagli compiuti. Il film poi riesce a rappresentare in maniera realistica ed affascinante il mondo del cinema muto caratterizzato da una forte espressività e gestualità degli attori i quali, senza ombra di dubbio, dovevano possedere doti eccelse. Il regista descrive la fine di un’era che se da un lato può creare un senso di malinconia, sottolineato dal fatto che la pellicola stessa è muta, dall’altro ha rappresentato un passo avanti notevole, oltre ad una sorta di rivoluzione che ha radicalmente cambiato la visione del mondo cinematografico. Un grande film che riesce ad emozionare lo spettatore grazie ad un altalenarsi di sentimenti di gioia e di felicità misti ad altri di tristezza ed inquietudine. Le musiche che si susseguono nell’arco dell’intera pellicola sono sempre attinenti alle emozioni e alle sensazioni che si delineano all’interno delle singole sequenze. Nella cerimonia degli Oscar del 2012 il film ha ricevuto cinque statuette tra le quali spiccano quelle come miglior film, migliore regia e migliore attore protagonista ad un superbo Jean Dujardin, eccezionale nell’interpretare George Valentin. Bravissima anche Bérénice Bejo nei panni di Peppy Miller. Un film da vedere.
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midnightmoonlight
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mercoledì 18 novembre 2015
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l'artista dujardin
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Ci si avvicina alla visione di questo film con un misto di scetticismo e curiosità, in primis per l'assenza di colore e, in secundis, per l'assenza di suono. Lo schermo si apre, e il sorriso da canaglia di George Valentin, star del cinema muto, invade lo schermo e il cuore degli spettatori. La sua presenza è pregnante, manda in visibilio il pubblico e le ragazze che lo attendono al di fuori della sala cinematografica solo per ammirare i suoi simpatici e affascinanti baffetti. Ben presto, però, una coincidenza del destino ribalterà la sua vita, e il sorriso dell'Artista sarà lentamente eclissato dalla prepotente invasione del cinema sonoro. Così, il 1927 sarà l'anno destinato a cambiare il corso della storia universale e quella personale di Valentin.
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Ci si avvicina alla visione di questo film con un misto di scetticismo e curiosità, in primis per l'assenza di colore e, in secundis, per l'assenza di suono. Lo schermo si apre, e il sorriso da canaglia di George Valentin, star del cinema muto, invade lo schermo e il cuore degli spettatori. La sua presenza è pregnante, manda in visibilio il pubblico e le ragazze che lo attendono al di fuori della sala cinematografica solo per ammirare i suoi simpatici e affascinanti baffetti. Ben presto, però, una coincidenza del destino ribalterà la sua vita, e il sorriso dell'Artista sarà lentamente eclissato dalla prepotente invasione del cinema sonoro. Così, il 1927 sarà l'anno destinato a cambiare il corso della storia universale e quella personale di Valentin.
The Artist è, senz'altro, una riflessione storica del cinema sul cinema, e la vicenda personale di George è il filtro attraverso il quale viene permesso agli spettatori di assistere a tali cambiamenti epocali. Un film muto, nel ventunesimo secolo, abitato da un pubblico sempre più assueffatto alla tecnologia, è un azzardo bell' e buono. Tuttavia, quella in questione è una pellicola talmente ben costruita e ben diretta da lasciare soddisfatto e stupefatto persino la platea dei tempi moderni. Magnifica la fotografia, soprattutto nella scena in cui Valentin scopre che ogni cosa, intorno a sé, persino il suo cane, hanno preso vita attraverso il suono, a parte lui; magnifica la plasticità facciale degli attori, che recitano privi di voce; arguti i messaggi subliminali disseminati nel film, come il numero della stanza d'ospedale dove viene ricoverato Valentin, il 27, un chiarissimo rimando all'anno dell'introduzione del sonoro, che segna la disfatta della sua carriera d'attore; magnifico il ghigno beffardo di Dujardin, un viso che porta in sè qualcosa di antico, e che non si dimentica facilmente; bravissimo anche il cane attore, tutt'altro che un "attore cane" e molto più dotato di tanti attori in circolazione. Una pellicola-azzardo ottimamente riuscita, che condensa, in soli 100 minuti, il declino e la rinascita di un fantastico attore. Merito di una regia quasi perfetta, ma anche di un Artista vero, come si è rivelato Dujardin, capace di dare vita a un ruolo, quello dell'attore muto, così lontano e bizzaro per i moderni e ipertecnologici spettatori del 2011.
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aristoteles
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domenica 11 ottobre 2015
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the magic
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Personalmente ho sempre apprezzato i film muti,ne ho visti molti del mitico Charlie Chaplin e aggiungo con grande soddisfazione.
Dico subito che questo prodotto non li supera e non riesce a raggiungere quel fascino irrestibile,proprio per motivi anagrafici,tuttavia sento di dovergli dedicare un grande applauso.
Hazanavicius ha fatto una scommesa coraggiosa e credo che in buona parte l'abbia vinta.
La storia non è particolarmente complessa ma è ben strutturata,le musiche sono fantastiche come i costumi,davvero un bello spettacolo per gli occhi.
Gli attori sono assolutamente strepitosi e aggiungo anche il cane,che da solo meriterebbe un oscar.
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Personalmente ho sempre apprezzato i film muti,ne ho visti molti del mitico Charlie Chaplin e aggiungo con grande soddisfazione.
Dico subito che questo prodotto non li supera e non riesce a raggiungere quel fascino irrestibile,proprio per motivi anagrafici,tuttavia sento di dovergli dedicare un grande applauso.
Hazanavicius ha fatto una scommesa coraggiosa e credo che in buona parte l'abbia vinta.
La storia non è particolarmente complessa ma è ben strutturata,le musiche sono fantastiche come i costumi,davvero un bello spettacolo per gli occhi.
Gli attori sono assolutamente strepitosi e aggiungo anche il cane,che da solo meriterebbe un oscar.
In 3d,in bianconero,a colori,o muti,c'è solo una certezza, i grandi film e i grandi attori non muoiono mai,nonostante l'evoluzione,nonostante gli anni che passano.
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marezia
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venerdì 27 dicembre 2013
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quando la votazione del critico è fuorviante
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3 stelle e mezza aun film come questo? Ma chi ve l'ha dato il patentino? Visto in tv a distanza di due anni è ECCEZIONALE come al cinema. Evitate di inseire votazioni se non sulle CRETINATE per evitare al pubblico spreco di denaro perché il resto non è per voi.
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nachtigall
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mercoledì 25 dicembre 2013
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un ottimo film
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Sono dìaccordo con la recensione: il film riscalda, avvince e commuove (e io non sono facile alla commozione) , capisco bene come mio padre si appassionava ai film degli anni 20 che andava a vedre raggranellando i centesimi
uno a uno.
Bravissimi Dujardin e la Bejo, che mi ha rcordato la grande Louise Brooks, praticamente anche lei scomparsa dalle scene con l'avvento del sonoro, ed anche la figura del maggiordomo è perfetta.
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theophilus
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martedì 26 novembre 2013
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una gradevolissima nostalgia
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THE ARTIST
Un film muto girato ai nostri giorni può essere solo una pellicola d’autore o di ricerca puramente estetica. Nel primo caso avremmo probabilmente un prodotto eccentrico, nell’altro ci troveremmo di fronte ad un’operazione nostalgia, forse al tentativo di ripercorrere un cammino dagli inizi per scoprire soluzioni rimaste inesplorate. Confessiamo di avere assistito alla proiezione di The Artist con parecchia trepidazione. Eccoci già arrivati al capolinea della 7° Arte e alla sua rivisitazione – come sembra talora accadere nella Musica o nell’arte figurativa – questo era il nostro pensiero in sala.
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THE ARTIST
Un film muto girato ai nostri giorni può essere solo una pellicola d’autore o di ricerca puramente estetica. Nel primo caso avremmo probabilmente un prodotto eccentrico, nell’altro ci troveremmo di fronte ad un’operazione nostalgia, forse al tentativo di ripercorrere un cammino dagli inizi per scoprire soluzioni rimaste inesplorate. Confessiamo di avere assistito alla proiezione di The Artist con parecchia trepidazione. Eccoci già arrivati al capolinea della 7° Arte e alla sua rivisitazione – come sembra talora accadere nella Musica o nell’arte figurativa – questo era il nostro pensiero in sala.
The Artist non è un esperimento contemporaneo totalmente privo di sceneggiatura o un tentativo intellettualistico di esasperare il concetto d’incomunicabilità. È, invece, un piccolo scrigno da cui escono soluzioni originali, un gioiellino che ripercorre sì una strada, ma al tempo stesso ci mostra come contemperare il ricordo del passato con idealità presenti, come sfuggire alle sguaiatezze contemporanee con modalità poetiche, ci sa convincere che quello che un tempo era un limite tecnico penalizzante, oggi possa essere riconsiderato come una possibilità. Certo, non è che ora si debba auspicare l’avvento di una nuova era del ‘muto’: sarebbe ridicolo. Però, ci sembra stimolante questa fotocopia di un’epoca, di un mondo che non esiste più, con tutte le sue caratteristiche ritrovate, gli sguardi drammatici e i sorrisi al posto giusto, dove esattamente uno si aspetta di trovarli. Pensiamo quasi ad un’esercitazione di tecnica della sopravvivenza. Un’immagine rovesciata dei contemporanei reality televisivi. Il regista deve riuscire a ‘superare’ la barriera dei 100 minuti, quanto è la durata del film, senza l’ausilio della ‘civiltà’, avendo a disposizione i mezzi minimi di sussistenza, costretto nei panni di uomo della pietra, ma avendo tutta la manuale incapacità dell’uomo contemporaneo, abituato a premere bottoni o a sfiorare comandi per avere il mondo ai propri piedi.
Il regista Michel Hazanavicius è bravissimo a districarsi in tali meandri. Siamo immersi in qualcosa di simile ad un pastiche letterario o in una musicale à la manière de. Tutto è poi reso più credibile perché, con la tecnica del film nel film, viene rappresentata la storia del trapasso dal ‘muto’ al ‘sonoro’. Si rappresenta la fine di un’epoca, la sua messa in soffitta e con abile contrappasso la si va, allo stesso tempo, a rispolverare con risultati davvero sorprendenti. Si sogna il mondo di King Vidor o di Murnau proprio alla vigilia dell’annunciata fine della pellicola che sarà sostituita dai files digitali.
George Valentin, il re del muto, vede scorrere dietro lo schermo le immagini del suo ultimo film di successo. La sala è piena, il pubblico applaude divertito, un’orchestra sotto il palcoscenico suona le musiche che accompagnano il film. Ecco la prima ‘anomalia’, un effetto di straniamento. Il pubblico del muto sentiva sì la musica, eseguita in sala da un’orchestra o da un pianista, ma era un pubblico reale, esterno alla storia. Qui ne è parte integrante. Il vero pubblico siamo noi che guardiamo, immaginiamo e leggiamo meccanicamente i sottotitoli, anche se non ce ne sarebbe bisogno e ascoltiamo le sottolineature della colonna sonora. In questo modo, il film scorre volutamente ambiguo davanti ai nostri occhi, ma l’effetto è quasi impercettibile, latente. L’eroina femminile da Cenerentola si trasforma a poco a poco in Principessa e scalza dal suo trono il Principe. È notevole questo tragitto progressivo, quasi un trascolorare in uno scambio di ruoli, in un passaggio di consegne fino al raggiungimento di una ritrovata parità che, se cinematograficamente è rappresentata con la mediazione del ballo (George e Peppy si trasformano in Fred e Ginger), ai fini dello scioglimento del plot si risolve nel trionfo dell’amore.
Perfetti nello straniamento Jean Dujardin (George Valentin) e Bérénice Bejo (Peppy Miller).
Enzo Vignoli
12 gennaio 2012.
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iankenobi
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sabato 19 ottobre 2013
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l'amore per il cinema
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a volte incontro pseudointelletuali che volgiono farci credre che il cinema sia qualcosa di criptico e destinato a stanze polverose.
No il cinme e' tutto e' rossella' ohara e orson wells,greta garbo e carax,i fratelli lumiere e steve mc queen,il mio protetto.il cinema sono le dive, ma anche le comparse invisibili.
Il cinema e' un sorriso,il sorriso di jean dujardin,quel qualcosa che ti fa0 sognare e' che anche per solo il tempo di un film,ti fa' credre migliore,
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