jackiechan90
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mercoledì 13 gennaio 2016
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una commedia non male ma eccezionale
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Harold Crick è un agente del fisco americano che vive una vita fatta di numeri e di orari ben precisi. Una tranquilla e normale routine da uomo medio, da lui ben accettata. Tutto cambia quando s'innamora di Ana Pascal, una pasticcera idealista che si rifiuta di pagare le tasse per protesta. Harold, che in base ai suoi principi e al suo lavoro dovrebbe odiare una persona simile, finisce paradossalmente per innamorarsi di lei. Pare la descrizione di una classica commedia ma, in realtà, è solo l'inizio di una tragedia.
Sì perché Harold scopre di non essere altro che un personaggio di un romanzo della nota scrittrice di tragedie Kay Eiffel, la cui cifra stilistica è quella di far morire tutti i suoi eroi.
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Harold Crick è un agente del fisco americano che vive una vita fatta di numeri e di orari ben precisi. Una tranquilla e normale routine da uomo medio, da lui ben accettata. Tutto cambia quando s'innamora di Ana Pascal, una pasticcera idealista che si rifiuta di pagare le tasse per protesta. Harold, che in base ai suoi principi e al suo lavoro dovrebbe odiare una persona simile, finisce paradossalmente per innamorarsi di lei. Pare la descrizione di una classica commedia ma, in realtà, è solo l'inizio di una tragedia.
Sì perché Harold scopre di non essere altro che un personaggio di un romanzo della nota scrittrice di tragedie Kay Eiffel, la cui cifra stilistica è quella di far morire tutti i suoi eroi. Consapevole di stare per morire ma non sapendo come Harold decide di cercare la scrittrice per poter cambiare il suo destino, aiutato da un eccentrico professore di letteratura.
Commedia garbata e originale che utilizza i toni della suspense ribaltandoli e creando un particolare effetto comico grazie al clichè della voce fuori campo.
Cast eccezionale con un Will Ferrel protagonista assoluto ed "eroe" della storia e un Dustin Hoffman ispirato e scanzonato. Ottimo anche il cast femminile a cominciare dalla scrittrice Emma Thompson che con il suo stile algido e ben controllato che risalta ulteriormente la nevrosi del personaggio.
Commedia ben girata e calibrata nelle battute e nei tempi comici.
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kondor17
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domenica 8 marzo 2015
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carino e intrigante
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Pur non amando molto Ferrel, il film è nuovo e divertente, anche se il finale a singhiozzo poteva essere scritto e realizzato meglio. Un ottimo cast e belle musiche, oltre al plot e al ritmo nuovo e divertente, permettono di passare un paio d'ore di puro intrattenimento, con un climax da thriller
La Gyllenhall, bellissima e dolce - una panettiera anarchica tatuata quasi laureata in legge ad Harvard - ricorda il personaggio tentatore e anticonformista della Binoche un Chocolat. Emma Thompson, una scrittrice in preda alla sindrome da foglio bianco, è grande, forse il personaggio più azzeccato - ma non la si scopre di certo ora. Che dire poi di Dustin Hoffman che non si è già detto? Peccato vederlo utilizzato poco e male negli ultimi anni, ma non è di certo questo il caso.
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Pur non amando molto Ferrel, il film è nuovo e divertente, anche se il finale a singhiozzo poteva essere scritto e realizzato meglio. Un ottimo cast e belle musiche, oltre al plot e al ritmo nuovo e divertente, permettono di passare un paio d'ore di puro intrattenimento, con un climax da thriller
La Gyllenhall, bellissima e dolce - una panettiera anarchica tatuata quasi laureata in legge ad Harvard - ricorda il personaggio tentatore e anticonformista della Binoche un Chocolat. Emma Thompson, una scrittrice in preda alla sindrome da foglio bianco, è grande, forse il personaggio più azzeccato - ma non la si scopre di certo ora. Che dire poi di Dustin Hoffman che non si è già detto? Peccato vederlo utilizzato poco e male negli ultimi anni, ma non è di certo questo il caso. Qui infatti interpreta il ruolo di un professore svitato ma illuminato, che grazie ai suoi studi matematici ed esoterici, riesce con intuizione divina a individuare la voce che perseguita e spaventa il povero Ferrel, che viveva prima una misera ma tranquilla esistenza da ispettore del fisco.
La chiave di volta del film - "se lui avesse saputo..." cioè una terza persona onnisciente spesso usata dagli scrittori - permette al prof di capire che la voce non è probabilmente paranoica, ma una trasposizione medianica o telepatica che spesso avviene tra scrittore e lettore. La terza onnisciente è spesso criticata e noiosa, soprattutto in romanzi lunghi, ed è l'antitesi dello show don't tell, una regola cardine della scrittura creativa, in quanto racconta invece di mostrare. Per questo il prof, che aveva tenuto conferenze al riguardo, fa una lista a Ferrel delle possibili candidate, e quella della Thompson viene subito riconosciuta come quella giusta.
La sceneggiatura veramente originale lo rende quindi un film colto e leggero allo stesso tempo, cosa alquanto rara. Ottimo il montaggio e il ritmo. Grottesco quanto basta, anche se Ferrel per me è geneticamente demenziale, ma qui se la cava egregiamente. Perdonami Will :-)
Voto 7+
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irretendo
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giovedì 10 gennaio 2013
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se dio si incarna in una scrittrice nevrotica...
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E' come se l'Onnipotente ci venisse presentato dagli autori del film nella veste di una scrittrice di storie deprimenti, inconsapevole dei suoi poteri demiurgici, ed anzi a sua volta nevrotica ed oberata da manie suicidarie, nonché ossessionata dalla morte tragica dei protagonisti da lei stessa creati. Ma una metafora tanto onerosa intorno al senso dell'esistenza viene sviluppata ad un livello di ironia e leggerezza tali da sfiorare la genialità poetica e rendere la visione della pellicola assolutamente godibile, senza scadere mai nella superficialità della farsa, ma piuttosto continuando a solleticare con arguzia la sensibilità e la riflessività dello spettatore.
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E' come se l'Onnipotente ci venisse presentato dagli autori del film nella veste di una scrittrice di storie deprimenti, inconsapevole dei suoi poteri demiurgici, ed anzi a sua volta nevrotica ed oberata da manie suicidarie, nonché ossessionata dalla morte tragica dei protagonisti da lei stessa creati. Ma una metafora tanto onerosa intorno al senso dell'esistenza viene sviluppata ad un livello di ironia e leggerezza tali da sfiorare la genialità poetica e rendere la visione della pellicola assolutamente godibile, senza scadere mai nella superficialità della farsa, ma piuttosto continuando a solleticare con arguzia la sensibilità e la riflessività dello spettatore. Forse solo con il precedente de Il favoloso mondo di Amelie - cui il film sembra voler apparentarsi per più di un'analogia sul piano dello sviluppo narrativo - era stato raggiunto negli ultimi anni un risultato di analogo livello, riuscendo, per ossimoro, a declinare tematiche esistenziali fra le più ponderose attraverso l'utilizzo d'uno sguardo tenero e divertito, puntato sulle piccole ossessioni quotidiane che ognuno di noi finisce per coltivare in funzione della propria salvaguardia. A tutto ciò si aggiunga una recitazione assolutamente superlativa da parte di tutti, accompagnata dal fascino di un raffinato commento sonoro firmato Vangelis: cosa desiderare di più da uno spettacolo cinematografico?
Silvio D'Amicone
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alfredo patania
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giovedì 10 gennaio 2013
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film da riscrivere
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Film pretenzioso, che vorrebbe imitare i prodigi di altri del genere (What women want, Ricomincio da capo), ma non riesce.
Se in quei casi, infatti, l'esperienza sovrannaturale pone i personaggi di fronte ai loro limiti e li costringe a cambiare,
in parabole ben strutturate come solo sanno fare a Hollywood, in questo caso il personaggio, molto caratterizzato ma
poco approfondito, cambia troppo alla leggera, per la sola soddisfazione degli sceneggiatori.
Gli basta ascoltare l'annuncio della sua imminente morte da parte di una magica voce narrante che accompagna
all'improvviso la sua vita, per convincerlo a uscire dalla routine, imparare a suonare la chitarra e fare innamorare,
di un amore assai rapido e inverosimile, una splendida fornaia che è il suo opposto in tutto e per tutto.
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Film pretenzioso, che vorrebbe imitare i prodigi di altri del genere (What women want, Ricomincio da capo), ma non riesce.
Se in quei casi, infatti, l'esperienza sovrannaturale pone i personaggi di fronte ai loro limiti e li costringe a cambiare,
in parabole ben strutturate come solo sanno fare a Hollywood, in questo caso il personaggio, molto caratterizzato ma
poco approfondito, cambia troppo alla leggera, per la sola soddisfazione degli sceneggiatori.
Gli basta ascoltare l'annuncio della sua imminente morte da parte di una magica voce narrante che accompagna
all'improvviso la sua vita, per convincerlo a uscire dalla routine, imparare a suonare la chitarra e fare innamorare,
di un amore assai rapido e inverosimile, una splendida fornaia che è il suo opposto in tutto e per tutto.
Il sogno dello sfigato che si è dato una mossa solo perché una voce gli ha detto che sta per morire, si realizza senza il minimo sforzo.
Il resto è fuffa condita con attori del calibro di Hoffman e della Watson, quest'ultima reale protagonista nella versione
seria del film, che andrebbe riscritto.
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freghinho
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lunedì 3 settembre 2012
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simpatico, triste e riflessivo
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Una commedia non banale...una bella trama...e una grande interpretazione di un ottimo Will Farrell...mai noioso...a tratti simpatico...triste...e riflessivo...un finale inaspettato..che lascia una visione soddisfatta e desiderosa..un uomo che riscopre i sapori della vita nello svago...uscendo dai binari della "vita normale" e tradendo il perfezionismo...colonna sonora meravigliosa "Vangelis - La petite fille de la mer"...a me è piaciuto molto.
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gianni lucini
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domenica 6 novembre 2011
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citazioni letterarie
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Il commediografo Zach Helm nella sua prima esperienza di scrittura per il cinema gioca a disseminare nella sceneggiatura e nei dialoghi una lunga serie di riferimenti colti, a partire dal questionario del dottor Hilbert, il cui metodo per esclusioni sollecita nello spettatore il gusto l’accoppiamento tra le risposte di Harold e i generi o gli autori esclusi. Il gusto per il divertimento di Helm trova però il suo massimo momento nella scelta dei cognomi per i personaggi principali rubati tutti a famosi matematici, scienziati, ricercatori e ingegneri: Francis Crick, David Hilbert, Gustave Eiffel, Blaise (ma anche Ernesto) Pascal, Maurits Cornelis Escher, Gösta Mittag-Leffler ecc.
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Il commediografo Zach Helm nella sua prima esperienza di scrittura per il cinema gioca a disseminare nella sceneggiatura e nei dialoghi una lunga serie di riferimenti colti, a partire dal questionario del dottor Hilbert, il cui metodo per esclusioni sollecita nello spettatore il gusto l’accoppiamento tra le risposte di Harold e i generi o gli autori esclusi. Il gusto per il divertimento di Helm trova però il suo massimo momento nella scelta dei cognomi per i personaggi principali rubati tutti a famosi matematici, scienziati, ricercatori e ingegneri: Francis Crick, David Hilbert, Gustave Eiffel, Blaise (ma anche Ernesto) Pascal, Maurits Cornelis Escher, Gösta Mittag-Leffler ecc. Nella scena in cui Harold va a parlare con il professor Hilbert in piscina, il letterato è seduto su un seggiolone da bagnino e sta leggendo un libro la cui copertina resta inquadrata per tutto il dialogo. La scelta non è casuale ed è uno dei tanti rimandi colti numerico/letterari disseminati da Zach Helm nel film. Il libro infatti è di Sue Graffon, la giallista statunitense che ha inventato il personaggio di Kinsey Milhone, un’investigatrice nata il 5 maggio (5) 1950 i cui romanzi hanno come riferimento una lettera dell’alfabeto di cui seguono rigorosamente l’ordine (A come Alibi, B come Bugiardo, C come Cadavere, ecc.)
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gianni lucini
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domenica 6 novembre 2011
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per hoffman un esercizio quasi scolastico
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Non si può dire che nel nuovo millennio Dustin Hoffman abbia avuto una presenza invadente su grande schermo. Due sono le teorie che nel corso degli anni hanno cercato di dare una spiegazione a questa sostanziale latitanza con qualche interruzione, anzi tre. La prima sostiene che le nuove generazioni di registi affermatesi nel frattempo non ne sopportino troppo il carattere testardo, puntiglioso al limite del litigio e sempre più brontolone. La seconda teoria parte sempre dalla testardaggine e dalla meticolosità dell’attore per arrivare alla conclusione che sia lo stesso Hoffman a centellinare le presenze sullo schermo scegliendo con cura le storie e i ruoli che lo convincono di più.
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Non si può dire che nel nuovo millennio Dustin Hoffman abbia avuto una presenza invadente su grande schermo. Due sono le teorie che nel corso degli anni hanno cercato di dare una spiegazione a questa sostanziale latitanza con qualche interruzione, anzi tre. La prima sostiene che le nuove generazioni di registi affermatesi nel frattempo non ne sopportino troppo il carattere testardo, puntiglioso al limite del litigio e sempre più brontolone. La seconda teoria parte sempre dalla testardaggine e dalla meticolosità dell’attore per arrivare alla conclusione che sia lo stesso Hoffman a centellinare le presenze sullo schermo scegliendo con cura le storie e i ruoli che lo convincono di più. La terza, forse la più ovvia, è che Dustin Hoffman con il passare degli anni e dopo aver ottenuto quasi tutto dal suo lavoro sia sempre meno disponibile a sacrificare troppo tempo per il cinema. Scegliere tra le tre ipotesi, tutte a loro modo fondate, diventa un esercizio quasi scolastico di fronte a geniali e talentuose prove d’attore come quella fornita in Vero come la finzione. Il suo professor Hilbert, caffeinomane e quasi sempre scalzo, appare come l’antagonista dell’algida e contratta scrittrice Kay Eiffel e non soltanto per i modi disinvolti al limite dell’eccentricità. La stanza in cui vive ed esercita la professione di studioso di letteratura, piena di libri, caotica e cromaticamente ricca si contrappone al grigiore dell’ambiente spoglio che ospita la scrittrice. Hoffman regala perle di tecnica sopraffina al folle genio del suo personaggio. Due sono i momenti indimenticabili della sua interpretazione. Il primo è quello in cui prova a salvare il protagonista dal suo destino con un'affascinante investigazione letteraria per esclusione. Il secondo è l’espressione con la quale comunica ad Harold che deve morire perché la sua morte è la fine logica della storia nella quale è immerso e che cambiare il finale sarebbe un peccato perché si tratta di “un capolavoro”.
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gianni lucini
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domenica 6 novembre 2011
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una riflessione sull'ineluttabilità della morte
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E se la nostra vita dipendesse dalla fantasia di una fragile scrittrice in preda a un improvviso blocco creativo? In fondo l’idea che la nostra vita sia nelle mani di qualcuno come le Parche della mitologia greca che abbia potere di tagliarne il filo accompagna da sempre la storia dell’uomo. In genere si tratta di un’entità, non necessariamente divina, lontana dalla vita di tutti i giorni e separata dall’umanità. In Vero come la finzione la padrona della vita di un anonimo ispettore del fisco con la fissa dei numeri è una scrittrice la cui creatività ha incrociato la vita. E le forbici capaci di reciderne per sempre il filo sono i tasti di una macchina da scrivere, cioè uno strumento ormai fuori dal tempo e dalla realtà, il cui ticchettìo appare violento, desueto e angosciante in un’epoca caratterizzata dall’asettico rumore delle tastiere o dal silenzio del “touch screen”.
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E se la nostra vita dipendesse dalla fantasia di una fragile scrittrice in preda a un improvviso blocco creativo? In fondo l’idea che la nostra vita sia nelle mani di qualcuno come le Parche della mitologia greca che abbia potere di tagliarne il filo accompagna da sempre la storia dell’uomo. In genere si tratta di un’entità, non necessariamente divina, lontana dalla vita di tutti i giorni e separata dall’umanità. In Vero come la finzione la padrona della vita di un anonimo ispettore del fisco con la fissa dei numeri è una scrittrice la cui creatività ha incrociato la vita. E le forbici capaci di reciderne per sempre il filo sono i tasti di una macchina da scrivere, cioè uno strumento ormai fuori dal tempo e dalla realtà, il cui ticchettìo appare violento, desueto e angosciante in un’epoca caratterizzata dall’asettico rumore delle tastiere o dal silenzio del “touch screen”. Il titolo originale Stranger than fiction è una citazione di Mark Twain: «La verità è più strana della finzione... perché la finzione deve attenersi a una serie di possibilità mentre la verità no…». La sceneggiatura del film, che rappresenta l’esordio nel mondo del cinema del commediografo Zach Helm, si muove con leggerezza in una storia dai contorni surreali. Il ricorso agli effetti speciali, essenziale e non ridondante, è sempre funzionale alle esigenze della narrazione filmica, non si sovrappone mai e si tiene ben lontano dalla ricerca dello stupore fine a se stesso. Pur essendo stato girato a Chicago Vero come la finzione non si lega ad ambientazioni riconoscibili. È una città innominata e indistinguibile quella che fa da sfondo alle vicende dei protagonisti nella quale i luoghi e le atmosfere mutano con il mutare delle emozioni raccontate. Esemplare, in questo senso, è la scena nella quale la scrittrice Kay Eiffel, in preda al blocco creativo si aggira nella sua stanza vuota, senza alcun colore e, quasi a cercare spunti, guarda fuori dalle ampie vetrate che si aprono su una nebbia indistinta e amorfa come la sua vena artistica. Non mancano poi citazioni sparse disseminate qua e là nella storia e mai fuori luogo come il film Il senso della vita dei Monty Phyton, cui il protagonista assiste nel tentativo di accettare l’idea di morire. Anche la scelta delle canzoni della colonna sonora è estremamente curata e contiene alcune interessanti strizzate d’occhio alla scena “indie” con gruppi come gli M83, i Califone e gli Spoon.
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brina78
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lunedì 24 gennaio 2011
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il coraggio di farsi morire
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Come facciamo a capire se la nostra esistenza è al centro di una tragedia o di una commedia?
Harold si ascolta raccontare la propria vita come fosse una prolungata elencazione di gesti, senza che la cosa lo sorprenda o lo angosci più di tanto.
Ma una mattina si rende conto che quella reiterazione monotona di gesti e parole rischia di essere un presagio di morte.
E così, terrorizzato, interroga la psicologia, la saggezza della letteratura.
Ma alla fine, si rende contro che la piega ultima della propria vicenda dipende unicamente da sè, e dal coraggio che comporta il rinnovamento di sè stesso.
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Come facciamo a capire se la nostra esistenza è al centro di una tragedia o di una commedia?
Harold si ascolta raccontare la propria vita come fosse una prolungata elencazione di gesti, senza che la cosa lo sorprenda o lo angosci più di tanto.
Ma una mattina si rende conto che quella reiterazione monotona di gesti e parole rischia di essere un presagio di morte.
E così, terrorizzato, interroga la psicologia, la saggezza della letteratura.
Ma alla fine, si rende contro che la piega ultima della propria vicenda dipende unicamente da sè, e dal coraggio che comporta il rinnovamento di sè stesso.
Bellissima questa scomposizione rappresentativa del proprio io.
Coscienza, azione e conoscenza vengono concretizzati in tre personaggi diversi.
Quando l'azione, oltre agli altri due piani, accetta l'esigenza dell'evoluzione, il vecchio io muore, per dar spazio ad un uomo diverso, più cresciuto e più realizzato.
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riccardo88
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martedì 27 luglio 2010
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sentirsi narrare la propria vita in diretta!!
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Vero come la finzione narra la storia di Harold Crick (Will Ferrell), esattore delle tasse incastrato nella propria routine; Harold, un uomo qualunque, è però protagonista inconsapevole dell'ultimo libro della scrittrice Key Eiffel (Emma Thompson con un piacevole accento inglese in lingua originale). Per un qualche bizzarro motivo Harold, un mattino, sentirà la voce della scrittrice descrivere dettagliatamente, in tempo reale e con sfoggio di buona retorica, ogni sua azione; nel tentativo di capire cosa gli stia succedendo il nostro eroe incontrerà un divertente Dustin Hoffman nei panni di un eccentrico professore di letteratura.
Il regista Marc Foster riesce a riprodurre le atmosfere sognanti di Field of Dreams, dove però era la "voce" di Ray Liotta a mettersi in contatto con il protagonista: Kevin Costner.
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Vero come la finzione narra la storia di Harold Crick (Will Ferrell), esattore delle tasse incastrato nella propria routine; Harold, un uomo qualunque, è però protagonista inconsapevole dell'ultimo libro della scrittrice Key Eiffel (Emma Thompson con un piacevole accento inglese in lingua originale). Per un qualche bizzarro motivo Harold, un mattino, sentirà la voce della scrittrice descrivere dettagliatamente, in tempo reale e con sfoggio di buona retorica, ogni sua azione; nel tentativo di capire cosa gli stia succedendo il nostro eroe incontrerà un divertente Dustin Hoffman nei panni di un eccentrico professore di letteratura.
Il regista Marc Foster riesce a riprodurre le atmosfere sognanti di Field of Dreams, dove però era la "voce" di Ray Liotta a mettersi in contatto con il protagonista: Kevin Costner. Risultano armoniosamente amalgamati momenti di incontro-scontro romantico con momenti di riflessione, strappando allo spettatore anche qualche risata grazie alle sinergie generate da personaggi sapientemente delineati. La colonna sonora, di qualità Indie Rock accuratamente selezionata, conferisce un valore aggiunto alle scene chiave del film. Sarebbe potuto essere un capolavoro se gli autori avessero avuto più coraggio nella stesura della trama. Riccardo Poggi
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