Come volevasi dimostrare. L'ideale viaggio autobiografico di Sorrentino è come al solito un saccheggio autoreferenziale. Si apre con Fellini (il traffico di Otto e 1/2, qui del tutto ingiustificato), si continua con Fellini (un arido pranzo di nozze, tutto il contrario del vitale finale di Amarcord) e si finisce con Fellini (i Vitelloni, Moraldo che lascia Rimini). In mezzo la Ranieri tabaccaiona ("Sportazione") e tante altre scopiazzature gratuite, superficiali, gelide. La lente del ricordo Felliniano - deformante ed evocativa, maschera/che/smaschera, rito eleusino di evocazione dionisiaca e in buona parte mortifera - qui diventa fighetteria edulcorata dalla citazione annacquata, comoda, attualizzata, mai graffiante, sempre "de relato". Anche i tentativi di smuovere qualcosa, come le frasi del regista Capuano prima di finire in acqua come la maggior parte dei personaggi di questo film, non sono così amare come sembrano: hanno il retrogusto dolciastro della commiserazione narcisista. Artificiosa è pure la morte dei genitori, senza lutto, senza disperazione pur con tante urla, senza sincerità. E poi il finale, secondo me dirimente: Moraldo se ne andava da Rimini scappando, con la morte nel cuore. Abbandonava la sua terra come chi aveva perso tutto. Nei Vitelloni viviamo la sua dipartita come un vero strappo, una sconfitta, una morte appunto. Fellini al tempo dei Vitelloni non è ancora il regista icona del cinema mondiale che è diventato poi: il suo film è autobiografico come "i 400 colpi" lo è per Truffaut, qualcosa di necessario, di liberatorio, e cinematograficamente di assai rischioso. Il biografismo di Sorrentino, invece, oggi regista premio Oscar, è solo miserevole autocitazione, una storia che oggi sappiamo tutti come va a finire. la storia di uno che "vuole tutto" e che lo ottiene, a qualunque costo filmico. Alla fine questo non è il racconto di un dolore insanabile, almeno così non appare: è il racconto del proprio successo camuffato da tragedia familiare. Narcisismo ben occultato dietro ai soliti, ormai spompi, fellinismi anaffettivi. La frase di Maradona all'inizio, che sembra evocare una sostituzione del nome del calciatore con quello del regista, ne è muto, triste testimone.
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