Se la realtà è scadente, come afferma più volte un personaggio nel film, la sceneggiatura di Sorrentino è assai deludente ed è molto peggio della realtà. Quella di Sorrentino, che sostituisce alla visione stereotipata della Napoli da cartolina, solo pizza e mandolino, ormai superata, quella di una città universalmente inneggiante al mito di Maradona, è una semplificazione insopportabile per ogni vero napoletano.
La scena finale con l’inquadratura del golfo, con il sottofondo di Napul’è di Pino Daniele, poi, è incommentabile. Volendo essere eufemistici, si potrebbe definire decontestualizzata ed accattivante, ovvero ruffiana.
Sorrentino dichiara apertamente che il proprio maestro è Fellini. Quindi è lecito per lui rifare Fellini e ciò che in altri tempi, si sarebbe bollata più prosaicamente come una scopiazzatura bella e buona di personaggi, situazioni ed atmosfere felliniane, viene fatto passare per un omaggio al maestro.
I dialoghi sono banali, alcuni senza senso, come quando Servillo nella parte del padre del regista, ridendo paragona la contessa del piano di sopra a Papa Wojtyła, aggiungendo che però il Papa è più sexy. Visto che la contessa non assomiglia nemmeno lontanamente al papa citato, questa battuta, imbarazzante da recitare e da ascoltare perché sembra uscita dalla bocca di un adolescente degli anni ’70, suona come una spiritosaggine antireligiosa, ispirata forse da un libertinismo ateo, che nel 2021 non è rivoluzionario, ma ridicolo.
Per non parlare del personaggio dell’altro Maestro del regista, un certo Antonio Capuano, di cui tempo fa vidi un inguardabile, ma almeno originale, Polvere di Napoli, alla cui sceneggiatura partecipò un ancora sconosciuto Sorrentino. Un personaggio triviale, dal linguaggio sboccato e a dir poco scurrile, che mi rifiuto di credere corrisponda al vero Capuano, che da fonte wikipedia, oltre ad essere un regista di film di nicchia, sembra sia stato titolare della cattedra di scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Napoli.
Dopo la messa in scena della tragica morte dei genitori, si assiste ad una penosa ricerca di un finale ad effetto da parte del regista. Il risultato è un succedersi di sequenze abbastanza tediose, alcune inutili ed inverosimili, come quella della gita col contrabbandiere buono a Capri, dove i due improbabili amici incontrano Khashoggi, altre, invece, disgustose, come l’amplesso tra la vecchia contessa ed il giovane Sorrentino.
Si salva il cast, tutto formato da ottimi attori napoletani. In primis, il grandissimo ed ancora una volta, dopo Loro 1 e 2, sprecato in un film del genere, Toni Servillo ed una eccellente Luisa Ranieri, sebbene abbia dovuto dare corpo ad un personaggio, preservandone l'umanità e la credibilità, sottoposto ad un processo di ferillizzazione da Sorrentino.
L’unico personaggio autentico del film, tra quelli minori, è il portiere dello stabile, interpretato da Lino Musella, uno dei pochi attori riuscito a sfuggire alla smania macchiettistica e fellinizzante del regista.
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