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Quando la maestra inquieta scopre il bimbo prodigio

di Emiliano Morreale La Repubblica

Lisa Spinelli (Gyllenhaal) è una maestra d'asilo frustrata e sola, nonostante abbia un marito e due figli (una adolescente ovviamente polemica, un maschio che vuole arruolarsi). La vita della donna scorre piatta, l'unico suo interesse sembra riposto nelle lezioni seguite presso una scuola di scrittura creativa: ma anche come poetessa, Lisa non si solleva dal grigiore. Un giorno, però, ascolta per caso uno dei suoi piccoli allievi, un bambino di 5 anni di origini indiane, declamare tra sé versi sorprendenti, e scopre di avere tra le mani un poeta naturale, che crea haiku di folgorante semplicità. Dapprima Lisa spaccia i testi come propri al corso di poesia, suscitando gli entusiasmi del docente (Bernal), che rimane sedotto anche sessualmente da lei. Poi decide di svelare l'inganno, di convincere i parenti del bambino delle sue doti, di farsene insomma mentore (di questa parola non esiste il femminile, significativamente) del bambino. Poco a poco, la donna rivela così tratti assai inquietanti. La vicenda minimalista prende una piega quasi thriller cominciando a farsi interessante, accompagnata sempre da uno stile fin troppo piano. Il film, comunque, ha vinto il premio per la miglior regia al Sundance: la regista, Sara Colangelo, è di origine italiana cresciuta professionalmente negli Usa e al suo secondo lungometraggio dopo Little Accidents (2014), con Elizabeth Banks. Lontano da qui poggia però ovviamente molto anche sulle spalle di Maggie Gyllenhaal, la quale da curiosa figurina buffa e sensuale nel cinema dei primi 2000 (basti pensare a Secretary, che la lanciò) ha assunto con la maturità qualche sfumatura sinistra, che non stona col personaggio. Molto concentrata sull'evoluzione della protagonista, la sceneggiatura non sembra interessata a divagazioni e contesti. Questa maestra, man mano che la storia procede, si avvicina sempre più a certi ritratti di scrittrici noir come Ruth Rendell o Patricia Highsmith, compreso un filo di misoginia al femminile. Anche se, per la verità, le somiglianze maggiori (e forse involontarie) sono con un lontano racconto di Aldous Huxley, Il piccolo Archimede. Lì una famiglia inglese a Firenze scopriva un genio della matematica in un bambino popolano, il quale veniva adottato vampirescamente dalla padrona di casa borghese. Quasi quarant'anni fa, ne aveva tratto un bellissimo film televisivo Gianni Amelio, con una Laura Betti ovviamente ben più luciferina della Gyllenhaal.
Da La Repubblica, 13 dicembre 2018


di Emiliano Morreale, 13 dicembre 2018

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