writer58
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mercoledì 26 novembre 2014
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altro che jobs act...
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Prima di scrivere queste righe, ho dato un'occhiata in rete alle leggi sul lavoro in Belgio. Sembra che in quel paese il lavoratore non possa essere reintegrato, tranne nel caso di licenziamenti palesementi discriminatori.In tutti gli altri casi si versa un indennizzo proporzionale all'anzianità di servizio. Ciò solleva un primo problema. Nel film dei fratelli Dardenne "Due giorni, una notte", l'indennizzo è proposto, sotto forma di bonus, non a Sandra,l'operaia che l'azienda intende licenziare, ma alla squadra dei colleghi. 1.000 euro per ciascuno dei 16 operai. A ciò si aggiunge una seconda difficoltà: in Europa, un lavoratore assunto a tempo indeterminato non può essere licenziato se è in malattia, a meno che la malattia non si prolunghi per mesi ("periodo di comporto").
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Prima di scrivere queste righe, ho dato un'occhiata in rete alle leggi sul lavoro in Belgio. Sembra che in quel paese il lavoratore non possa essere reintegrato, tranne nel caso di licenziamenti palesementi discriminatori.In tutti gli altri casi si versa un indennizzo proporzionale all'anzianità di servizio. Ciò solleva un primo problema. Nel film dei fratelli Dardenne "Due giorni, una notte", l'indennizzo è proposto, sotto forma di bonus, non a Sandra,l'operaia che l'azienda intende licenziare, ma alla squadra dei colleghi. 1.000 euro per ciascuno dei 16 operai. A ciò si aggiunge una seconda difficoltà: in Europa, un lavoratore assunto a tempo indeterminato non può essere licenziato se è in malattia, a meno che la malattia non si prolunghi per mesi ("periodo di comporto"). Sandra ha sofferto di depressione, ma nulla indica che abbia trascinato la sua assenza per un periodo particolarmente lungo.
Cito questi due elementi, che sembrano freddi e burocratici, perché il film dei fratelli Dardenne vuole essere una rappresentazione realistica delle contraddizioni attuali che attraversano il lavoro e la società belga, ma parte da un presupposto non coerente con la sua impostazione.
La storia narrata, in realtà, è un apologo che tratta della frantumazione dei vincoli di solidarietà presenti nell'assetto attuale, in cui la "società multietnica" si traduce in un conglomerato di interessi particolari, personali o famigliari. E', allo stesso tempo, una storia di riscatto personale che porta Sandra dal malessere e dalla rassegnazione iniziale a un atteggiamento di difesa consapevole dei propri diritti e delle propria dignità personale. In questo senso, l'opera dei cineasti belgi è parzialmente riuscita e il film, nonostante alcuni passaggi ripetitivi (Sandra interpella tutti i 16 colleghi chiedendo loro di rinunciare al bonus e lo fa utilizzando sempre le stesse parole), si segue con attenzione e partecipazione. Cotillard, nelle vesti di una donna segnata dal dolore e dell'insicurezza, fornisce una buona prova attoriale e il conformismo dei colleghi (che chiedono invariabilmente "quanti tra quelli con cui hai parlato hanno rinunciato al bonus?") è reso con efficacia.
Tuttavia, il limite dei fratelli Dardenne (come anche nel loro precedente "Il ragazzo con la bicicletta") è quello di scegliere un registro neorealista che viene contraddetto dallo sviluppo della narrazione e, in questo caso, dalle premesse stesse del film. E questo, nonostante la bravura di alcuni personaggi, rende il lavoro meno coerente e godibile e diminuisce sensibilmente, a mio giudizio, il piacere della visione.
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[+] bella recensione, però......
(di francesco2)
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(di mikiikim)
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ashtray_bliss
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domenica 16 novembre 2014
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crisi e denaro lacerano le relazioni umane.
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Crudo, schietto, ruvido proprio come e' la realta che viviamo sulla nostra pelle, specialmente da quando la catastrofica crisi economica ha bussato alla nostra porta. Mettendo a dura prova noi ma di conseguenza anche le relazioni umane che ne derivano. Un'analisi cristallina e chirurgica di come il potere dei soldi in tempi di crisi, come una bilancia e' in grado di pesare a discapito del valore umano e del suo potenziale ma a favore dei soldi.
Questo e' il sunto di questa opera importante, belissima, che ti travolge in pieno e ti urta come un'auto in corsa. Perche' Sandra rappresenta tutti noi, che provati dal destino, lottiamo per mantenere vivo quel lemento che e' ancora in grado di mantere integra la nostra dignita': il lavoro.
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Crudo, schietto, ruvido proprio come e' la realta che viviamo sulla nostra pelle, specialmente da quando la catastrofica crisi economica ha bussato alla nostra porta. Mettendo a dura prova noi ma di conseguenza anche le relazioni umane che ne derivano. Un'analisi cristallina e chirurgica di come il potere dei soldi in tempi di crisi, come una bilancia e' in grado di pesare a discapito del valore umano e del suo potenziale ma a favore dei soldi.
Questo e' il sunto di questa opera importante, belissima, che ti travolge in pieno e ti urta come un'auto in corsa. Perche' Sandra rappresenta tutti noi, che provati dal destino, lottiamo per mantenere vivo quel lemento che e' ancora in grado di mantere integra la nostra dignita': il lavoro. E proprio li' dove si lotta per tovare un briciolo di umanita' e solidarieta' nonche' empatia ci si scontra con un muro impossibile d'abbattere. Il muro dei soldi, dell'avidita', dell'egoismo che lacera le relazioni umane, distugge le persone, e promuove solo ulteriore divisione e distacco. Sandra, non e' altro che una marionetta le corde della quale sono guidate da un sistema corrosivo che inghiottisce le persone, le corrompe e non fa' altro che aumentare le crepe di fragili e gracili interazioni. I soldi ci governano e il prezzo che dobbiamo pagare e' sacrificare il nostro spirito di solidarieta', umanita', compassione, empatia.
La battaglia di Sandra e' emblematica, e' coraggiosa ed importante. Ci permette in breve tempo di esaminare a fondo quanto siano disposti i nostri concitaddini e collaboratori a sacrificare per noi. Il noi versus l'io. Molti si riconvincono, si dispiacciono e cambiano idea. Perche' Sandra fa' parte del gruppo e non e' giusto che venga eliminata. Ma altrettanti si arrabbiano, s'infuriano, etichettandola come una ladra che cerca di rubare i soldi (prim di 1000 €) a persone che se li guadagnano col sangue, anziche' vedere la realta' di una donna che dopo una grave condizione personale (depressione) sta rischiando di perdere il suo lavoro, la sua sicurezza sul futuro ma anche l'autostima, la determinazione, la fiducia in se stessa.
La bilancia pero' pende da un'unica parte. Gravando sulla psiche di una giovane donna incline al nichilismo, all'arresa e alla sconfitta. Che nonostante cio' ritrova il coraggio di visitare una ad una le persone che hanno votato contro e cercando di convincerle a cambiare idea. Ma senza mai umiliarsi, senza farsi compatire o cercare una pieta' che chi le sta difronte non vuole dimostrare. Armata solo di una gracile speranza Sandra chiede quello che le spetta: tenere il suo posto di lavoro, restare nella squadra.
Film dal grande impatto emotivo, che ti resta dentro, nel cuore, ti fa' pensare e ti fa arrabbiare constatando che il futuro della nostra societa' si presagisce sempre piu' scuro.
Regia lucida, solida, diretta. Priva di didascalie o sentimentalismi romantici. Una narazzione essenziale, umana, amara e sopratutto reale. Dove non esistono spazi per edulcorare o addolcire la pillola dell'amara realta'.
Un film che andrebbe visto da tutti, forse anche proiettato nelle scuole, perche' si tratta di un lavoro potente e attualissimo.
La Cotillard si riconfrma attrice di qualita' che dona ai suoi personaggi lo spessore umano, la gravitas che meritano. E meriterebbe un'altro Oscar per questa magnifica interpretazione.
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[+] un’opera di forte impegno sociale e umano
(di antonio montefalcone)
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veronica c
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sabato 22 novembre 2014
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"ci siamo battuti bene"
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Insinuare lo sguardo in uno spioncino per aver l’occasione di osservare dal di fuori la vita che scorre autentica; esserne risucchiati di nuovo all’interno, in un vortice di emozionalità che non nasce dal dramma incalzato, ma da un puro realismo. E’ il breve sunto di ciò che accade allo spettatore di fronte ad uno qualsiasi dei film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, maestri indiscussi del cinema belga, che del Belgio superano con naturalezza i confini, in una narrazione vivida che parla un linguaggio universale.
La cifra stilistica dei due cineasti è sempre inconfondibile, anche nel nuovo “Due giorni, una notte”, in gara per la palma d’oro al festival di Cannes ed ora finalmente, e per fortuna, distribuito nelle sale italiane.
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Insinuare lo sguardo in uno spioncino per aver l’occasione di osservare dal di fuori la vita che scorre autentica; esserne risucchiati di nuovo all’interno, in un vortice di emozionalità che non nasce dal dramma incalzato, ma da un puro realismo. E’ il breve sunto di ciò che accade allo spettatore di fronte ad uno qualsiasi dei film dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, maestri indiscussi del cinema belga, che del Belgio superano con naturalezza i confini, in una narrazione vivida che parla un linguaggio universale.
La cifra stilistica dei due cineasti è sempre inconfondibile, anche nel nuovo “Due giorni, una notte”, in gara per la palma d’oro al festival di Cannes ed ora finalmente, e per fortuna, distribuito nelle sale italiane. La vicenda è più attuale che mai: una donna lotta per tenere stretto il suo posto di lavoro, contro i profittatori e soprattutto contro se stessa, buona e fragile, troppo fragile in una realtà che non prevede spazio per la debolezza. Il rischio di far abuso di retorica e di incappare nel pietismo per i Dardenne non esiste, la macchina da presa è davvero quello che sempre dovrebbe essere: un occhio umano che si muove vigile e attento, ma anche profondamente partecipe del rapporto d’ intimità che si instaura tra l’immagine e lo spettatore.
Due giorni e una notte è il tempo che Sandra (Marion Cotillard, in uno dei suoi ruoli migliori per mimesi fisica e psicologica con il personaggio) ha per convincere i suoi colleghi a rinunciare ad un bonus di mille euro così che lei non venga licenziata dall’azienda di pannelli solari in cui insieme lavorano. Inizia un porta a porta che ci accompagna per tutto il film: Sandra non chiede solo un salario, Sandra chiede la vita. Il lavoro è continua motivazione a superare gli ostacoli del quotidiano che, più che all’esterno, si celano dentro di noi, è l’unico modo per sfuggire alla depressione sempre dietro l’angolo. Il desiderio stesso di lavorare le impedisce di lasciarsi andare, ogni pur piccolo successo le dà la forza di continuare, tanto che alla fine il risultato conta meno di quanto ci si aspettasse: “ci siamo battuti bene”, non siamo affondati nella disperazione, e nel convincere gli altri ad aiutarci ci siamo aiutati a ritrovare noi stessi. E’ un “noi” che parla di famiglia, quella famiglia che si stava spegnendo nel grigiore della malattia psicologica di lei, e che inaspettatamente, in quella che è potenzialmente una catastrofe, ritrova l’amore.
Chi cerca l’evasione, chi cerca il meraviglioso, chi cerca l’intrattenimento non veda questa pellicola che parla di vita vera. “E’ un film realistico” è una frase che viene forse pronunciata troppo spesso, e impropriamente. Qui siamo di fronte alla purezza e all’essenzialità registiche più assolute, di fronte a caratterizzazioni così riuscite che Sandra, insieme a tutti gli altri, esiste anche al di fuori dello schermo. Niente colonna sonora per i Dardenne, solo canzoni che ci parlano a singhiozzi dalla radio, insieme ai rumori, e umori, della città.
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maria cristina nascosi sandri
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venerdì 2 gennaio 2015
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il lavoro e il male di vivere, oggi
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DUE GIORNI, UNA NOTTE dei Fratelli DARDENNE ( di Maria Cristina NASCOSI SANDRI )
La m.d.p., usata spesso a mano, per dare più drammaticità alla vicenda che man mano si dipana sotto ai nostri occhi, indugia, saepe et libenter sul viso intenso, bellissimo anche senza trucco, anzi grazie a ciò ancor più vero ed autentico nel divenire del plot, di Marion Cotillard, stavolta operaia sull’orlo di perdere il lavoro grazie a giochi perversi ed anche un po’ banali, quasi scartati, dal kapò di turno, più spietato dello stesso padrone.
Tutto sommato una storia prevedibile, per molti aspetti, compreso il tentato suicidio un po’ troppo frettolosamente liquidato e risolto nello spazio di poche ore, lavanda gastrica e ricovero in ospedale compresi.
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DUE GIORNI, UNA NOTTE dei Fratelli DARDENNE ( di Maria Cristina NASCOSI SANDRI )
La m.d.p., usata spesso a mano, per dare più drammaticità alla vicenda che man mano si dipana sotto ai nostri occhi, indugia, saepe et libenter sul viso intenso, bellissimo anche senza trucco, anzi grazie a ciò ancor più vero ed autentico nel divenire del plot, di Marion Cotillard, stavolta operaia sull’orlo di perdere il lavoro grazie a giochi perversi ed anche un po’ banali, quasi scartati, dal kapò di turno, più spietato dello stesso padrone.
Tutto sommato una storia prevedibile, per molti aspetti, compreso il tentato suicidio un po’ troppo frettolosamente liquidato e risolto nello spazio di poche ore, lavanda gastrica e ricovero in ospedale compresi.
Ma c’è un filo rosso importante che differenzia il film dei belgi Dardenne – che paiono a tratti ripercorrere, seppur a latere, la tematica di Risorse umane di Laurent Cantet, del 1999 – da quello che sarebbe potuto essere un film girato in Italia, visto che la crisi non sta risparmiando paese alcuno: un’onestà di fondo, una coerenza di comportamento, un rispetto comunque ‘umano’, l’uno per l’altro, anche da parte di quelli che ‘girano le spalle’ alla Marion ‘licenzianda’.
La prova?
Una stretta di mano inizia a e chiude sempre il ‘contatto’ tra quelli che le sono ‘contro’, che la lascerebbero licenziare per una cifra (1000 euro) che solo ieri sarebbe stata giudicata irrisoria – beh, sempre più che 80 euro di bonus, però…
Un film da vedere, apprezzare, stimare: per imparare dai cugini d’Oltre-Oltralpe che la dignità non ha prezzo e può esser salvaguardata, mazzette, riciclaggi e ‘scandali tardivi’ a parte!.
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leonidaxx
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domenica 16 novembre 2014
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la via crucis di marillion cotillard
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I fratelli Dardenne impostano la pellicola e la regia del film intorno agli eventi sociali (gli effetti della perdita del lavoro, il conflitto tra poveri, l’abitudine di molti imprenditori di scaricare il peso delle proprie decisioni e delle proprie responsabilità sulle spalle dei lavoratori) e sul personaggio di Sandra, spingendo l’acceleratore sulle sue debolezze e sulla sua paura di perdere la propria dignità e identità (la maggior parte delle persone si identifica al 100% con il proprio lavoro), che svuotano le persone fino a farle diventare dei veri e propri fantasmi sulla via della depressione. Tuttavia, Sandra, nella sua sconfinata sensibilità ed umanità, comprende le ragioni dei colleghi che si trovano, più o meno, quasi tutti sulla sua stessa barca, sentendosi in colpa di dover chiedere ed elemosinare soldi.
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I fratelli Dardenne impostano la pellicola e la regia del film intorno agli eventi sociali (gli effetti della perdita del lavoro, il conflitto tra poveri, l’abitudine di molti imprenditori di scaricare il peso delle proprie decisioni e delle proprie responsabilità sulle spalle dei lavoratori) e sul personaggio di Sandra, spingendo l’acceleratore sulle sue debolezze e sulla sua paura di perdere la propria dignità e identità (la maggior parte delle persone si identifica al 100% con il proprio lavoro), che svuotano le persone fino a farle diventare dei veri e propri fantasmi sulla via della depressione. Tuttavia, Sandra, nella sua sconfinata sensibilità ed umanità, comprende le ragioni dei colleghi che si trovano, più o meno, quasi tutti sulla sua stessa barca, sentendosi in colpa di dover chiedere ed elemosinare soldi. (...)
Il cinema sociale dei fratelli Dardenne è stato da sempre legato all’eticità dello sguardo, alle difficoltà del dramma e alla grande tematica dell’epica proletaria, al pari di altri loro colleghi europei come Mike Leigh, Ken Loac e Robert Guédiguian, solo per citarne alcuni. Il metro stilistico di Due Giorni e una notte gira intorno alla figura di Marion Cotillard, al suo viso struccato, al suo aspetto a tratti trasandato ed ai suoi occhi ricolmi di forza, dignità e pudore. Questo è uno dei motivi per cui una regia descrittiva, e apparentemente di “servizio” dei fratelli Dardenne (costituita da molte riprese in Primo Piano e Piano Americano), è accompagnata dalla figura filmica prevalente del cinema dei fratelli Dardenne, cioè la “semi-soggettiva”: una tipologia di inquadratura che permette allo spettatore di osservare le cose insieme al personaggio del film. L’onestà morale ed il dignità di Sandra si riflettono anche nella drammatica sequenza del suo tentativo di suicidio. Senza sapere ancora l’esito di una votazione, Sandra ingerisce una scatola intera di ansiolitici davanti allo specchio del bagno, per poi rimettere tutto in perfetto ordine in un pudico gesto di “folle altruismo” per il resto della famiglia che dovrà continuare a vivere senza di lei. La scelta dei fratelli Dardenne di utilizzare una star internazionale premio oscar del calibro di Marion Cotillard, con più di 40 film all’attivo, si è rivelata piuttosto azzeccata. La Via Crucis di Sandra, fatta di lacrime, delusioni, povertà, umiliazioni e pasti frugali (lei beve acqua dalla bottigliette di plastica e in famiglia si pranza spesso con la pizza surgelata) la porterà una nuova consapevolezza che le farà recuperare il sorriso, la stima e la fiducia in se stessa, questo grazie alla solidarietà dimostrata dai suoi colleghi ed amici di tutte le etnie. La solidarietà, la dignità e consapevolezza dell’epica proletaria dei fratelli Dardenne farebbero sperare in un riscatto della classe proletaria.
Maurizio Ragazzi
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vanessa zarastro
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sabato 15 novembre 2014
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la solidarietà è la “cura”
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In una piccola città industriale Sandra, che era in malattia da qualche mese per depressione, perde il lavoro in una piccola industria di pannelli solari, dove lavorano diciassette operai, anzi sedici adesso. Avendo ottenuto la possibilità di eseguire una seconda votazione, due giorni e una notte sono il tempo che Sandra – una brava Marion Cotillard - ha per cercare di far cambiare idea ai colleghi che sono stati messi di fronte alla scelta o di incassare un bonus o di far riassumere Sandra. Aiutata da un affettuoso e collaborativo marito Manu (Fabrizio Rongione) e dall’amica e collega Juliette (Catherine Salée) vincerà le sue reticenze e insicurezze per cercare di incontrare uno a uno, i colleghi che potrebbe votare a suo favore.
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In una piccola città industriale Sandra, che era in malattia da qualche mese per depressione, perde il lavoro in una piccola industria di pannelli solari, dove lavorano diciassette operai, anzi sedici adesso. Avendo ottenuto la possibilità di eseguire una seconda votazione, due giorni e una notte sono il tempo che Sandra – una brava Marion Cotillard - ha per cercare di far cambiare idea ai colleghi che sono stati messi di fronte alla scelta o di incassare un bonus o di far riassumere Sandra. Aiutata da un affettuoso e collaborativo marito Manu (Fabrizio Rongione) e dall’amica e collega Juliette (Catherine Salée) vincerà le sue reticenze e insicurezze per cercare di incontrare uno a uno, i colleghi che potrebbe votare a suo favore.
L’inizio del film ci presenta questo sottofondo duro: la crisi per la concorrenza asiatica, l’occasione di debolezza per licenziamento e il ricatto ai lavoratori ai quali viene girata una grossa responsabilità. Così il film si svolge nella periferia di una cittadina industriale a bassa densità abitativa con casette prevalentemente a due piani e spazi collettivi come il campo da calcetto e i pub e bar di quartiere.
L'assenza di colonna sonora musicale di commento – a meno che non siano loro stessi ad mettere la musica in auto - già presente nei film precedenti (“La promesse” e “Rosetta”), si fa qui più simbolica. Non c'è armonia che possa sostenere questa giovane donna che ogni volta sembra vicina alla meta. I due autori, chiedono allo spettatore di partecipare all'angoscia della protagonista lasciando però un barlume di speranza. Nello stesso tempo l’habitat senza suoni e rumore assume una strana connotazione surreale.
Man mano il film sembrerebbe diventare corale come se le votazioni per il licenziamento fossero un pretesto cinematografico per introdurci persone e ambienti un po’ come da tradizione di certi film francesi (i fratelli Dardenne sono belgi). Si nota anche che la classe operaia è diventata ormai una classe piccolo borghese non vicinissima alla soglia di povertà. Solo uno dei colleghi dice che il bonus di mille euro potrebbe pagare la bolletta del gas di un anno.
Ogni incontro tra Sandra e il/la collega scatena una sorta di evento nelle loro vite: Anne discute con il marito e lo lascia poiché rivelatosi nella sua meschinità «è la prima volta che decido una cosa da sola» dirà finalmente liberata a Sandra. Il collega e il figlio hanno anch’essi una discussione anche fisicamente violenta e il padre, più sensibile, passa dalla parte della lavoratrice ingiustamente licenziata. Perfino il giovane africano, nonostante il suo contratto a termine, rischia il posto per portarsi dalla parte di Sandra.
Per tutti i due giorni e una notte una fragile Sandra, vestita sempre uguale, continua a mandar giù tranquillanti in eccesso, si sente umiliata nel richiedere il voto e non si sente amata nemmeno dal marito pensando di stimolare solo compassione. Man mano dalla disperazione si passa alla speranza attraverso alti e bassi che non narro. Alla fine da film drammatico sembra quasi diventare commedia e si potrebbe dire che, nonostante non avrà più quel lavoro la Cotillard ritrova fiducia in se stessa, sicurezza e anche il sorriso, grazie proprio alla solidarietà dimostrata dal piccolo gruppo di colleghi e amici.
I fratelli Dardenne raccontato tutta la vicenda con molto garbo e, nonostante il tema, con una certa leggerezza anch’essa più tipica della commedia.
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fabiofeli
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giovedì 27 novembre 2014
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il lavoro è dignità
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Sandra (Marion Cotillard) non sta lavorando perché è in malattia,attanagliata da quel morbo subdolo chiamato depressione. In sua assenza nella fabbrica belga dove è impiegata viene offerto un bonus di mille euro ai sedici lavoratori, se voteranno sì alla contemporanea riduzione di personale che comporta il licenziamento di Sandra: vi ricorda qualcosa di simile e recente in Italia? Indovinato.
La donna, sposata e madre di due figli, ha bisogno dello stipendio come dell’aria che respira, perché la sua famiglia ha cambiato casa e sta pagando un oneroso mutuo. Una sua collega, una amica cara con un minimo di cognizioni sindacali, contesta la prima votazione sfavorevole a Sandra, perché il capo del personale prima del voto ha fatto capire che chi rifiutava il bonus poteva essere licenziato a sua volta.
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Sandra (Marion Cotillard) non sta lavorando perché è in malattia,attanagliata da quel morbo subdolo chiamato depressione. In sua assenza nella fabbrica belga dove è impiegata viene offerto un bonus di mille euro ai sedici lavoratori, se voteranno sì alla contemporanea riduzione di personale che comporta il licenziamento di Sandra: vi ricorda qualcosa di simile e recente in Italia? Indovinato.
La donna, sposata e madre di due figli, ha bisogno dello stipendio come dell’aria che respira, perché la sua famiglia ha cambiato casa e sta pagando un oneroso mutuo. Una sua collega, una amica cara con un minimo di cognizioni sindacali, contesta la prima votazione sfavorevole a Sandra, perché il capo del personale prima del voto ha fatto capire che chi rifiutava il bonus poteva essere licenziato a sua volta. Il titolare accetta di far ripetere il referendum. Sandra ha solo due giorni e una notte per convincere 9 colleghi di lavoro su 16 a rinunciare al bonus per poter tornare al lavoro. Ci riuscirà? Con l’aiuto del marito (Fabrizio Rongione, già in altri cast dei film dei Dardenne), dei suoi bambini e della sua amica inizia a contattare uno ad uno i suoi compagni di lavoro. C’è un avvicendarsi di colleghi favorevoli a rovesciare il voto, nonostante la perdita del bonus, e di altri che rispondono picche, per validi o miserevoli motivi. Uno di questi ultimi non ascolta ragioni e dà in escandescenze; arriva a colpire il padre, impiegato nella stessa azienda, che cerca di frenarlo; il padre comunque voterà per Sandra. Un contrattista immigrato, nonostante il reale rischio di essere “tagliato” dall’azienda, accetta di votare per Sandra. Una collega in un primo momento nega l’aiuto, ma il comportamento autoritario ed egoista del marito, ispiratore del rifiuto, le fa cambiare idea, tanto che la donna rompe l’unione. Ma per ogni sì, c’è un no. Il tempo sembra non finire mai, oppure troppo presto: ancora troppe persone da convincere per arrivare ai fatidici 9. Sandra ricade in preda ai suoi fantasmi. E’ stanca di percorrere quelle strade, suonare ai citofoni di chi si nega: le sembra di chiedere la carità. Desidera dormire. Molto profondamente. Sembra destinata a perdere addirittura tutto …
Un film che parla del mondo del lavoro e dei drammi che un periodo di crisi come quello attuale provoca. Il continuo altalenare di Sandra tra il crollo e la ripresa di consapevolezza e fiducia in se stessa induce ad amare riflessioni su come la ricerca del profitto generi l’umiliazione e la assoluta infelicità di tanti. I piani sequenza di Sandra che cammina, sempre più a spalle curve, per le anonime stradine di Bruges e il suo disperato saluto ai suoi bambini sono un segno doloroso di tutto questo. Ma che senso ha, ci si chiede, distruggere una o più persone per un misero “pugno di dollari”? Solo chi, pur colpito dalla perdita del lavoro, recupera l’autostima e la voglia di lottare, riesce a sopravvivere. Ce la farà Sandra? Per uno che ce la fa quanti sono quelli che non resistono e si tolgono la vita?
Di nuovo una grande storia dei Dardenne, facilitati nel loro compito dalla monumentale prova della Cotillard, fragile e dolente protagonista. Un film che non ha bisogno di essere pubblicizzato – come ultimamente con ingiustificata ed irritante enfasi vediamo fare nei trailer di molti film – come una storia “vera”, perché è reale. Semplicemente reale.
Da non mancare.
Valutazione *** 1/2
FabioFeli
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nerone bianchi
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giovedì 15 gennaio 2015
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un lavoro sulla dignita'
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Di Jean-Pierre e Luc Dardenne. “Due Giorni una notte” è un lavoro che ti sorprende, soprattutto se lo vedi poco dopo un film come “Lo Hobbit”, pochissimi attori, fondamentalmente due, lei e il marito, esterni ed interni semplicissimi ed ordinari, tutta la cifra del film è all'insegna dell'assoluta normalità, di quella quotidianità ove ciascuno può ritrovarsi, eppure la storia che si racconta non ci lascia un attimo e continua a riverberare anche nei giorni successivi.
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Di Jean-Pierre e Luc Dardenne. “Due Giorni una notte” è un lavoro che ti sorprende, soprattutto se lo vedi poco dopo un film come “Lo Hobbit”, pochissimi attori, fondamentalmente due, lei e il marito, esterni ed interni semplicissimi ed ordinari, tutta la cifra del film è all'insegna dell'assoluta normalità, di quella quotidianità ove ciascuno può ritrovarsi, eppure la storia che si racconta non ci lascia un attimo e continua a riverberare anche nei giorni successivi. E' una storia di dignità, di come le conquiste dei lavoratori, faticosamente acquisite in anni e anni di lotte, siano oramai fossili di un passato che non riusciamo più neanche a ricordare. Storia di una piccola azienda che produce pannelli solari dove ai dipendenti viene servito il famoso pomo della discordia, accettare che una di loro venga licenziata in cambio di un bonus di mille euro ciascuno. La vittima parla con tutti, uno ad uno, lo fa in due giorni ed una notte, facendoci scorrere sotto gli occhi un campionario di umanità illuminante e credibile. Bravissima la protagonista, chirurgica la regia, un film importante, un lavoro che significa e che è capace di parlarci.
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no_data
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sabato 15 novembre 2014
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dardenne a colpo sicuro
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Per molti film, prima ancora che la forma o il contenuto, quello che li rende significativi è il tempo in cui vengono realizzati, il momento storico-sociale in cui vengono pensati, girati e visti. E l’ultima fatica dei Dardenne ne è una felice riprova. Davanti ad una cinica scelta (il posto di lavoro di una collega o un bonus da 1000€?) il pedale del sentimentalismo, o peggio ancora del moralismo, verrebbe spinto a fondo da qualsiasi regista zelante, che vuole portare a casa il compitino senza infamia (e soprattutto senza lode). Ma i fratelli belgi tornano a navigare in acque già battute, quelle del proletariato operaio che arranca, vivendo alla giornata, condannato per condizione, più che per capacità, a rimanere tale, e fanno centro, a timone fermo e vele gonfie.
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Per molti film, prima ancora che la forma o il contenuto, quello che li rende significativi è il tempo in cui vengono realizzati, il momento storico-sociale in cui vengono pensati, girati e visti. E l’ultima fatica dei Dardenne ne è una felice riprova. Davanti ad una cinica scelta (il posto di lavoro di una collega o un bonus da 1000€?) il pedale del sentimentalismo, o peggio ancora del moralismo, verrebbe spinto a fondo da qualsiasi regista zelante, che vuole portare a casa il compitino senza infamia (e soprattutto senza lode). Ma i fratelli belgi tornano a navigare in acque già battute, quelle del proletariato operaio che arranca, vivendo alla giornata, condannato per condizione, più che per capacità, a rimanere tale, e fanno centro, a timone fermo e vele gonfie. È una guerra tra poveri quella a cui assistiamo, seguendo il peregrinare di una Marion Cotillard, dimessa e depressa (scippata del Gran Prix all’ultimo Cannes!), che da una porta all’altra, da un collega all’altro, cerca in Due giorni, una notte di rinunciare al vantaggio economico e di votare per lei. Senza impietosire sventolando problemi e debiti, o esibendo i figli tenendoli per la manina, ma portando se stessa, il proprio lavoro, nient’altro; Lontana dal biasimare chi le dice che “i soldi mi servono”, anzi, salutando sulla guancia e ringraziando. E ad ogni “au revoir” è giusto chiedersi: “E io? Cosa farei io? Probabilmente tra qualche anno resterà solo una voce di filmografia, ma certamente ora ha il valore di un film prezioso. ****1/2
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howlingfantod
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domenica 23 novembre 2014
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da non perdere, micidiale e perfetto
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Che dire, i Dardenne dogma o no colpiscono ancora e forte anzi rendono proprio più fruibili i propri film avendo abbandonato soluzioni filmiche che come in precedenza potevano far passare in secondo piano lo sguardo documentaristico, iper realistico e allo stesso tempo empatico su una certa realtà. La realtà di periferie del nostro mondo, diseredati, marginali, comuni persone in sofferenza per case ingiuste, lontane, sconosciute ed inafferrabili come può essere l’attualissimo tema di questa grande e “misteriosa” crisi economica globale , per motivi affettivi, sociali, relegati in gabbie di emarginazione povertà fisica e morale, eppure con una forza vitale inestinguibile.
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Che dire, i Dardenne dogma o no colpiscono ancora e forte anzi rendono proprio più fruibili i propri film avendo abbandonato soluzioni filmiche che come in precedenza potevano far passare in secondo piano lo sguardo documentaristico, iper realistico e allo stesso tempo empatico su una certa realtà. La realtà di periferie del nostro mondo, diseredati, marginali, comuni persone in sofferenza per case ingiuste, lontane, sconosciute ed inafferrabili come può essere l’attualissimo tema di questa grande e “misteriosa” crisi economica globale , per motivi affettivi, sociali, relegati in gabbie di emarginazione povertà fisica e morale, eppure con una forza vitale inestinguibile. La sceneggiatura micidiale come un marchingegno perfetto e preciso come una lama tagliente scava la storia scarna da cui anche in questa prova i dialoghi e la storia si stagliano creando interi mondi di persone in lotta per la sopravvivenza facendone dei piccoli grandi eroi. Come la protagonista Sandra, una splendida Marion Cotillard, facendosi interprete di una giovane donna, madre e moglie depressa in lotta per mantenere il proprio posto di lavoro e che va ad incastrarsi con la sua storia con la riflessione sulla solidarietà umana esplicata nei colloqui della protagonista con i suoi colleghi di lavoro per convincerli, con l’innocenza e la semplicità a fare in modo con il loro voto e rinuncia a fare sì che lei non venga licenziata, il tutto in un week end. Un espediente apparentemente molto semplice sul quale si snoda tutto il film, con i vari colloqui e le varie espressioni dei sentimenti umani qui condensati in un piccolo insignificante mondo che apre riflessioni molto più ampie. La depressione e la speranza, la lotta e la rinuncia, la pietas, Bellissimi scorci di umanità, coraggio, tenacia e paure, sempre con un barlume di luce in fondo come in tutti i film dei grandi fratelli Dardenne. Menzione speciale alla canzone " la nuit n'en finit plus" di Petrula Clark e al suo perfetto inserimento e funzionalità nel film, da notare il suo scarto fra la malinconia del testo e la dolce allegria del motivo musicale tale da poter innescare un dibattito fra uditivi e cinestetici che qui non può aver sede.
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