Habemus Papam |
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Un film di Nanni Moretti.
Con Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli.
continua»
Commedia,
durata 104 min.
- Italia, Francia 2011.
- 01 Distribution
uscita venerdì 15 aprile 2011.
MYMONETRO
Habemus Papam
valutazione media:
3,73
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Todo cambia. Moretti nodi canio mancusoFeedback: 100 |
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martedì 7 giugno 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Il protodiacono sta per pronunciare il nome del nuovo Papa, ma il grido gli muore in gola, preceduto da quello del cardinale Melville Piccoli, appena eletto. Il proscenio è deserto, il protagonista non si mostra. Durante lo scrutinio, i cardinali hanno ascoltato con terrore il rosario dei nomi scanditi dalle schede, pregando che Dio li dimenticasse. I loro pensieri giocavano un’immensa partita a ciapanò. “Ti prego, Dio, non scegliere me”. Con Habemus Papam, Moretti sceglie la strada del rovesciamento del topos: se la (cattiva) letteratura e il cinema sono zeppi di cardinali in fregola e camerlenghi assassini, il regista posa lo sguardo sul cuore fragile dell’uomo. Troppo facile rappresentare gli intrighi di corte per il trono papale. D’accordo: troppo facile. Raccontare la storia di un uomo nudo coi suoi tormenti, esalta l'autore che voglia alzare l’asticella dello stile. Ecco perché il film lascia a bocca asciutta: la scrittura non è all’altezza del soggetto. Il senso di inadeguatezza è reso in modo aprioristico: nessuno dei papabili vorrebbe essere scelto. L’apoteosi del Non sum dignus. Il ribaltamento è ideologico, senza sfumature. I toni della commedia e quelli del dramma non sono in armonia; ogni elemento vive di vita propria, appagandosi di felici forzature: le cadenze comiche da una parte; il dramma individuale dall'altra. Le buone trovate non mancano, ma si logorano nella ripetizione del motivo: l’infinito torneo di volley tra i vecchi rimba, ideato dallo psicanalista despota, che diventa un animatore da villaggio Valtour; la guardia svizzera ingorda; i cardinali spaesati, prigionieri di un mondo parallelo. Piccoli vaga alla ricerca di un sì o di un no, ma senza che lo spettatore si appropri della sua inquietudine. Già, la commistione tra commedia e dramma. Non parlo della semplice mescolanza dei toni, che nel cinema è possibile (per me auspicabile), ma di una sceneggiatura capace di immergersi appieno nella questione di un'anima assediata dal dubbio. Ciò non accade, se non a sprazzi. L’abnorme sequenza sportiva è un esercizio narcisistico in cui Moretti si specchia indisturbato. Vorresti invocare Dino Risi, che gli dicesse: “Spostati e fammi vedere il film!”. Il nodo della partitura è irrisolto, perché l’argomento non caratterizza il racconto. La storia si sarebbe potuta ambientare nel circolo degli Amici della musica, senza differenze sostanziali nella struttura narrativa. Melville ha paura e scappa. Ovvio. Ha senso ridurre l’angoscia di un uomo alla fuga di un anziano dal dopolavoro? Un dissidio interiore in cui tutti gli elementi galleggino in superficie, non è un dramma, ma un espediente retorico. Anche l'intenzione di restituire i prelati alla loro dimensione umana, troppo umana, sa di stantio. Soprattutto per il modo, da benevola canzonatura, in cui Moretti l'ha tradotta: una sfilata di anime candide, disarmate di fronte alla vita. Qui ci si aspetterebbe che il racconto lievitasse, che non restasse campato nell'aria della farsa. E invece… Moretti ha sottolineato come la conclusione del film spiazzi lo spettatore. Eppure è scontatissima, viste le premesse. Il problema non è spiazzare con una trovata, ma disorientare con un punto di vista. Un critico ha affermato che nel film manca Dio, cioè un sentimento assoluto che dia vita ai personaggi e ne illumini le ragioni. Io penso che manchi la complessità; il disegno resta un abbozzo. Come la poesia che avrebbe potuto esprimere.
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