tetsuya
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mercoledì 18 ottobre 2017
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audace manifesto contro l’oscurantismo religioso
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“Agorà”, ambiziosa produzione storica del regista premio Oscar Alejandro Amenábar, è un’opera assai controversa che da un lato si fa carico di tematiche e messaggi importanti, forse anche troppo, ma dall’altro si lascia soffocare da alcuni evidenti difetti che ne tradiscono l’anima squisitamente spettacolarizzata. Procediamo con ordine.
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“Agorà”, ambiziosa produzione storica del regista premio Oscar Alejandro Amenábar, è un’opera assai controversa che da un lato si fa carico di tematiche e messaggi importanti, forse anche troppo, ma dall’altro si lascia soffocare da alcuni evidenti difetti che ne tradiscono l’anima squisitamente spettacolarizzata. Procediamo con ordine.
L’intera pellicola è sostanzialmente distinguibile in due scenari, due ordini di eventi che si susseguono incessantemente, quasi rincorrendosi, l’un l’altro: riflessioni filosofiche e matematico-esistenziali (ridotte, ahimè, a mero espediente narrativo), e volgari schermaglie su pubblica piazza (cui a mio avviso è concesso fin troppo spazio). In “Agorà” convivono dunque due realtà che, a ben vedere, altro non sono che viva e pulsante rappresentazione di due aspetti della natura stessa dell’uomo: nobile ricerca della verità (che spinge al perfezionamento mediante la confutazione d’ogni certezza), e violento oscurantismo (buio rifugio per menti ottenebrate dal più becero fanatismo). In questo modo Alessandria d’Egitto, teatro della vicenda, si trasfigura animo umano, nel quale si scontrano inevitabilmente le più disparate emozioni in tumulto. O meglio, questo è ciò che “Agorà” dovrebbe essere. La presa di posizione dell’Amenábar è però eccessivamente netta ed impietosa: se da un lato c’è la ragione, allora dall’altro deve necessariamente esserci l’irrazionalità. Un simile e categorico modo di vedere non può che trasporsi su schermo nella più elementare distinzione dei ruoli tra personaggi: ecco dunque che su due fronti opposti troviamo da un lato i “buoni”, Ipazia, la giovane astronoma protagonista della pellicola (interpretata in modo abbastanza soddisfacente dalla bella Rachel Weisz) ed i suoi studenti, e dall’altro i “cattivi”, vale a dire i fanatici cattolici. Come si può molto facilmente intendere una così categorica distinzione caratteriale non può che far male ad un film già di per sé in crisi, complice la delicatissima tematica della quale si fa portavoce. Si, perché “Agorà” in questo sconvolge per attualità e per audacia: probabilmente nessun peplum nella lunga storia del genere aveva mai narrato in un modo così aspro e sfacciato lo scontro, esistente da tempo immemore, tra scienza e religione, tra verità e misticismo. L’ambizione dell’Amenábar purtroppo naufraga abbastanza impietosamente, incagliandosi come sottolineato in alcuni evidenti difetti quali una caratterizzazione dei personaggi stereotipata e ben poco approfondita, cui si aggiunga una frequente ed immotivata spettacolarizzazione hollywoodiana, che frequentemente irrompe non richiesta, specialmente durante le scene di maggior pathos, contribuendo in tal modo a soffocare ulteriormente la credibilità del prodotto finale.
Deve tuttavia spezzarsi una lancia in favore del comparto scenografico, davvero ben realizzato e sufficientemente sfruttato.
In conclusione, a ben vedere il nemico più agguerrito di “Agorà” è quell’aura di finzione che accompagna l’intero svolgimento della vicenda, finzione che è conseguenza diretta di una ben poco ragionata ponderazione caratteriale dei personaggi, e che contribuisce a dare alla pellicola l’aspetto di una lezioncina accademica su di una pagina di storia dimenticata, condita da affascinanti lineamenti di antica astronomia.
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ciccio300791
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mercoledì 13 gennaio 2016
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il ritorno del buon cinema storico
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Dopo alcuni anni di film storici spettacolari ma storicamente non molto attendibili ("300," "10000 a.C.," "L'ultima legione"), ecco finalmente una pellicola in grado di raccontare più o meno oggettivamente la storia di una delle più importanti filosofe della tarda antichità: Ipazia, attiva fra la fine del IV secolo d.C. e l'inizio del V. Le scene più riuscite sono quelle in cui lei, interpretata dall'ottima Rachel Weisz, elabora teorie in opposizione a quelle tolemaiche calcolando orbite ellittiche e mostrando ciò che solo Galileo e Copernico avrebbero confermato ben undici secoli dopo il suo assassinio da parte di Cristiani fanatici.
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Dopo alcuni anni di film storici spettacolari ma storicamente non molto attendibili ("300," "10000 a.C.," "L'ultima legione"), ecco finalmente una pellicola in grado di raccontare più o meno oggettivamente la storia di una delle più importanti filosofe della tarda antichità: Ipazia, attiva fra la fine del IV secolo d.C. e l'inizio del V. Le scene più riuscite sono quelle in cui lei, interpretata dall'ottima Rachel Weisz, elabora teorie in opposizione a quelle tolemaiche calcolando orbite ellittiche e mostrando ciò che solo Galileo e Copernico avrebbero confermato ben undici secoli dopo il suo assassinio da parte di Cristiani fanatici. Il film lascia sbalorditi al pensiero che una donna sia stata la vera fondatrice di teorie solitamente attribuite a filosofi e scienziati uomini e, soprattutto, all'idea che San Cirillo, venerato dalla Chiesa cattolica come secondo protettore degli innamorati perché morto il 14 febbraio come San Valentino, sia stato così gretto e ostile nei confronti di una donna. La filosofa fu tra le prime a contestare quanto scritto nella Bibbia per via dei propri esperimenti scientifici. Lo stesso Cirillo, inoltre, approvò la distruzione della biblioteca di Alessandria facendo sì che gran parte del sapere noto agli antichi non giungesse fino a noi. Poiché "Agorà" si sofferma moltissimo sulle opere disoneste compiute da un "Santo," lo sconsiglierei ai cattolici praticanti e, naturalmente, ai misogini (incapaci di valorizzare il vero ruolo delle donne nella storia) e agli storici conservatori (incapaci di interpretare la storia dal punto di vista dei vinti). Ottime le inquadrature e le ricostruzioni degli ambienti antichi, bravo Sammy Samir nel ruolo di Cirillo. La trama è avvincente e, come tale, mescola il piacere della rivisitazione storica a quello del ritmo incalzante del film.
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great steven
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martedì 3 novembre 2015
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fatto storico dell'egitto che entra nel medioevo.
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AGORà (ESP, 2009) diretto da ALEJANDRO AMENABAR. Interpretato da RACHEL WEISZ, MAX MINGHELLA, OSCAR ISAAC, ASHRAF BARHOM, MICHAEL LONSDALE, RUPERT EVANS, HOMAYOUN ERSHADI, SAMMY SAMIR, RICHARD DURDEN, OMAR MOSTAFA
Alessandria d’Egitto, 391 dopo Cristo. La città egiziana, nell’impero nordafricano ormai decaduto, conserva ancora il suo antico splendore, rappresentato non soltanto dall’immensa biblioteca (la più grande al mondo dell’epoca) ma anche dal fervore della ricerca scientifica. Fra gli insegnanti del posto spicca, per acume e intelligenza, la bella e giovane Ipazia, figlia del geometra e filosofo Teone, che tiene lezioni ad una classe composta interamente di schiavi.
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AGORà (ESP, 2009) diretto da ALEJANDRO AMENABAR. Interpretato da RACHEL WEISZ, MAX MINGHELLA, OSCAR ISAAC, ASHRAF BARHOM, MICHAEL LONSDALE, RUPERT EVANS, HOMAYOUN ERSHADI, SAMMY SAMIR, RICHARD DURDEN, OMAR MOSTAFA
Alessandria d’Egitto, 391 dopo Cristo. La città egiziana, nell’impero nordafricano ormai decaduto, conserva ancora il suo antico splendore, rappresentato non soltanto dall’immensa biblioteca (la più grande al mondo dell’epoca) ma anche dal fervore della ricerca scientifica. Fra gli insegnanti del posto spicca, per acume e intelligenza, la bella e giovane Ipazia, figlia del geometra e filosofo Teone, che tiene lezioni ad una classe composta interamente di schiavi. Fra questi vi sono Oreste, musicofilo che cerca di attirare la sua attenzione, e Davo, ammaliato dalla sua bellezza e dalla sua cultura. Ma il problema più urgente che attanaglia Alessandria è la presenza di molteplici religioni su uno stesso territorio: convivono, in modo non troppo pacifico, pagani, cristiani ed ebrei. Guidati dal vescovo Cirillo e avvalendosi del braccio armato dei fanatici monaci parabalani, i cristiani, appoggiati anche dalla compiacenza di Roma, finiscono per prevalere e mettono a ferro e fuoco la metropoli costruendo un’autentica insurrezione, estremamente violenta, che invade le strade e distrugge irreversibilmente i preziosi manoscritti della biblioteca, nei quali è conservato l’intero sapere antico. I ribelli cristiani annullano così ogni altra forma di culto e regolano i conti con quello che oggidì verrebbe definito il "pensiero laico" di Ipazia. Il merito essenziale di questo kolossal (finalmente) di stampo del tutto europeo risiede soprattutto nell’aver dimostrato la pericolosità etica e sociale di ogni forma di fondamentalismo, testimoniando anche come questo esempio di spudorato fanatismo abbia radici talmente antiche da non poter essere considerato un fenomeno recente. Vincitore di sette premi Goya (gli Oscar spagnoli) su tredici candidature, Agorà ottiene i suoi meriti mettendo in scena un peplum che, contrariamente a quanto suggeriscono le apparenze, rifugge dalla via semplice di fare del mero moralismo ricorrendo ad uno degli episodi più efferati del tempo storico mondiale ormai affacciatosi all’Alto Medioevo. La pellicola di A. Amenábar fa luce sulla diatriba ancestrale fra verità della scienza e bisogno di sapere veritiero, ricerca della sincerità e necessità di instaurare un credo religioso efficace, amore per la patria e per lo studio e desiderio irrefrenabile e incontenibile di profondere la propria fede in un’entità superiore capace di ascoltare preghiere sempre più insistenti. Dall’altra parte, i suoi torti stanno nella rappresentazione di una violenza troppo schematizzata e programmatica, in cui non si vede altro che un Maciste gonfiato ed esaltato (nel quale l’orda cristiana, quasi fosse un esercito barbaro, si rispecchia con limpida sfacciataggine) insorto per abbattere le colonne di gommapiuma, espediente-ricordo della Cinecittà di un tempo. L’operato inconfutabilmente errato e biasimevole dei cristiani finisce per essere giustificato dalla voglia di imporre un culto religioso che tuttavia non si articola su basi solide, perché alla radice c’è una sceneggiatura che, pur valorizzando le motivazioni di ambedue gli schieramenti, non dà una spiegazione plausibile dei moventi che hanno portato i "cattivi" (i cristiani, appunto, il che suona abbastanza raro e insolito in un’opera cinematografica) a comportarsi come farebbero oggigiorno i terroristi di Al-Qaeda o del Califfato, innalzandosi quasi a criminali ante litteram delle due organizzazioni appena citate. Un altro demerito è l’eccessiva semplificazione delle lezioni di astronomia e le dissertazioni filosofiche sul tempo che passa: roba che sa troppo di libro di scuola abusato e che sembra stata inserita all’ultimo momento per riempire un vuoto, il quale è stato banalmente colmato con un sermone degno dei peggiori oratori. Segna invece un punto a favore l’interpretazione della Weisz, misurata e attenta alle dovizie di un personaggio così sfaccettato e arricchito, in grado di interagire abilmente con tutte le figure con cui entra in relazioni, sia positive che negative, che stabiliscono le sue decisioni in frangenti situazionali carichi della massima emergenza. Peccato che muoia nuda, e la cosa non accentua certo la sua bellezza fisica o il suo talento artistico. Accanto a lei, M. Lonsdale le fa da padre che frusta lo schiavo dichiaratosi cristiano (e dunque disobbediente agli ordini imperanti) e si fa poi bastonare da lui quando esplode la rivolta, mentre O. Isaac (che confermerà qualche anno più tardi la sua bravura recitativa in ottimi film come il Robin Hood di Ridley Scott e il coeniano A proposito di Davis) interpreta con sagacia e autoironia l’allievo Oreste che poi diventa prefetto e rimane sempre al fianco della sua amata insegnante, condividendone il pensiero coerente e la purezza nell’agire.
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effebort
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venerdì 15 agosto 2014
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ipazia morì nuda, fatta a pezzi
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Caro Zappoli, Ipazia muore nuda perché così raccontano i biografi, non per farci sognare col bel corpo della Weisz. Si informi prima di emettere sentenze.
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davide furfori
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giovedì 16 gennaio 2014
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un'occasione mancata
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Ho avuto opportunità di guardare il controverso film "Agora", di Amenabar: in teoria, la resa cinematografica della toccante storia di Ipazia di Alessandria, celeberrima studiosa della Tarda Antichità, crudelmente trucidata da una banda di violenti cristiani; in realtà, una combinazione purtroppo poco riuscita di affresco storico, manifesto ideologico e triangolo amoroso.
Molti hanno accusato il film di essere anti-cristiano: non è esatto. Agora è un film anti-religioso: tutte e tre le confessioni che vi compaiono (pagani, ebrei e cristiani) hanno occasione di mostrare l'ignoranza, la violenza, l'arroganza, l'odio di parte che evidentemente il regista crede insiti nello stesso concetto di fede: i pagani sono arroganti ed elitari e raccogliendo stoltamente una provocazione cristiana mettono in moto una rivolta che si conclude con la distruzione della biblioteca di Alessandria e la messa fuori legge del paganesimo (qui escono di scena, con ancora un briciolo di dignità); gli ebrei sono petulanti, ipocriti e vendicativi e come i pagani per il primo atto, escono di scena alla fine del secondo, lasciando il posto al piatto forte: i cristiani.
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Ho avuto opportunità di guardare il controverso film "Agora", di Amenabar: in teoria, la resa cinematografica della toccante storia di Ipazia di Alessandria, celeberrima studiosa della Tarda Antichità, crudelmente trucidata da una banda di violenti cristiani; in realtà, una combinazione purtroppo poco riuscita di affresco storico, manifesto ideologico e triangolo amoroso.
Molti hanno accusato il film di essere anti-cristiano: non è esatto. Agora è un film anti-religioso: tutte e tre le confessioni che vi compaiono (pagani, ebrei e cristiani) hanno occasione di mostrare l'ignoranza, la violenza, l'arroganza, l'odio di parte che evidentemente il regista crede insiti nello stesso concetto di fede: i pagani sono arroganti ed elitari e raccogliendo stoltamente una provocazione cristiana mettono in moto una rivolta che si conclude con la distruzione della biblioteca di Alessandria e la messa fuori legge del paganesimo (qui escono di scena, con ancora un briciolo di dignità); gli ebrei sono petulanti, ipocriti e vendicativi e come i pagani per il primo atto, escono di scena alla fine del secondo, lasciando il posto al piatto forte: i cristiani. Questi sono il culmine di secoli di letteratura polemica: ignoranti, intolleranti, violenti, ma soprattutto brutti e sporchi, i denti gialli sempre in mostra in un ghigno diabolico, più bestie che uomini.
Il problema non è tale rappresentazione: sono esistiti tanti, troppi cristiani malvagi, intolleranti e violenti, ma il film suggerisce che quasi tutti, se non proprio tutti i cristiani siano così. Non ce n'è uno con cui il pubblico sia invitato a simpatizzare: Davo, schiavo liberato e convertito (per interesse, non per fede) che in segreto desidera la propria padrona (e quasi la violenta dopo la conversione)? Ammonio, che dona cibo ai poveri e ai malati ma che è a capo della fazione cristiana più violenta e intransigente? Il vescovo Cirillo, antisemita e misogino? O il vescovo di Cirene (che in una gaffe del traduttore viene pronunciato Sirene), uomo pio, saggio, amico e protettore di Ipazia... fin quando scopre con orrore che lei, proto-copernicana, promuove il modello eliocentrico?
Non basta questo però a rendere brutto un film. Passiamo dunque al principale problema: la nostra eroina, Ipazia, la filosofa, la libera pensatrice, non fa niente per meritarsi la simpatia del pubblico: è un personaggio bidimensionale, definita dalle proprie ricerche; in scene chiave si trasforma nel megafono con cui il regista esprime le proprie opinioni sul rapporto tra fede e scienza, con frasi come "il vostro dio non si è mostrato migliore dei suoi predecessori"(al vescovo Cirillo), "io credo nella Filosofia"(dopo essere stata accusata di non credere in niente) e "voi non mettete in dubbio ciò in cui credete"(al vescovo di Cirene che le chiede la differenza tra un cristiano come lui e lei, che rifiuta la conversione). è assente, non ha attaccamento verso niente e nessun altro personaggio. è difficile empatizzare con la protagonista tragica della vicenda se neanche a lei importa di quello che le possono fare. In conclusione, più che una triste vicenda di evitabile violenza, risulta una deprimente allegoria della ragione vittima dell'irrazionalità, la storia di una persona che per orgoglio rifiuta di scendere a compromessi con il resto del mondo, sicura che ciò che pensa è vero e giustificata nel suo disprezzo per chi non la pensa come lei.
Proprio ciò che, secondo il regista, fa un credente in qualsiasi fede.
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rita branca
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domenica 14 luglio 2013
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eppur si muove!
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Agorà (2009) film di Alehandro Amenàbar con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac e Ashraf Barhom.
Toccante opera che ripercorre la storia dell’uomo, nella sua follia bellica e cieco fanatismo religioso a partire dal quarto secolo dopo Cristo, dalle lotte fra cristiani e pagani prima a quelle fra cristiani ed ebrei dopo.
Al centro della vicenda spicca la figura illuminata dell’astrologa filosofa Ipazia nell’Alessandria d’Egitto sede di una preziosissima biblioteca che la furia di lotte insensate distrugge insieme a tante opere d’arte: cliché rimasto tristemente invariato nel corso dei secoli fino ai giorni nostri.
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Agorà (2009) film di Alehandro Amenàbar con Rachel Weisz, Max Minghella, Oscar Isaac e Ashraf Barhom.
Toccante opera che ripercorre la storia dell’uomo, nella sua follia bellica e cieco fanatismo religioso a partire dal quarto secolo dopo Cristo, dalle lotte fra cristiani e pagani prima a quelle fra cristiani ed ebrei dopo.
Al centro della vicenda spicca la figura illuminata dell’astrologa filosofa Ipazia nell’Alessandria d’Egitto sede di una preziosissima biblioteca che la furia di lotte insensate distrugge insieme a tante opere d’arte: cliché rimasto tristemente invariato nel corso dei secoli fino ai giorni nostri.
Si rimane ammutoliti davanti all’ottusità che, intimorita dall’arte e dalla scienza, dalla cultura insomma, infierisce contro di lei nella maniera più volgare.
Il film è coinvolgente dalla prima all’ultima sequenza, commuove e fa nascere un senso di scoramento e ribellione mentre fa riflettere su quanto sia ancora lungo il cammino verso un mondo che possa dirsi davvero degno dell’intelligenza umana.
Armonico sotto ogni punto di vista.
Da far circolare nella scuola.
Rita Branca
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onufrio
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sabato 13 luglio 2013
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scontro fra religioni
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Alessandria d'Egitto, 391 d.C. , la filosofa Hypatia (R.Weisz) spiega ai ragazzi i misteri del pianeta, il sole, le stelle, la luna e discute su nuove teorie all'epoca impensabili; ma in quell'epoca avviene uno scontro tra religioni, coi cristiani sempre più numerosi che iniziano a proclamare la propria fede anche in modi poco pacifici; scoppiano le rivole fra cristiani e pagani, e poi, non sazi, scoppiano le rivolte fra cristiani ed ebrei. Hypatia, ovviamente pagana, si rifiuta di battezzarsi, e allora i cristiani decidono di ucciderla, a causa anche delle sue strane ipotesi fatte sulla Terra. Il film affronta troppe tematiche tutte in una volta, senza entrare mai nel cuore dei fatti; rimangono interessanti comunque le teorie di Hypatia ed il modo in cui spiega l'astronomia ai suoi ragazzi; sconcertante è invece la violenza dei Cristiani che bramano sangue e vendetta contro chiunque.
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jacopo b98
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mercoledì 1 maggio 2013
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agorà di alejandro amenàbar - interessante
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Nel 391 d.C. ad Alessandria d’Egitto la filosofa Ipazia (Weistz) assiste al nascere dei fanatismi religiosi tra cristiani e pagani. Quando la lotta diventa violenta l’imperatore autorizza i cristiani a fare quello che vogliono della grande biblioteca, dove la donna lavora. Nel 415, quando si rifiuta di battezzarsi in pubblico, viene schiacciata dalla società cristiana, maschilista ed arretrata, e si fa uccidere dal suo vecchio schiavo (Minghella), prima di venire lapidata. Mantiene così la sua libertà di donna e filosofa. È un kolossal storico tra i più imponenti e costosi mai prodotti in Europa: cinquanta milioni di dollari spesi in scenografie, costumi e scene di massa.
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Nel 391 d.C. ad Alessandria d’Egitto la filosofa Ipazia (Weistz) assiste al nascere dei fanatismi religiosi tra cristiani e pagani. Quando la lotta diventa violenta l’imperatore autorizza i cristiani a fare quello che vogliono della grande biblioteca, dove la donna lavora. Nel 415, quando si rifiuta di battezzarsi in pubblico, viene schiacciata dalla società cristiana, maschilista ed arretrata, e si fa uccidere dal suo vecchio schiavo (Minghella), prima di venire lapidata. Mantiene così la sua libertà di donna e filosofa. È un kolossal storico tra i più imponenti e costosi mai prodotti in Europa: cinquanta milioni di dollari spesi in scenografie, costumi e scene di massa. La storia è vera, anche se Amenàbar, anche sceneggiatore, si è preso parecchie libertà e l’ha romanzata inserendo la storia d’amore, in realtà mai avvenuta, tra lei e Davo lo schiavo. È un film con ambizioni enormi, purtroppo non tutte trattate a dovere. Tocca di decine di temi diversi: amore, religione, fanatismo, politica, filosofia, arte, scienza, astronomia, letteratura e storia. Quest’ultima fa da contorno alla tormentata storia di Ipazia, che non fa altro che studiare per cercare di capire qualcosa che verrà poi teorizzato più di mille anni dopo da Keplero. La donna, non viene ritenuta degna di studiare e di vivere e viene intrappolata tra il crescente fanatismo religioso e la sua voglia di conoscere. Tuttavia spesso il regista si abbandona al gusto di stupire e tralascia il versante della psicologia dei personaggi. Lo schiavo che si innamora della padrona ed è più intelligente e percettivo degli allievi della sua padrona è una cosa già vista, come molti episodi che si ha l’impressione di vedere in ogni film, anche di serie B. Comunque lo splendore scenografico è innegabile ed alcune scene di massa, vedi l’assalto dei cristiani alla biblioteca, sono eccellenti. Gran finale strappalacrime, ma comunque emozionante. Contribuiscono molto al tutto le musiche di Dario Marianelli.
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germon
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lunedì 11 febbraio 2013
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agorà: mai inginocchiarsi
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Gerardo Monizza
Intorno al Quattrocento dopo Cristo Alessandria d’Egitto era una città cosmopolita dove riuscivano a convivere –non senza frizioni – comunità di ebrei in esilio (ma fortemente radicate), cristiani neo battezzati, ma sereni, e cristiani integralisti e missionari della nuova fede, attivi fino alla violenza. I pagani erano ancora numerosi, soprattutto nel ceto patrizio, e com’era costume tra i romani tolleravano le altre religioni. L’èlite intellettuale si confrontava aspramente su questioni religiose, teologiche, filosofiche, matematiche e astronomiche con discussioni costanti tra studiosi di ogni età e formazione.
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Gerardo Monizza
Intorno al Quattrocento dopo Cristo Alessandria d’Egitto era una città cosmopolita dove riuscivano a convivere –non senza frizioni – comunità di ebrei in esilio (ma fortemente radicate), cristiani neo battezzati, ma sereni, e cristiani integralisti e missionari della nuova fede, attivi fino alla violenza. I pagani erano ancora numerosi, soprattutto nel ceto patrizio, e com’era costume tra i romani tolleravano le altre religioni. L’èlite intellettuale si confrontava aspramente su questioni religiose, teologiche, filosofiche, matematiche e astronomiche con discussioni costanti tra studiosi di ogni età e formazione. La cosiddetta Scuola alessandrina (di impostazione neoplatonica) divenne un centro rispettato e riconosciuto per la libertà di pensiero applicata dai suoi aderenti.
In questo clima storico (che fa solo da sfondo al film) si muove Ipazia (Alessandria circa 370-415) donna bella e intelligente, libera nella mente e svincolata da passioni amorose e sessuali. È una donna di grande modernità (interpretata da Rachel Weisz) incapace di inginocchiarsi alla scienza (dubitando sempre dei risultati) e alla religione. Ciò le procura dei nemici: Cirillo innanzitutto (un efficace e drammatico Sami Samir) nipote del forte vescovo Teofilo (“che resse con mano ferma la diocesi alessandrina” parole di Benedetto XVI) e poi vescovo egli stesso (manterrà per 32 anni la carica, fino alla morte).
Nel film “Agorà” (2009) di Alejandro Amenábar (Vanilla Sky, 2001; The Oters, 2001; Mare dentro, 2004) la figura di Cirillo d’Alessandria è presentata nella sua metà negativa di uomo d’azione (sempre Benedetto XVI eufemisticamente: “che governò con grande energia”) capace di tessere legami politici, ma soprattutto in grado di imporre – con la forza - la dottrina cristiana a coloro che non volevano accettarla. La Storia della Chiesa accenna al carattere violento di Cirillo conosciutissimo già al suo tempo, abile uomo di potere capace di dare ai cristiani delle origini visibilità e coesione fortissime. Tuttavia Cirillo (proclamato Dottore della chiesa nel 1882 da papa Leone XIII) fu anche un eccellente e convincente predicatore e un teologo capace di contrastare le eresie del tempo (la discussione sulla natura solo umana, solo divina o sulle due nature nella stessa persona del Cristo) e il film Agorà un poco accenna, ma molto di striscio a tali questioni comunque importanti per comprendere le azioni che ne derivano (andavano meglio precisate nella sceneggiatura dello stesso regista con Mateo Gil).
Questioni importanti perché rivelano l’intolleranza dei pensatori appartenenti a scuole differenti. Anche il clima di latente violenza è ben ritmato dal montaggio (Nacho Ruìz Capillas) che riesce a incalzare l’azione e le varie storie che si intrecciano.
Alessandria e la famosa Biblioteca (ricostruite in 3D) sono verosimili e la scenografia (Guy Days) non si avvicina mai al realismo del mondo antico di cartapesta lasciando una sfumatura di vaghezza che aiuta i personaggi principali ad emergere. Anche per merito dei costumi rudi eppure raffinati (disegnati da Gabriella Pascucci).
Accusato di aver creato un film anti-cattolico Amenábar s’è difeso offrendo una lettura deviante: è un film su fanatismo e intolleranza. Difesa troppo facile perché il valore è un altro e ancora più chiaro: Ipazia muore senza cedere; senza inginocchiarsi; senza mai piegare né il suo cuore (alla convenienza di un sentimento che l’avrebbe certamente salvata) né davanti a Cirillo (che avrebbe agito per invidia, come scrivono gli storici contemporanei anche cristiani); né davanti alle parole di Paolo (dalla lettera a Timoteo). Accusata dai parabolani (guardie del vescovo e carnefici) di empietà e stregoneria non cede. Davanti all’altare rimane in piedi fino all’ultimo, martire laica. Perché la “parola” anche se dettata da Dio non può essere – mai - usata come una spada.
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rescart
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martedì 8 gennaio 2013
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oggi come allora?
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Ai nostri tempi un personaggio politico attempato che rinsavisce con la vecchiaia e con il secondo divorzio è stato sollevato dalla scomunica che prima incombeva su di lui essendosi risposato dopo il primo, pretende di attaccare lo strumento (twitter) in sé anziché chi lo utilizza. Forse ritiene se stesso come ogni altro utilizzatore finale privo di colpa. Sembra di sentire riecheggiare le parole dell’apostolo Giacomo che nella sua lettera, contenuta nel nuovo testamento, se la prendeva con la lingua, l’organo del corpo umano colpevole di portarci alla rovina. Ma come non è lo strumento di comunicazione che porta alla rovina, così non è la donna a condurre l’uomo verso la via della perdizione, come sembra dire Tito nel brano tratto dalla sua lettera e citato in questo film.
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Ai nostri tempi un personaggio politico attempato che rinsavisce con la vecchiaia e con il secondo divorzio è stato sollevato dalla scomunica che prima incombeva su di lui essendosi risposato dopo il primo, pretende di attaccare lo strumento (twitter) in sé anziché chi lo utilizza. Forse ritiene se stesso come ogni altro utilizzatore finale privo di colpa. Sembra di sentire riecheggiare le parole dell’apostolo Giacomo che nella sua lettera, contenuta nel nuovo testamento, se la prendeva con la lingua, l’organo del corpo umano colpevole di portarci alla rovina. Ma come non è lo strumento di comunicazione che porta alla rovina, così non è la donna a condurre l’uomo verso la via della perdizione, come sembra dire Tito nel brano tratto dalla sua lettera e citato in questo film. Né la donna è quello strumento di satana, del dragone antico, come appare nella Genesi col racconto di Adamo ed Eva che nel paradiso terrestre mangiano del frutto della conoscenza del bene e del male: la mela proibita. La scienza oggi ci dice che la terra e tutto l’universo non furono creati in 6 giorni da un essere superiore comunemente chiamato dio. Dall’evoluzionismo apprendiamo di essere solo mammiferi come le scimmie o gli orsi e che la filogenesi è la prova di come in tempi antichi fossimo stati dotati di branchie. In definitiva l’uomo non è al centro del disegno divino come la terra non è al centro del sistema solare, ma solo uno dei tanti pianeti che ruotano attorno ad esso, con il solo merito di avere un insieme di caratteristiche tali da aver favorito su essa anziché altrove la nascita ed il fiorire della vita in tutte le sue forme. Se una cosa distingue l’uomo dall’animale è l’essere dotato di intelligenza, di capacità di astrazione. Quella che permise a Ipazia di scoprire che il cerchio non era la sola possibile conica e così ipotizzare che le orbite dei pianeti, terra in primis, non fossero circolari ma ellittiche, con il sole ad occupare uno dei fuochi. Come Gesù Ipazia fu uccisa per motivi politici, perché non voleva, come pretendevano di fare i falsi cristiani parabolani, una rivoluzione ma solo studiare più a fondo quella dei pianeti intorno al sole. Questa sua “mania” fu scambiata per stregoneria, commettendo lo stesso errore che farebbe un osservatore affrettato o in mala fede che confondesse l’astronomia con l’astrologia. Probabilmente nella biblioteca di Alessandria vi saranno state anche opere di astrologia, ma volerle distruggerle poteva solo essere la manifestazione di quella atavica paura della morte che invece non ebbe Stefano, il protomartire cristiano, quando vide nei suoi carnefici nient’altro che dei peccatori abbandonati da dio fra le braccia di questa superstizione delle stelle.
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