nicola cappai
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mercoledì 25 aprile 2007
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tecnica da brivido
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tecnica da brivido,inquadrature studiate alla perfezione ed elaborate in maniera chirurgica,la telecamera e' sempre posizionata non nel punto migliore ma nel punto che rende l'immagine piu interessante,il pianosequenza iniziale sulla suora e'un microcapolavoro( se notate bene la telecamera trema)reso ancora piu inquietante dalla musica magistrale.il film non perde mai di ritmo,dialoghi frizzanti ed intelligenti("il mio ultimo pensiero sara' per te"),montaggio eccezionale,semplice e non convenzionale allo stesso tempo.attori che recitano veramente bene:scene cult come quella del funerale della madre di laura chiatti,la scena quando geremia non da al bambino il gianduiotto,e molte altre,scenografie a dir poco belle (pensate alla sartoria,ai colro vivi etc.
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tecnica da brivido,inquadrature studiate alla perfezione ed elaborate in maniera chirurgica,la telecamera e' sempre posizionata non nel punto migliore ma nel punto che rende l'immagine piu interessante,il pianosequenza iniziale sulla suora e'un microcapolavoro( se notate bene la telecamera trema)reso ancora piu inquietante dalla musica magistrale.il film non perde mai di ritmo,dialoghi frizzanti ed intelligenti("il mio ultimo pensiero sara' per te"),montaggio eccezionale,semplice e non convenzionale allo stesso tempo.attori che recitano veramente bene:scene cult come quella del funerale della madre di laura chiatti,la scena quando geremia non da al bambino il gianduiotto,e molte altre,scenografie a dir poco belle (pensate alla sartoria,ai colro vivi etc..etc..,).Bellissima l'idea dei documentari di animali sulla televisione della madre invalida.Analizzate inoltre la scena della discoteca quando l'usuraio incontra lo sguardo di laura chiatti:la macchina da presa compie un movimento a dir poco complesso e efficace.Il punto di forza e' che in questo film la tecnica non e' mai fine a se stessa ma e' completamente integrata nel tessuto del contenuto della storia.Sorrentino e' come se segua le orme di lynch(pensate a certi personaggi surreali come la signora del bingo quando ha le dita fasciate)ma poi le abbandona per abbondonarsi al suo stile unico.E che dite sul fatto che geremia,il personaggio che ci dovrebbe risultare piu' ripugnante(NON IN SENSO FISICO),e'l'unico personaggio piu' simpatico del film?Subdolamente Sorrentino crea quest operazione metalinguistica:sono peggiori i clienti dell usuraio dell'usuraio stesso per il fatto che vogliono i soldi per motivi futili e meschini--Comunque un film importante,fresco,innovativo,un film per gli occhi e per la mente.Insieme a Garrone Sorrentino e' uno dei registi italiani piu' innovativi degli ultimi anni,capace di creare un CINEMA TOTALE dove forma e contenuto vanno sempre a pari passo.Voglio dire una cosa guardate l 'edizione di cannes dove il finale e diverso.Io lo preferisco a quello attuale.Fatemi sapere la vostra opinione.
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darjus
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sabato 31 marzo 2007
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favola rovesciata
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“Tutti rubano, Geremì, e tutti sono infelici” dice la madre, dolente e distesa sul letto, al figlio usuraio. Non v’è speranza né redenzione in questa terra, dove sono il calcolo e la violenza della disperazione a dominare. Non v’è redenzione per un uomo come Geremia: repellente alla vista, arido e cinico dentro, ma in fondo umano, perché coartato dall’istinto di sopravvivenza che rende «cattivi» i «buoni», che altrimenti “morirebbero bambini”. E non v’è speranza, né salvezza per gli altri personaggi: vittime della loro stessa natura, dei loro passati e delle loro scelte nefaste, si dimenano per un pezzo di sogno nel mezzo dell’Agro pontino, che sembra la provincia americana, ma è solo un non-luogo statico e stantio, fatto di incubi malsani e visioni di morte.
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“Tutti rubano, Geremì, e tutti sono infelici” dice la madre, dolente e distesa sul letto, al figlio usuraio. Non v’è speranza né redenzione in questa terra, dove sono il calcolo e la violenza della disperazione a dominare. Non v’è redenzione per un uomo come Geremia: repellente alla vista, arido e cinico dentro, ma in fondo umano, perché coartato dall’istinto di sopravvivenza che rende «cattivi» i «buoni», che altrimenti “morirebbero bambini”. E non v’è speranza, né salvezza per gli altri personaggi: vittime della loro stessa natura, dei loro passati e delle loro scelte nefaste, si dimenano per un pezzo di sogno nel mezzo dell’Agro pontino, che sembra la provincia americana, ma è solo un non-luogo statico e stantio, fatto di incubi malsani e visioni di morte. Con uno stile barocco e visionario (straordinario l’uso eccessivo e ridondante di carrelli e piani sequenza), che s’intrufola sovente nel racconto condizionandone l’effetto su chi guarda, Sorrentino mette in scena un disturbante «noir partenopeo» che sembra una favola rovesciata: la principessa bacerà il rospo, ma questi non diverrà principe. ***
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mario conti
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venerdì 24 novembre 2006
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mangiare cioccolatini fa male (al mondo intero)
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Non è propriamente vero che un usuraio abbia quale suo ultimo pensiero un afflato verso coloro che vessa. Questo è in realtà il suo unico pensiero, il filo rosso di una vita spesa a far denaro (e a non spenderlo) ed a mangiare cioccolatini con autistica voracità. Chi ha detto poi che la bellezza debba necessariamente essere angelica e angelicata? Chi può permettersi di ridere di fronte al beota esaltato ed alla sua Nashville strapesana, là dove il male finisce per entrare e comodamente allignare, come se null'altro al mondo ci fosse: non l'amore, non l'attrazione, non i sogni comprati a caro prezzo da poveri disperati? Il pessimismo di Sorrentino si fa quasi cosmico, senza rinmunciare a defatiganti accenti di comico.
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Non è propriamente vero che un usuraio abbia quale suo ultimo pensiero un afflato verso coloro che vessa. Questo è in realtà il suo unico pensiero, il filo rosso di una vita spesa a far denaro (e a non spenderlo) ed a mangiare cioccolatini con autistica voracità. Chi ha detto poi che la bellezza debba necessariamente essere angelica e angelicata? Chi può permettersi di ridere di fronte al beota esaltato ed alla sua Nashville strapesana, là dove il male finisce per entrare e comodamente allignare, come se null'altro al mondo ci fosse: non l'amore, non l'attrazione, non i sogni comprati a caro prezzo da poveri disperati? Il pessimismo di Sorrentino si fa quasi cosmico, senza rinmunciare a defatiganti accenti di comico. Il problema è che la cattiveria è spesso banale e non di rado si accompagna alla banalità, alle frasi comuni di una vita ordinaria e noiosa. La cattiveria è dentro di noi e in tutte le cose che i nostri poveri occhi riescano ancora a guardare: il messaggio è semplice, ma non scontato. Stupisce, nel giovane regista napoletano, la capacità di reggere il ritmo del film infittendolo di virtuosismi tecnici ed espressivi (l'uso morbido ed avvolgente della macchina da presa, la musica che diventa essa stessa personaggio e non comparsa, i dialoghi che sfiorano un sublime surreale e un pregiatissimo nonsense). Sorrentino può ormai dirsi un mago della sceneggiatura,talmente bravo da rischiare il manierismo e l'accumulo di massime sentenzianti. Certo è che non si trovano, nell'asfittico panoramo del cinema italiano, dialoghi di così dolente brillantezza. Rilevante, inoltre, la capacità di dirigere gli attori e di far loro indossare perfette maschere che diventano una seconda pelle: personaggi sgradevoli i quali, sostenuti dalla forza incalzante della parola, si trasformano in icone da ascoltare, paradigmi della nostra (e del mondo) bassezza. Ne "L'amico di famiglia" il regista ritrova i piacevoli accenti logorroici del suo primo lungometraggio ("L'uomo in più": inestimabile gioiellino grezzo), affiancandoli alla maggiore ricordata padronanza del mezzo. Non si avverte l'assenza dell'alter ego Servillo: nè potrebbe immaginarsi una figura di usuraio più perfetta di quella incarnata da Giacomo Rizzo. L'usuraio è brutto, sporco e cattivo ed i suoi unici sorrisi sono di laida corrività e di speranza d'amore tradita. Una interpretazione magistrale.
Un non fuggevole accento merita la location del film. La livida Sabaudia, soffocante nella sua geometria littoria, e così silenziosamente complice delle inarrivabili meschinità che la abitano, si erge a chiara metafora di luogo dell'anima. Anche il mare sembra sporco e insensato, e la spiaggia, con le sue monetine perdute, rappresenta l'eterno ritorno della avidità, sentimento infinito ed imperituro come una distesa di sabbia e rifiuti.
A Bentivoglio si è già accennato: il suo sembra un ruolo di mero contorno (un po'troppo, considerando l'amore di Sorrentino per i suoi "pupi), un divertito e divertente orpello narrativo. E invece... Laura Chiatti è bella e algida: è l'avvenenza "mostrificata" dall'anima. I personaggi di contorno sono tutti ugualmente necessari, inconsapevoli (ma non troppo) pedine nello scacchiere di una generale devastazione. Abbiamo idea che Sorrentino cominci ad attraversare l'intricato destino di Nanni Moretti: si ama o si detesta. Il nostro sentimento crediamo sia chiaro.
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lunedì 13 novembre 2006
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correlativi oggettivi
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La sequenza finale di Le conseguenze dell’amore, il penultimo film di Sorrentino, uno dei talenti più originali del rinato cinema italiano, è speculare a quella iniziale de L’amico di famiglia, l’ultima fatica del regista 36enne: là un uomo in tuta da operaio sta sospeso in alto fra i tralicci dell’Enel in mezzo alle montagne, il cielo terso sullo sfondo, qui in riva a un mare piatto una donna dal volto rugoso con il velo da suora, il corpo sepolto nella sabbia, bisbiglia il rosario. Vengono in mente i correlativi oggettivi, di cui grandi poeti del ‘900 quali Eliot e Montale costellano le loro liriche: il male di vivere si concreta in immagini emblematiche, un cavallo stramazzato, la foglia accartocciata, l’indifferenza di una statua, simboli, appunto oggettivi, dell’insignificanza cosmica.
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La sequenza finale di Le conseguenze dell’amore, il penultimo film di Sorrentino, uno dei talenti più originali del rinato cinema italiano, è speculare a quella iniziale de L’amico di famiglia, l’ultima fatica del regista 36enne: là un uomo in tuta da operaio sta sospeso in alto fra i tralicci dell’Enel in mezzo alle montagne, il cielo terso sullo sfondo, qui in riva a un mare piatto una donna dal volto rugoso con il velo da suora, il corpo sepolto nella sabbia, bisbiglia il rosario. Vengono in mente i correlativi oggettivi, di cui grandi poeti del ‘900 quali Eliot e Montale costellano le loro liriche: il male di vivere si concreta in immagini emblematiche, un cavallo stramazzato, la foglia accartocciata, l’indifferenza di una statua, simboli, appunto oggettivi, dell’insignificanza cosmica. L’incipit de L’amico di famiglia è in realtà un’antologia di figure e situazioni esemplari, e introduce lo spettatore in una vicenda che si disarticola rifrangendosi in una miriade di particolari allusivi: la farsa assume la parvenza ora di tragedia ora di commedia, ma la carnevalata grottesca non si riscatta mai in una storia compiuta, nemmeno per i disillusi che ne hanno consapevolezza. E probabilmente questo il lungometraggio vuole raccontare: l’inutilità del male. Infatti dalle sospensioni della trama sbalza potente il ritratto di un malvagio e di riflesso l’amoralità contemporanea, la medesima che emerge nel meno disperato A casa nostra della Comencini: in un piccolo centro lo strisciante e fetido Geremia è “l’amico di famiglia”, l’ eccentrico e loquace benefattore in quanto, prestando il denaro ad usura, asseconda i vizi altrui. I “normali” che circondano il ripugnante Shylock italico sono schiavi di una materialità tanto più immonda quanto più nascosta dalle apparenze gradevoli: la danza in passerella della giovane Miss Agro Pontino è il meccanico rituale di una generazione senza più padri e mestieri. La deformità disprezzata e l’insana vicinanza con l’infermità della madre fanno di Geremia un Riccardo III dei pezzenti, geniale manovratore di miserabili destini: anch’egli allo stesso modo di Titta, il protagonista de Le conseguenza dell’amore o della grassa e sfinita prostituta, sua compagna di dolore, appartiene alla “setta degli insonni”, “gli angeli rumorosi”, coloro che passano la notte svegli, chiusi nel loro antro, ad ascoltare i suoni della malattia. Dunque l’insolito fa da filtro al consueto: l’architettura d’epoca fascista di Sabaudia rimanda allo spazio surreale dei quadri di Dalì e di De Chirico, il territorio di frontiera in cui l’uomo proietta la visione allucinata di una realtà angosciante, una prigione a cielo aperto dai contorni invalicabili. L’amore allora è solo un’evasione illusoria, precisamente come l’intelligenza del male. http:/slilluzicando.splinder.com
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(di luca)
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taniamarina
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martedì 12 maggio 2009
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mai confondere l'insolito con l'impossibile
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L'unico errore in questo film è la locandina che non gli rende onore. Per il resto è un film italiano degno della migliore gloria nostrana, un lucidissimo raccontare delle persone che vivono in toni bassi, e che quando cercano di emergere cadono giù, rovinosamente, in una condizione peggiore della precedente. Giacomo Rizzo è "mostruosamente" bravo come anche gli altri attori, Laura Chiatti è bellissima ma ancora immatura per queste pellicole, la madre è dipinta in modo straordinario. Un capolavoro che fa risorgere le nostre glorie, anche se non ha avuto il successo che meritava. Clicca Taniamarina su google :)
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mara65
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giovedì 14 luglio 2011
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arriva il grottesco
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Dopo i temi noir e il clima rarefatto de Le conseguenze dell'amore, Sorrentino cambia genere. Punta al grottesco, con questo personaggio strampalato, Geremia de Geremei, usuraio. Costruisce attorno una storia abbastanza classica, dove può cimentarsi con il suo stile inconfondibile. Ottime le geometrie che cerca nel taglio delle inquadrature. Lui stesso dice che il film è stato girato a Latina, per ritrovare quelle architetture spaziali alla De Chirico, nate sotto il periodo fascista. Secondo me, il finale tagliato (quello proiettato al festival di cannes) è migliore di quello che è stato montato nel film finale. Anche altre scene tagliate (presenti a cannes) sono molto belle ed è un peccato che siano state tagliate.
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lunedì 16 marzo 2015
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lynch e fellini raccontano esopo senza animali
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L'amico di famiglia è una favola nel vero senso del termine, una favola dove al posto degli animali ci sono le persone: la storia di Geremia, un usuraio avido, avaro e senza scrupoli, vittima delle sue stesse debolezze, deturpato dalla sua stessa trascuratezza. Una trama semplice e lineare, che si staglia su di uno scenario quasi metafisico, freddo e disumanizzato di architettura razionalista di Latina e Sabaudia con una fotografia degna dei lavori felliniani, che nel suo sviluppo riesce ad evidenziare le caratteristiche dei personaggi in una maniera incredibile: ed ecco che alla vivisezione psicologica del protagonista si aggiungono le figure della madre inferma che ne è il suo totem; il suo amico/tirapiedi Gino, un guitto aspirante cowboy sognatore nato nel posto sbagliato al momento sbagliato; e la bellissima Rosalba, il cui padre è un "cliente" di Geremia, al quale si rivolge per chiedere un prestito per il matrimonio di lei.
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L'amico di famiglia è una favola nel vero senso del termine, una favola dove al posto degli animali ci sono le persone: la storia di Geremia, un usuraio avido, avaro e senza scrupoli, vittima delle sue stesse debolezze, deturpato dalla sua stessa trascuratezza. Una trama semplice e lineare, che si staglia su di uno scenario quasi metafisico, freddo e disumanizzato di architettura razionalista di Latina e Sabaudia con una fotografia degna dei lavori felliniani, che nel suo sviluppo riesce ad evidenziare le caratteristiche dei personaggi in una maniera incredibile: ed ecco che alla vivisezione psicologica del protagonista si aggiungono le figure della madre inferma che ne è il suo totem; il suo amico/tirapiedi Gino, un guitto aspirante cowboy sognatore nato nel posto sbagliato al momento sbagliato; e la bellissima Rosalba, il cui padre è un "cliente" di Geremia, al quale si rivolge per chiedere un prestito per il matrimonio di lei. La caratterizzazione dei personaggi grottesca e lynchana, che sottolinea la contrapposizione bellezza e bruttezza, stagliata su di una scenografia secco e lineare, sono gli elementi chiave di un film che come Le conseguenze dell'amore scava negli abissi dell'animo umano tirando fuori un dramma esistenziale che lentamente si consuma in una tragedia: L'amico di famiglia è un film che ti disturba e ti commuove al tempo stesso, surreale e straziante, un film che è in grado di dover mettere in scena un dramma in un panorama onirico. Ed è veramente un peccato che sia tra i film più sottovalutati di Sorrentino, oscurati dal monolite fantasma de La grande bellezza.
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sara scudiero
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domenica 12 agosto 2007
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geremia de' geremei e l'umana solitudine
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Più che la storia potè Rizzo. Splendido interprete e giusto rappresentante "cinematografico" del degrado umano e fisico. La sua interpretazione è eccelsa: i suoi gesti, i suoi "detti" squisitamente significativi di un essere che nulla "ha avuto donato" sono espressione del suo solitario pensare: chi è disposto (non lo è neanche la madre)a condividere con lui il seppure minimo alito di vita vera? -"Il figlio è mio?" -"Lo saprò dopo che sarà nato, se sarà un mostro è tuo". Lui si commuove, nel suo petto batte un cuore, e non importa altro. Essere brutto e quasi deforme l'ha ormai da sempre accettato, ma per amore è disposto a cambiare vita. Dispiace a questo punto che venga raggirato. Lui ha veramente amato.
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Più che la storia potè Rizzo. Splendido interprete e giusto rappresentante "cinematografico" del degrado umano e fisico. La sua interpretazione è eccelsa: i suoi gesti, i suoi "detti" squisitamente significativi di un essere che nulla "ha avuto donato" sono espressione del suo solitario pensare: chi è disposto (non lo è neanche la madre)a condividere con lui il seppure minimo alito di vita vera? -"Il figlio è mio?" -"Lo saprò dopo che sarà nato, se sarà un mostro è tuo". Lui si commuove, nel suo petto batte un cuore, e non importa altro. Essere brutto e quasi deforme l'ha ormai da sempre accettato, ma per amore è disposto a cambiare vita. Dispiace a questo punto che venga raggirato. Lui ha veramente amato. Ha sbagliato? Io sto con lui.
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nigel mansell
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venerdì 12 ottobre 2007
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la bellezza della mostruosità
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Raccontare la mostruosità delle persone, della vita, di alcune situazioni in modo artistico che lo fa apparire quasi bello. L'architettura fascista dell'Agropontino, lineare e precisa, la quasi totale di assenza di traffico stradale si contrappone appunto alla mostruosità delle persone e delle situazioni in cui volutamente confluiscono. Il film è bellissimo, ottima regia e colonna sonora. Si esce dal cinema con l'amaro in bocca, ci sente parte di questa mostruosità se non si ha la forza di reagire. Ottimo il protagonista che viene definito un topo e infatti ne ha le sembianze e saltella appunto come un ratto, tutti gli attori sono comunque superlativi e la Chiatti fa innamorare.
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marbus
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lunedì 16 settembre 2013
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bell'amico
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Ogni volta che si guarda un film di Sorrentino, si viene catapultati in un mondo unico e particolare, esattamente come avveniva con Fellini. Questa nerissima commedia non fa eccezione. La sgradevolezza copre tutto e tutti, persone e cose. Non c'è un solo personaggio che abbia in se un seme di bontà , di pudore o una qualche possibilità di salvezza. E quello che più di tutti paga lo scotto di questa vita chiusa tra quattro mura , siano esse fisiche o interiori, è Geremia, il protagonista della pellicola nonchè il personaggio apparentemente e programmaticamente più squallido. Un uomo a cui il denaro più che per vivere nel lusso (abita in una specie di topaia)serve alimentare in se stesso una sensazione di potere che possa preludere ad una vana speranza di salvezza.
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Ogni volta che si guarda un film di Sorrentino, si viene catapultati in un mondo unico e particolare, esattamente come avveniva con Fellini. Questa nerissima commedia non fa eccezione. La sgradevolezza copre tutto e tutti, persone e cose. Non c'è un solo personaggio che abbia in se un seme di bontà , di pudore o una qualche possibilità di salvezza. E quello che più di tutti paga lo scotto di questa vita chiusa tra quattro mura , siano esse fisiche o interiori, è Geremia, il protagonista della pellicola nonchè il personaggio apparentemente e programmaticamente più squallido. Un uomo a cui il denaro più che per vivere nel lusso (abita in una specie di topaia)serve alimentare in se stesso una sensazione di potere che possa preludere ad una vana speranza di salvezza. Un uomo che ha scarsissima conoscenza dei sentimenti e che quindi sconta e subisce le conseguenze dell'amore. E da carnefice diventa vittima di un mondo che egli stesso ha contribuito a creare. E un mondo che d'altra parte con le sue piccole o grandi meschinità , ha permesso ad un personaggio come Geremia di spadroneggiare. Il tutto ambientato in una provincia assolata e desolata, in cui vincono l'apparenza e l'ostentazione. Tutto fa parte di questo disegno squisitamente decadente : la fotografia , la musica e l'interpretazione di un giganttesco Giacomo Rizzo , attore dalle potenzialità mai intuite, che diretto magistralmente da un Sorrentino sempre più narratore d'immagini, è una mascheraperfetta di un personaggio laido, logorroico, arguto e sentenzioso, che fa cose terribili e può risultare spesso ripugnante ma raramente antipatico. Molto bene anche Laura Chiatti , angelo diabolico la cui aspirazione di superiorità rispetto allo schifo che la circonda è solo un pio e ingenuo desiderio. Sarà prioprio lei che condurrà Geremia sempre più in fondo. Per chi non vuole mai confondere l'insolitò con l'impossibile.
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