fabio57
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mercoledì 23 dicembre 2015
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buon film
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Film tratto da un ottimo romanzo della Ferrante,Margherita Buy è molto brava,anche se a tratti un pò sopra le righe.La situazione raccontata è quanto mai realistica e verosimile.
Da vedere
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blowup
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lunedì 13 ottobre 2014
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male male
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Di questo film non si riesce a capire se sia peggiore il contenuto o la forma.
La forma è quella tipica di una fiction fatta male, con recitazioni amatoriali, riprese sempliciotte, dialoghi forzati e innaturali, situazioni assurde che vorrebbero essere significative senza esserlo.
Il contenuto vive del sottinteso: poichè ogni spettatore sa cosa significa una separazione coniugale con figli, si campa di questo, andando avanti per stereotipi. Ricorda il Peppino De Filippo del ".....e ho detto tutto!"
Viene da chiedersi perchè la Buy abbia scelto di legare il proprio nome ad una simile boiata. E perchè, da come leggo, molti critici abbiano deciso di valutare positivamente questo film dallo spiccatissimo sapore di saggio di fine anno di attori dilettanti.
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gionni47
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giovedì 9 gennaio 2014
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cosa avete visto di bello?
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Ho visto tutto il film per scommessa, poiché era noioso e inconcludente, quasi astratto. Ho letto quasi tutte le recensioni e noto che si dividono in due tipi: quelle veneranti e quelle irritate per la bruttezza del film. Penso che le prime siano dettate dal conformismo e dalla voglia di perdonare ad un regista affermato ogni stravaganza e mancanza del senso della misura. Vorrei chiedere agli adoratori del film come spiegano le scene incongruenti che nulla hanno a che fare con il logico svolgersi del racconto! Il re è nudo !!!
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theophilus
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sabato 2 novembre 2013
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ci si sente proprio abbandonati...
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I GIORNI DELL’ABBANDONO
Si respira un’aria da fumisteria, con qualche sniffata d’esotismo e situazioni plateali tipiche delle più banali sit-com televisive in questo I giorni dell’abbandono. Il titolo del film diventa simbolo, speriamo non profetico ma solo momentaneo, del tradimento che il pubblico deve subire da parte di un regista, Roberto Faenza, che finora non aveva mai deluso, almeno non così pesantemente.
Alla prima parte della storia, in cui si delinea una trama troppo scontata, che pure ha in sé potenziali tratti drammatici, fa seguito – nel secondo tempo del film – un definitivo abbandono di ogni speranza, una delusione derivata dai paludamenti grotteschi della protagonista, che preludono ad una soluzione finale tipicamente benpensante.
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I GIORNI DELL’ABBANDONO
Si respira un’aria da fumisteria, con qualche sniffata d’esotismo e situazioni plateali tipiche delle più banali sit-com televisive in questo I giorni dell’abbandono. Il titolo del film diventa simbolo, speriamo non profetico ma solo momentaneo, del tradimento che il pubblico deve subire da parte di un regista, Roberto Faenza, che finora non aveva mai deluso, almeno non così pesantemente.
Alla prima parte della storia, in cui si delinea una trama troppo scontata, che pure ha in sé potenziali tratti drammatici, fa seguito – nel secondo tempo del film – un definitivo abbandono di ogni speranza, una delusione derivata dai paludamenti grotteschi della protagonista, che preludono ad una soluzione finale tipicamente benpensante.
Apparentemente, questo di Faenza è l’ennesimo film sulla crisi della famiglia e dei suoi valori; in effetti non si vede uno straccio di analisi e non se n’evidenziano le motivazioni.
Un uomo, Mario (Luca Zingaretti), che se ne va di casa perché ha una crisi di senso; che ogni tanto si fa vedere per fare il buon papà che gioca con i suoi figli, mentre la moglie tenta un recupero in cucina – per sua sfortuna, però, un coccio di bottiglia finisce nel cibo – oppure urla e strepita – e qui la sceneggiatura tenta di valorizzare la situazione con frasi pesanti e osé, che invece suonano solo patetiche e ridicole - …un po’ poco e detto neanche bene. Poi arriva la figura salvifica e melensa di un musicista, dall’accento dell’est, e tutti i salmi finiscono in gloria.
Vogliamo metterci dentro anche il cane che muore per aver addentato, anziché un biberon – come fa la Nana di Peter Pan - un flacone d’insetticida, ma che poi rivive, fulgidamente assunto nel regno dei cieli dal violoncellista, deus ex machina? Oppure l’accattona che staziona sotto la casa di Olga, la quale vede riflessa in lei l’immagine di una donna che ritorna in un suo sogno ricorrente e che muore annegata? Ancora, la classica madre ottusa e rompipalle che si scandalizza perché la sua bambina, che non ne può più, sbotta in un turpiloquio liberatorio? O, che so, Olga che prima fa a pugni con la crisi di senso, forse di trent' anni più giovane di lei, poi, com’è buona lei, la perdona, fa la moglie comprensiva e l’invita a casa sua con Mario per farle conoscere i suoi figli? Non scherziamo, per favore.
Dove ho sbagliato?Dove sono stata insufficiente (sic)? – si chiede la protagonista con fare da bacchettona, che, evidentemente, ha bisogno di darsi un voto: i soliti sensi di colpa di chi si ritiene inadeguato. Tutto viene fatto girare su una conflittualità interpersonale, sul paradigma di una crisi soggettiva, senza una parola sul modello sociale ed esistenziale che c’è dietro: a quel punto è quasi inevitabile, per l’abbandonata, l’arrivo del principe azzurro dell’est e ben le sta.
La Bui (ovviamente Olga, la moglie) tenta di risollevare le sorti segnate di un film irrecuperabile, ma sembra sempre più prigioniera di un clichè interpretativo che la vede un po’ Maddalena pentita, un po’ madame Bovary, un po’ espressione di un’immagine incerta di donna che non si capisce bene se rivendichi un ruolo da femminista che si oppone al maschio padrone e ingrato o, al contrario, se regredisca ad uno stadio preindustriale, aspirando al modello della famiglia patriarcale.
Falso come l’ottone anche l’uso rétro di Olga - traduttrice di romanzi inglesi - della macchina per scrivere anziché del computer: una forma di lacrimosa captatio benevolentiae per un pubblico impegnato.
Un altro finale – che pure non riusciamo ad immaginare – avrebbe forse potuto rendere meno catastrofica questa inattesa caduta: è stato l’improvviso illuminarsi della protagonista, che risolve in maniera accomodante tutto il suo logorarsi interiore, a provocare il definitivo crollo. Quando, portata a viva forza a teatro dagli amici, Olga ritrova il suo sorriso a cospetto del vicino di casa che - fin lì quasi beffeggiato e ridicolizzato - ora sale nella sua stima perché, evidentemente, non è un piccolo travet della musica, abbiamo ravvisato un’ulteriore nota moralistica e, a quel punto, tutte le parti tradizionalmente pendenti del corpo ci sono cascate a terra.
In quello sguardo sentimentalistico, rassicurante, strappasorriso, abbiamo rivisto, pari pari, quello di Maggie Smith, nella parte della madre superiora da lei recitata in Sister Act (1992, Emile Ardolino). Lì, però, l’ironia con cui il regista faceva illuminare il volto della Smith, rendeva più godibile, per contrasto, lo scoppio della sua ira all’improvviso capovolgersi della situazione, quando la soubrette Whoopi Goldberg trasforma la chiesa in una sala da ballo.
Qui ci viene offerto un finale che suona riparatore dei torti subiti dalla protagonista, pacificatore e rassicurante. Finisce, però, con l’essere una solenne bischerata, ammantato com’è di un ottimismo di maniera, con l’uso della bacchetta magica sulle note di gigante pensaci tu, oppure in una versione riveduta e corretta (male) di Cenerentola.
Enzo Vignoli
21 settembre 2005.
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bloodycla
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lunedì 23 luglio 2012
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mi sono innamorata...
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....della Buy con questo film. <3
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rescart
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sabato 31 marzo 2012
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gerarchia delle urgenze
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Quando tutto sembra crollare intorno a e i fondamenti vengono meno c’è una sorta di istinto inconscio che si riaffaccia alla soglie della coscenza, una sorta di istinto di sopravvivenza che “congiura” a nostra favore per farci seguire una gerarchia delle urgenze, che coscientemente non seguiremmo mai. Ne “I giorni dell’abbandono” l’istinto di sopravvivenza coincide con l’istinto di una madre che deve reinventare una narrazione biografica spezzata dal marito, che l’abbandona per seguire una nuova fiamma, la giovane figlia di un’amica di famiglia rimasta da poco vedova. Nel caos esistenziale e psicologico che ne consegue si riaffaccia una forza inconscia, primordiale, che consente all’abbandonata di sostituire la traduzione di un insignificante best-seller d’oltralpe con un proprio racconto.
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Quando tutto sembra crollare intorno a e i fondamenti vengono meno c’è una sorta di istinto inconscio che si riaffaccia alla soglie della coscenza, una sorta di istinto di sopravvivenza che “congiura” a nostra favore per farci seguire una gerarchia delle urgenze, che coscientemente non seguiremmo mai. Ne “I giorni dell’abbandono” l’istinto di sopravvivenza coincide con l’istinto di una madre che deve reinventare una narrazione biografica spezzata dal marito, che l’abbandona per seguire una nuova fiamma, la giovane figlia di un’amica di famiglia rimasta da poco vedova. Nel caos esistenziale e psicologico che ne consegue si riaffaccia una forza inconscia, primordiale, che consente all’abbandonata di sostituire la traduzione di un insignificante best-seller d’oltralpe con un proprio racconto. Quello della sua realtà esistenziale contingente, impersonata nella figura della poverella che si ricorda all’ultimo momento di avere delle responsabilità anzitutto verso i suoi due figli ancora bisognosi delle sue cure, in assenza delle attenzioni del padre ma non dei suoi alimenti. L’assenza del padrone invece sarà rimpiazzata dal fedele otto, il simpatico cane di casa, con una bomboletta di insetticida, che ben presto lo porterà all’avvelenamento e alla morte. Ma questo sarà l’unico evento veramente drammatico di un film destinato al lieto fine, a dispetto di tutti gli uccellacci del malaugurio che vedono nelle separazioni famigliari e nei divorzi le radici di tutti i mali della società contemporanea.
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mariac
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martedì 1 dicembre 2009
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il senso di vuoto facilmente riempito
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I giorni dell'abbandono, tratto dal libro di Elena Ferrante, è stato trattato decisamente mele dalla critica. Libro e film sembrano condividere lo stesso destino,la derisione per l'esagerazione. Il tema è l'abbandono di una donna da parte del marito che sente improvvisamente un "vuoto di senso" e non riesce a starle accanto. Ma che significa? Ho sentito parlare qualche volta sei sensi di vuoto ma mai del contrario. In realtà se a questo vuoto aggiungi una bionda chioma e un fisico mozzafiato ecco che tutto prende senso. Ma gli uomini parlano veramente così quando vogliono andarsene di casa?
L'argomento è sicuramente ripetuto nel cinema italiano che ci ha graziato di colorati tradimenti anche nelle sboccacciate commedie natalizie in cui ci sono donne che reagiscono con vigore al colpo subito, Olga ( Margherita Buy )invece, si abbandona all'abbandono.
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I giorni dell'abbandono, tratto dal libro di Elena Ferrante, è stato trattato decisamente mele dalla critica. Libro e film sembrano condividere lo stesso destino,la derisione per l'esagerazione. Il tema è l'abbandono di una donna da parte del marito che sente improvvisamente un "vuoto di senso" e non riesce a starle accanto. Ma che significa? Ho sentito parlare qualche volta sei sensi di vuoto ma mai del contrario. In realtà se a questo vuoto aggiungi una bionda chioma e un fisico mozzafiato ecco che tutto prende senso. Ma gli uomini parlano veramente così quando vogliono andarsene di casa?
L'argomento è sicuramente ripetuto nel cinema italiano che ci ha graziato di colorati tradimenti anche nelle sboccacciate commedie natalizie in cui ci sono donne che reagiscono con vigore al colpo subito, Olga ( Margherita Buy )invece, si abbandona all'abbandono. E' una donna votata alla causa familiare, conosce le uniche gioie del matrimonio e quando vede crollare quell'unico progetto, che credeva perfetto, precipita nel baratro. Visto da chi ha una quotidianeità attiva, con lavoro, vita sociale può sembrare un disperato tentativo di sorprendere, di esasperare la portata al dolore ma credo sia invece il dramma che molte donne vivono. Non ci si deve soffermare tanto alla trama del film, che può sembrare banale e inconsistente, quanto invece all'incapacità di guardarsi intorno, di stupirsi del vuoto che si è creato attorno alla propria vita, all'inadeguatezza di vivere in un mondo a cui non si può appartenere senza la figura di un uomo accanto.
Margherita Buy perfetta nel ruolo di eterna smarrita, di incompresa, di angosciata.
Gli altri ruoli sono inconsistenti, credo che lo stesso Luca Zingaretti sia sprecato per un film che lo vede semplicemente fare le valigie e scappare...
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giovanna
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mercoledì 3 giugno 2009
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ottimo film
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Ottimo film. Struggente, malinconico, con una sua morale. l'interpretazione di Margherita Buy è strepitosa (d'altra parte questo ruolo le si adatta alla perfezione). Il dolore può portare anche alla follia ma la vita ti chiama a lei e arriva il giorno che hai il coraggio di risponderle. Il film insegna che spesso sono i ruoli che ricopriamo a costituire le uniche vie d'uscita e c'è sempre una luce anche quando pensiamo di non potercela fare. Storia di una donna fragile, di un percorso, di un cambiamento..
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lunaviola65
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martedì 2 giugno 2009
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ottimo film
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Il film mi ha molto colpita per il realismo e l'interpretazione estremamente convincente dei protagonisti.
Ho rivisto alcuni momenti di vita vissuta.E' un film che, senza cadere in uno scontato moralismo,fa riflettere, da proporre come cineforum alle superiori. Deformazione professionale?:-)
Un'insegnante.
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atticus
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lunedì 1 giugno 2009
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e basta co' sti polmoni ridicoli!
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E basta co' sto cinema vecchio e angosciante, senza novità, senza idee, deprimente, esagitato e ridicolo. Ma che senso aveva la sequenza col ramarro sotto al letto? E la barbona che sta fissa sotto il portone della protagonista? E chi ha scritto mai certe perle di dialoghi ("Ho un vuoto di senso")? Soprattutto basta con la Buy che fa sempre in tutti i film la parte della cornuta incazzata! Basta! Qualcuno dica di corsa a Faenza che i suoi ultimi film fanno veramente schifo!
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