Anno | 2008 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Italia |
Regia di | Gianluca Maria Tavarelli |
Attori | Michele Placido, Marco Foschi, Libero de Rienzo, Donatella Finocchiaro, Massimo De Rossi Giulia Michelini, Antonino Bruschetta, Carmelo Galati, Lidia Biondi, Roberto Infascelli (II). |
Tag | Da vedere 2008 |
MYmonetro | 3,51 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 29 settembre 2010
Il percorso politico dello statista democristiano, dal suo 'compromesso storico' con la sinistra, alla sua prigionia e al rapporto con i brigatisti.
CONSIGLIATO SÌ
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La tragica vicenda del sequestro Moro è da sempre oggetto di numerose inchieste giornalistiche. E sia il cinema che la letteratura hanno tentato, con svariati risultati, di indagare nelle contraddizioni dei politici e dei media che hanno caratterizzato quel momento così burrascoso e contradditorio. Fino ad oggi, dopo il documentaristico Il caso Moro, il più televisivo Piazza delle Cinque Lune e Buongiorno, notte che denuncia in modo veritiero i fatti storici lasciando anche lo spazio ad incisi surreali, non si era ancora vista una fiction del piccolo schermo che delineasse il corso delle delicate controversie sulla cattura del presidente democristiano.
Il film di Tavarelli riempie il vuoto con un ritratto sincero, racconta l'uccisione della scorta di Moro, il dramma della piccola prigione nell'appartamento di via Montalcini fino all'uccisione e il ritrovamento del corpo il 9 maggio 1978. Mostra le diverse parti in gioco e alterna le discussioni dei politici a quelle dei brigatisti coinvolti nell'operazione. Se nelle aule di Montecitorio i nomi di Cossiga, Zaccagnini, Fanfani e Andreotti proclamano la linea della fermezza, escludendo qualsiasi tipo di concessione alle BR, dall'altra parte in via Gradoli, covo del terrorista Mario Moretti e degli altri complici, si delineano le tappe di un processo popolare armato che non ammette repliche di nessun genere. Gli snodi narrativi della vicenda, ben calibrati e ritmati, spezzano la trattativa tra le parti, entrambe paradossalmente "complici" della condanna a morte di Aldo Moro. A restare sole e disperate, in questo insieme di bugie e tentennamenti che ancora oggi non hanno trovato una spiegazione soddisfacente, scorrono le parole del detenuto. In lunghe lettere piene di affetto, raffinate e colte, Moro cerca un canale di comunicazione con l'esterno; scrive ai compagni di partito, ai familiari e a Papa Paolo VI, ma tutti sono d'accordo nel richiedere la sua liberazione, "semplicemente, senza condizioni".
La fiction offre uno spaccato realistico della vicenda, dà spazio a tutte le personalità coinvolte, senza dare giudizi affrettati o mistificatori. Lascia alla morale dello spettatore la libertà di opinione, trasmette dubbi e perplessità, riflette sulle domande rimaste senza risposta. Per raccontare una delle più gravi crisi sociali della storia italiana, riuscire a esimersi da dare sentenze frettolose, è già un buon punto di partenza. Solo un'accusa risuona chiara nell'evoluzione degli accadimenti: i ritardi burocratici dei servizi segreti, colpevoli di aver rallentato autorizzazioni e perquisizioni chiave che avrebbero aiutato, forse, a scoprire il luogo dove si trovava Moro. Si riapre così una vecchia questione rimasta fino ad oggi senza chiarificazione.
Il cast artistico, da Michele Placido nei panni dell'onorevole Moro a Marco Foschi in quelli di Mario Moretti, alle brigatiste donne interpretate da Valentina Carnelutti, Donatella Finocchiaro e Giulia Michelini, si dimostra preparato, attento alle sfumature. In questo modo, grazie alla puntualità del loro lavoro e ad una regia posata che si sofferma sui volti dei personaggi, lo sceneggiato supera le regole vincolanti della docu-fiction per approdare ad un risultato che funge da tassello alla memoria storica del paese.
E se il film non prende le parti di nessuno, nel commovente finale si sbilancia sulle ultime testimonianze di Moro, scritte poco prima di andare incontro alla morte, parole dure che si trasformano in un punto di domanda al quale è difficile rispondere: e se nell'aldilà "ci fosse luce, sarebbe bellissimo. Ma tutto è inutile quando non si vuole aprire la porta". Una disperata dichiarazione d'amore per la verità, una sommessa richiesta ad indagare nei segreti della storia perché tutto è perso se non si è capaci di ricordare il passato.
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Il film per la tv propone la storia del rapimento da parte delle Brigate rosse di Aldo Moro, Presidente della DC, ritenuto dal gruppo estremista la figura più influente all'interno del partito. Paradossalmente però, è proprio Moro a volere una possibile alleanza con il Pci, in un periodo molto delicato qual è stato quello degli anni di piombo.