| Titolo originale | Peeping Tom |
| Anno | 1960 |
| Genere | Poliziesco, |
| Produzione | Gran Bretagna |
| Durata | 109 minuti |
| Regia di | Michael Powell |
| Attori | Anna Massey, Karlheinz Böhm, Moira Shearer, Maxine Audley . |
| Uscita | lunedì 6 ottobre 2025 |
| Tag | Da vedere 1960 |
| Distribuzione | Cineteca di Bologna |
| MYmonetro | 3,89 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 30 settembre 2025
Mark Lewis è un operatore cinematografico che realizza anche foto di nudo per arrotondare. Una serie di delitti di modelle rimandano proprio a lui. In Italia al Box Office Peeping Tom - L'occhio che uccide ha incassato nelle prime 2 settimane di programmazione 8,8 mila euro e 5,9 mila euro nel primo weekend.
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ASSOLUTAMENTE SÌ
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Marc, fotografo e tecnico delle luci di Londra, è in realtà uno psicopatico: abborda donne per la strada, le porta nel suo laboratorio e qui, con una cinepresa nel cui cavalletto è nascosta una lama, ne filma la morte. L'incontro con Helen, un'inquilina del suo palazzo, gli fa conoscere l'amore e per un po' lo distoglie dalla sua ossessione. La madre della ragazza, una donna cieca, intuisce però che Marc potrebbe essere legato agli omicidi e spinge la figlia a introdursi nel suo laboratorio, dove qui viene rivenuto il filmato dell'ultimo omicidio. Sorpreso, Marc confessa e racconta dei suoi traumi infantili, quando il padre psicologo testava la sua resistenza alla paura e filmava le sue reazioni. Per Marc è l'agognata liberazione, prima di un gesto estremo e definitivo.
Torna in versione restaurata il capolavoro del 1960 di Michael Powell, all'epoca dell'uscita bistrattato dalla stampa inglese e all'origine dell'oblio in cui per una decina d'anni cadde il nome del regista.
Fu solo all'inizio degli anni '70, infatti, e all'adorazione delle nuove leve di registi americani del tempo (Martin Scorsese su tutti, ma anche Coppola), che il film venne riscoperto e rivalutato insieme all'opera complessiva di Michael Powell e del suo amico e collaboratore Emeric Pressburger, col quale aveva firmato alcuni dei più grandi film del cinema britannico degli anni '40 e '50.
Conosciuti come "The Archers", dal nome della loro casa di produzione, Powell e Pressburger oggi sono considerati tra i maestri del cinema europeo, inarrivabili nell'uso del colore (Powell lo usò per la prima volta nel 1940 per Ladro di Bagdad e in coppia col collega nel '43 per Duello a Berlino) e per la capacità di adattare il loro cinema fantasmagorico e strabiliante a vicende sospese sul filo del dramma e della commedia (Un racconto di Canterbury, So dove vado), dell'incontro fra storia individuale e collettiva (Duello a Berlino), della tragedia e della fantasia spirituale (Scala al Paradiso), del teatro e della trasposizione operistica (I racconti di Hoffman), dell'ossessione artistica e di quella religiosa (Narciso nero, Scarpette rosse).
Quando però Powell gira L'occhio che uccide (titolo italiano per l'originale Peeping Tom, che è l'espressione inglese per "guardone") lavora ormai solo e fa di questo suo film liberissimo il suo lavoro più intimo e personale. Come ha detto Martin Scorsese, che ha raccontato il suo rapporto personale con Powell e il suo amore per i film degli Archers nel documentario Made in England: i film di Powell e Pressburger, «la cosa più inquietante del film è che il protagonista viene rappresentato con empatia, come un uomo timido e tormentato. Un uomo che si sente appagato solo nelle immagini che crea, realizzate con la distruzione altrui. Il film è disturbante e trasgressivo, ma anche molto commovente, perché alla base chiede al pubblico di provare una pietà radicale per un pazzo e un assassino».
L'occhio che uccide, così tradizionale nella forma e così sconvolgente nei contenuti, è una delle riflessioni più scioccanti mai viste sul senso di fare cinema. Powell, all'epoca all'apice della maturità artistica e abbastanza vecchio da potersi permettere ciò che voleva, si abbandona a un sadismo senza precedenti, trasformando un thriller psicologico in una sintesi folgorante delle questioni legate all'atto del vedere e alla traduzione in immagini di impulsi psichici e desideri inconsci. Tutto nel film passa attraverso la mediazione di un obiettivo, dalla macchina fotografica («Voglio fotografarti mentre guardi», dice Marc ad Helen quando le mostra i filmati della sua infanzia) alla cinepresa che fin da bambino accompagna Marc e il suo confronto con la paura.
Per sé Michael Powell si ritagliò addirittura la parte del padre del protagonista, visibile nei filmati in 16mm mentre tortura psicologicamente il figlio: una vera e propria ammissione di colpa per un regista che sapeva perfettamente come il cinema sappia andare oltre la realtà e immobilizzarla nelle immagini. Marc è dunque, idealmente, figlio di un regista e regista egli stesso, quando costringe le vittime a guardarsi mentre lui le guarda morire, ma anche vittima del suo stesso orrore, a conferma di quanto il cinema sia una finestra sulla realtà e uno specchio per chi guarda; uno scorcio sul mondo e una cornice che quel mondo lo uccide.
All'epoca dell'uscita il film fu massacrato dalla stampa inglese (in Made in England raccoglie alcune delle citazioni più violente: «Sono rimasta del tutto sconvolta nel vedere un regista del calibro di Michael Powell insozzare lo schermo con sciocchezze così perverse», «C'è solo una parola per definire L'occhio che uccide: disgustoso»...), mentre oggi riassume tutto ciò che è stato acquisito in decenni di ricerca filosofica sul ruolo delle immagini.
Il 1960 fu anche l'anno di Psycho, l'horror di Hitchcock più esplicito in termini psicanalitici, e L'occhio che uccide veniva sei anni dopo La finestra sul cortile, il lavoro più teorico del regista inglese, e sei anni prima di Persona di Bergman, altro capolavoro sulla vertigine del sé e dello specchio. Rispetto a Hitchcock e Bergman, però, oggi sappiamo che Powell ha qualcosa di diverso, qualcosa che ha a che fare con l'aspetto così colorato ed espressivo del suo cinema, anche in un film folle come L'occhio che uccide; qualcosa di artificiale e troppo diretto che rende ancora più disturbante questa confessione di una mente consapevole e turbata.
Il figlio di uno scienziato, traumatizzato da piccolo a causa degli esperimenti che il padre operava su di lui, si serve del suo lavoro di fotografo per uccidere le modelle e riprendere la loro agonia. Lentamente le indagini della polizia giungono fino a lui.
Di questa pellicola del 1960 di Powell ciò che colpisce, al primo impatto visivo, sono i colori accesi, che, più vividi sullo sfondo, rendono quasi tridimensionali le figure dei personaggi in primo piano. Dalle poche riprese in esterni agli arredi delle botteghe e degli appartamenti, finanche nei libri esposti sullo scaffale nello studio del protagonista, il film è tutto [...] Vai alla recensione »
Mark è ossessionato dalla cinepresa, riprende ogni cosa, e vi lavora 24 ore al giorno, alla ricerca di attimi particolari, la sua ricerca si spingerà oltre, uccidendo varie donne mentre le riprende. La sua malsana ossessione trova radici sin da piccolo, quando il padre, amante anch'egli della cinepresa, nonchè scienziato, "usava" il figlio come cavia umana per i suoi [...] Vai alla recensione »