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Coraline e il 3D videoludico

Con trovate fuori dagli schemi arriva una favola classica raccontata nella maniera più moderna.
di Gabriele Niola

Terza dimensione e linguaggio videoludico, Coraline porta avanti il cinema

martedì 16 giugno 2009 - Making Of

Terza dimensione e linguaggio videoludico, Coraline porta avanti il cinema
Pupazzoni digitali e trame prese dai videogiochi, spesso l'integrazione tra tecnologie e cinema si riduce a queste due sole possibilità. Fortunatamente poi escono anche film come Coraline che ci ricordano che un altro modo di rimettere in discussione, aggiornare ed arricchire il linguaggio del cinema è possibile.
Il nuovo lungometraggio d'animazione di Henry Selick infatti racconta l'omonima storia di Neil Gaiman utilizzando in più momenti espedienti, trucchi e linguaggi di narrazione nati per raccontare le storie nel mondo (interattivo) dei videogiochi. Selick li prende, li piega, li adatta e li ripropone all'interno di uno strumento non interattivo come un film. Ma non solo.
A prima vista non sembra eppure in Coraline è radicata molta più tecnologia di quanta se ne sia vista nei film degli ultimi anni, solo che è utilizzata con una trasparenza paragonabile forse unicamente a quella di Gondry. Tecnologia nel senso più ampio del termine, dunque sia strumenti per la realizzazione del film (dall'utilizzo molto abile del 3D agli aiuti chiesti al digitale per animare lo stop motion) che linguaggi espressivi nuovi che si appoggiano su mezzi nuovi.

Un racconto filmico e videoludico
Chi innova rompe sempre qualche regola e così ha fatto Henry Selick quando ha deciso di realizzare l'ultima parte del suo Coraline adottando uno stile e una serie di soluzioni visive tipiche del mondo dei videogiochi per raccontare il superamento di una serie di prove da parte della protagonista.
Nel racconto di Gaiman infatti accade che Coraline debba correre contro il tempo per cercare degli oggetti sparsi nella casa e lo debba fare con l'aiuto di uno strumento che le consente di vedere la realtà diversamente, individuando così più facilmente ciò che cerca. Per mettere in immagini e poter raccontare facilmente lo svolgersi di queste azioni, e soprattutto per immedesimare gli spettatori in quel senso di ricerca e superamento dei propri limiti (che è l'essenza stessa del videogiocare), Selick ha allora scelto di usare modalità di racconto da videogioco.
Per scandire lo scorrere del tempo infatti la luna si va parzialmente oscurando con un grosso bottone (elemento ricorrente nel film e idea tipica dei videogiochi), gli oggetti che Coraline deve trovare sono uno in ogni ambiente della casa (una dependance, il giardino, il sotterraneo e via dicendo), per trovarli necessita di un altro oggetto (simile nella funzione all'oggetto magico tipico delle analisi sulla narrativa classica) che le consentirà di vederli e che le viene dato da alcuni alleati. Ogni area prevede anche lo scontro con un'entità messa a sorvegliare l'oggetto, sconfitto il boss dell'area e recuperato l'oggetto quell'area diventa poi monocromatica per indicare come sia stata "completata" e quindi non più d'interesse ai fini della risoluzione dell'obiettivo finale.
Come nei videogiochi dunque esiste un "mondo" preciso, confinato e delimitato in zone (la casa, comprensiva di stanze interne, alcune dependance e un giardino anch'esso ben delimitato) nelle quali si può svolgere l'azione, esiste un aiutante vivo (il gatto) e uno inanimato (un visore che consente di vedere diversamente la medesima realtà in modo da individuare ciò che altrimenti sarebbe nascosto), esistono dei nemici di primo grado e poi uno più grande da affrontare nella casa (l'ambiente principale) una volta entrati in possesso degli oggetti nascosti in ogni area. Infine esistono dei personaggi da andare a trovare che possono dare degli indizi utili alla vittoria.
La forza di Selick è però nell'aver preso queste dinamiche ed averle perfettamente integrate nel racconto di modo che non siano intellegibili solo ai gamers ma anche a chi non ha mai preso in mano un videogioco. Il suo racconto di quella serie di prove finali è comprensibile a tutti proprio perchè si ispira e usa quegli elementi del mondo del racconto videoludico che sono i più universali e che costituiscono l'evoluzione moderna di modalità eterne di racconto.

Un 3D da cui imparare
La terza era del 3D (forse quella definitiva dopo tanti fallimenti) è cominciata e ancora non avevamo visto un film con una bella terza dimensione, un film che non solo ci regalasse immagini interessanti in 3D, ma che anche sapesse farne un uso funzionale e, in una parola sola, "utile"! A farlo è arrivato ora Coraline.
Gli avversatori della nuova tecnologia potranno andare al cinema e rendersi conto da soli se la terza dimensione potrà o meno avere un futuro al cinema. Il 3D di Coraline infatti non è lo stato dell'arte o un punto di arrivo ma qualcosa di molto buono che serve a dare un'idea di ciò che si può fare, un abbozzo per iniziare un discorso importante.
Le differenze con il passato sono innanzitutto tecniche perchè Coraline in una parola si "vede bene", cosa tanto semplice e scontata quanto finora poco vista (se si esclude lo spottone tecnico Viaggio al centro della Terra 3D), non ci sono imperfezioni, non ci sono errori di prospettiva nè fastidi per gli occhi, il 3D è invisibile e non invadente.
Oltre a non infastidire però la terza dimensione viene qui utilizzata per dare corpo e strutturare una sostanziale differenza tra i due mondi nei quali si svolge il film (quello reale e quello "dietro la porta chiusa") dotati appunto di profondità diverse e quindi, a livello inconscio, fortemente separati.
Inoltre Selick sebbene non faccia mai uscire oggetti dallo schermo si diverte ogni tanto a sfruttare in pieno il concetto di "profondità" e lo si vede bene nelle scene del tunnel che collega i due mondi, un lungo cordone che appunto si "allunga" in profondità avvantaggiandosi dell'effetto degli occhiali. Sono dettagli ma che danno un senso ad una tecnologia che può ancora migliorare molto ed essere integrata anche di più.
Non abbiamo ancora le parole e i termini adatti ad analizzare il cinema 3D e dobbiamo anche capire quale effetto una maggiore profondità possa avere sul coinvolgimento degli spettatori nel momento in cui è usata con invisibilità, cioè è usata senza che lo spettatore se ne renda conto, ma adesso sappiamo che Coraline è un buon punto da cui partire.

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