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Ed è così che un’Academy sempre più influenzata da logiche diplomatiche che ben poco hanno a che fare con il valore intrinseco dei film candidati premia come miglior film la favoletta “educativa” dell'astuto Guillermo Del Toro, che riesce persino a battere un altro film da sfondamento premeditato come Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri.
Capolavoro? Film del tutto sincero? Intanto diciamo che La forma dell’acqua partiva già sulla carta con uno sfacciato vantaggio strategico in termini di tematiche imperanti da cui oggi non si sfugge: la protagonista è diversamente abile ed è oggetto di attenzioni indesiderate da parte del superiore, la collega di colore subisce battute razziste ed è afflitta da un marito maschilista, il vicino di casa è gay, discriminato sul lavoro e infelice sentimentalmente, il cattivone invece è un arrogante e violento molestatore maschio, bianco, etero, anti-comunista (anche questo naturalmente è un difetto) con tendenze fedifraghe, insomma, quale migliore schieramento di forze per mettere pubblico e giurie con le spalle al muro?
Il prodotto è tecnicamente buono anche se non particolarmente nuovo, anzi, c’è molto di già visto sia a livello di immagine che di dinamica narrativa e il lascito finale della pellicola, dopo tanti illustri predecessori, risulta ormai innocuo. Ciò su cui si può riflettere invece è quale idea di dialogo col pubblico possa stare alla base di un film come La forma dell’acqua: evidentemente ci si è voluti rivolgere dall’alto verso il basso come quando si è convinti di dover educare qualcuno, con un linguaggio molto basilare che non lascia dubbi su chi siano i buoni e i cattivi e quale sia la morale da apprendere. Chissà se il pubblico gradisce essere considerato così?
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