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Imbarazza dover scrivere di un film che non è un film.
Sin dall'incipit, la voce di Pif, come da rituale programma che l'ha lanciato a livello nazionale, ci accoglie in un qualcosa che che non è film, non è cinema: è Pif portato sul grande schermo. Con le intenzioni e le ambizioni della commedia che, però, si arresta ad una prima parte stantia affidata a due (pur bravi) bambini, ed una seconda che non decolla mai, legata ad una insipida storia d'amore.
Su tutto questo, o sotto, tutto questo, le vicende di mafia, le stragi, le uccisioni. Ma lontano, quasi a dire che la mafia è un qualcosa di invisibile eppur presente nella vita delle persone.
Utilizzando le immagini di repertorio che, tutto sommato, sono ciò che di più toccante ha da offrire questa opera, il regista tenta di coniugare la commedia con l'impegno politico. Si potrebbero aprire discussione e parentesi anche sul come queste immagini di repertorio, strappate alle televisioni d'epoca (e in cui tutti possono rivedere un pezzo o un ricordo di sé stessi), siano state utilizzate con tappeti sonori strappalacrime e malinconici per sottolineare il pathos del momento. Si potrebbe discutere su quale veramente sia, l'impegno politico di un film così, che tutto sommato risulta inevitabilmente emozionante solo quando mostra immagini di venti, trent'anni fa, senza nulla togliere, ma neppure nulla aggiungere a ciò che tutti già sanno e ricordano.
La realtà è che non può dirsi trattarsi di un film. E' un'operazione che resta sempre in bilico tra l'opera cinematografica e una puntata delle iene.
Tommaso Franceschini.
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