Hereafter è un film profondo, riflessivo, pienamente eastwoodiano. Ricordo Eastwood in una vecchia intervista:“fondamentalmente realizzo delle storie per me, compatibili con il fatto che non amo i cinema vuoti”. Alla luce di questa interpretazione autentica non si dovrebbe mai dimenticare che Eastwood è un uomo adulto; poco interessato a solleticare il botteghino esibendo acrobazie Ninja (rivolgersi a Tarantino) o comunità di benestanti annoiati (Allen), o spacciando allucinazioni (Lynch). Come esiste una letteratura per i ventenni (Hemingway) e una per la maturità (Tolstoj), esiste il cinema di Eastwood, che non può essere compreso con strumenti adolescenziali, quando manca il vissuto che ne costituisce la base elaborativa.
Eastwood è un osservatore tanto "in divenire", quanto disinteressato alle mode prevalenti. Ciò lo rende avversato e poco capito sin dall’ispettore Callahan, personaggio già molto complesso. Peccato, perché egli da 40 anni segue fedelmente un filo conduttore; storie di persone che lottano per costruire se stessi al cospetto del fato e di un mondo pauroso e perciò conformista. Il venditore di scarpe che lascia la città per fondare un “wild west show” (Bronco Billy); la lotta interiore di Will Munny, conteso tra la via del duro lavoro e il baratro della violenza; la determinazione di Maggie (Million dollar baby) che si allena giorno e notte per sfuggire ad un piatto destino. Lei non combatte per denaro, ma per una vita piena, per rendersi utile ai suoi cari, per vivere la grandezza dell’affetto di un cane, per scoprire la traduzione di Mo Cùishle.
Anche George, Marie e Marcus volano alto sopra la banalità. George perché costretto, Marcus per questioni biologiche (specialità dei gemelli), Marie perché il destino le ha aperto una porta su una angoscia immensa, che annichilisce ogni quotidianità. Non sono nati “minoranza”, lo diventano perché ora portano un fardello indivisibile. I quesiti che li attanagliano richiedono cammini solitari, liberi dai conformismi. Come quello del fratello di George, che vorrebbe monetizzarne le facoltà, non per avidità, ma solo per carenza empatica e per strabismo culturale. Quello della TV, che accoglie ciarlatani di ogni confessione, purchè truffino entro “le regole”; ma non tollera la parola “morte”, perchè deprime i consumi. Quello dell’assistenza sociale inglese, che si avvale di protocolli e funzionari inappuntabili, ma incapaci di fermarsi un istante a relazionarsi con Marcus nella sua individualità.
E per una volta, nella roulette del caso, la disperata difesa dei protagonisti viene premiata. Non trovano le risposte, ma ognuno trova un lembo di terraferma: dei rapporti umani nuovi sui quali costruire un futuro in questo mondo. Hereafter è un nuovo, delicatissimo posarsi della farfalla Eastwood nella cristalleria della filosofia morale. I suoi protagonisti non hanno patria né sesso, sono solo adulti veri: dirty Harry sorride carico di tenerezza (dura un fotogramma) verso un collega onesto; Robert Kincaid non mangia carne, perché sa quanta sofferenza essa nasconde. Il folk singer di Honkytonk man sacrifica la sua vita solo per non essere vissuto invano. In Herafter c’è tutto, perfino lo spettatore entrato in sala per vedere un videoclip di bellocci con laurea in astrofisica e superpoteri. E’ la ragazza del corso di cucina. Piena di formicolio new age insiste perché George la osservi nel profondo; ma nel profondo ci si annega. Quanto poi alle perentorie certezze sulla morte che il film non da, si dice che “l'intelligente sa poco e l'imbecille sa tutto”. E su Clint, lo conferma la modestia che mostra nelle interviste, ci sono ben pochi dubbi.
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