| Anno | 2025 |
| Genere | Documentario |
| Produzione | Svizzera |
| Durata | 113 minuti |
| Regia di | Nicolas Wadimoff |
| Attori | Jawdat Khoudary, Mahmoud Jouda, Adel Altaweel, Haneen Harara, Malak Khadra Hanaa Eleiwa, Eman Shanan, Ghada Alabadla, Firaz Elshrafi. |
| MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 4 settembre 2025
Condividendo le loro vicende, i protagonisti del film cercano di riconnettersi con se stessi, di smettere di essere fantasmi. Di tornare, forse, alla vita.
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CONSIGLIATO SÌ
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Le storie personali di nove rifugiati palestinesi che sono riusciti a scappare da Gaza, e che ora si ritrovano insieme per raccontare e raccontarsi ciò che hanno passato nei mesi e anni che hanno seguito il 7 ottobre 2023. Per fare luce sulle vite che hanno abbandonato in patria, il luogo che li accoglie è una dimensione neutra e scura, che a terra riporta una mappa stilizzata di Gaza a rappresentare una geografia della mente. Ognuno di loro prenderà il suo posto seguendo le coordinate dei propri ricordi sul pavimento, e collocando su di esso le vicende, le perdite e le speranze che scelgono di condividere l'uno con gli altri.
Nell'epoca in cui viviamo si pone con sempre maggior urgenza la questione di come dare forma e voce alle testimonianze della realtà palestinese mentre essa viene sistematicamente cancellata.
Tra le tante risposte che il cinema offre, e che vanno oltre la presentazione diretta delle immagini del conflitto, il linguaggio del documentario è quello che sta trovando le soluzioni più innovative, riflettendo sul concetto stesso di luogo e sulla mappatura simultanea della collocazione fisica ed emotiva.
Con Qui vit encore, ci prova anche il regista svizzero Nicolas Wadimoff, che ha una lunga esperienza come documentarista ma con qualche sortita nella finzione, e soprattutto ha già frequentato Gaza e le storie dei suoi abitanti in diversi film precedenti, mostrando da sempre affinità alla causa palestinese.
Sopravvivere alla distruzione inflitta dall'esercito israeliano - missili, bombe, attacchi - diventa nel film un esercizio di astrazione e memoria, che richiede ai nove partecipanti di calarsi nel mondo che hanno abbandonato "sentendone" i confini, le mura, i quartieri attraverso i segni tracciati per terra; una trovata scenografica che ricorda ovviamente il Dogville di von Trier e ne riprende più o meno deliberatamente l'estetica transitoria. In questo modo le testimonianze acquisiscono un'immediatezza anomala, e coinvolgono lo spettatore in un dialogo tanto più sentito quanto più è basato sulla mancanza, sul rivolgersi a qualcosa che non è fisicamente prossimo ma come tale viene trattato.
A metà strada tra l'arte performativa, la seduta di analisi e un gruppo di supporto collettivo, il film richiede pazienza anche allo spettatore perché rimuove ogni scorciatoia e ogni tramite. A volte è particolarmente doloroso calarsi nell'essenziale del racconto, che arriva senza filtro e che consapevolmente sembra aver selezionato personalità dai tratti più disparati, di ogni età e background anche creativi per meglio partecipare in un esperimento in fondo artistico, oltre che per stabilire una connessione più diretta con un pubblico europeo di cinema d'autore.
Avevano qualcosa. Casa, lavoro, famiglia e, sì, una terra, una patria: hanno perso, financo tutto. Via da Gaza, via dall'essere persone per divenire numeri: tutti uguali, tutti condannati al sé stessi che non sono più. Scrittori, influencer, artisti, manager, e ancora: dai 14 ai 62 anni, gazawi uguali e contrari, in direzione - per volontà altrui - ostinata e diasporica.