
Titolo originale | The Real Beings |
Anno | 2025 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Georgia, Italia |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Vakhtang Jajanidze |
Attori | Nutsa Kukhianidze, Demetre Kavelashvili, Niko Tavadze, Temiko Chichinadze Jano Izoria, Apolon Kublashvili, Eka Nijaradze, Nina Eradze, Taso Bokuchava. |
Uscita | lunedì 21 luglio 2025 |
Distribuzione | Fandango |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento sabato 26 luglio 2025
La storia di due famiglie il cui egoismo, l'alienazione, le relazioni senza amore e l'indifferenza le conducono a un esito fatale.
CONSIGLIATO NÌ
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In un resort di lusso sperduto in una zona paludosa della Georgia, una famiglia benestante sta trascorrendo le vacanze estive. Mirian e Lana sono scappati dalla città, i loro figli adolescenti Datuna e Nia li hanno seguiti malvolentieri e nessuno sembra sapere o avere voglia di comunicare con gli altri. Nel resort trascorre le vacanze anche un'altra famiglia, formata da Keta, vecchia amica di Lana, da suo marito Tengo e dalla figlia Bebe, ancora una bambina. Nella noia delle giornate tutte uguali, mentre gli adulti si smarriscono in un dolore silenzioso e invisibile, i più piccoli Nia e Bebe fanno amicizia, ignorando il dramma che potrebbe inghiottirli.
Opera prima del georgiano Vakhtang Jajanidze, un dramma dal ritmo estatico e dallo stile evanescente, tutto giocato sull'ampiezza degli scenari naturali e sul vuoto di comunicazione fra i personaggi.
Il formato largo in Cinemascope scelto dal regista schiaccia le figure nelle inquadrature e le immerge nello spazio, a cominciare dal campo lunghissimo su cui si apre il film e che un po' alla volta stringe sulla figura di Nia, il quale improvvisamente colpisce qualcosa nell'erba. Dal silenzio e dalla sospensione dell'atmosfera, si passa così a un improvviso scoppio di violenza, racchiudendo idealmente la dinamica stessa del film: la tragedia è latente in Gli esseri reali, s'annida dentro immagini vuote che però fanno presagire il peggio, strette tra un fuoricampo che preme ai bordi delle inquadrature e i silenzi carichi di risentimento che appesantiscono i dialoghi vuoti fra i personaggi.
La fotografia lavora sulle sfumature di colori armonizzati, fra il verde dei canneti, l'azzurrognolo dell'acqua e del cielo, il giallo opaco dell'orizzonte, poi ripresi dalle cromie di vestiti e acconciature. In questo contesto apparentemente equilibrato, la presenza degli umani è di troppo. E lo è ancora di più se si tratta di famiglie benestanti, vestite con cura, altezzose, annoiate, sempre immobili a riposarsi o a fissare il vuoto, incapaci di parlarsi, ascoltarsi, guardarsi, sopportarsi.
Nel vuoto di queste vite, prevedibilmente il regista Vakhtang Jajanidze (diversi corti alle spalle e qui all'esordio nel lungo) nasconde il peso di tradimenti inespressi e colpe inconfessate, facendo balenare con il suo stile immobile e indagatore, con falsi movimenti creati dallo zoom, piani fissi e improvvise oscurità, la possibilità di una rottura. In più, a rendere più esplicito ancora il suo approccio visivo e narrativo, aggiunge un spediente metanarrativo: il lavoro da filmmaker del marito di Lana, Mirian («Lo ricordo che filmava qualsiasi cosa, ma senza talento», dice perfidamente Keta), che ha l'abitudine di posizionare la camera su un cavalletto in mezzo ai canneti e di lasciarla accesso a filmare... Proprio come fa Jajanidze con il suo film, viene da pensare senza troppo sforzo, dunque creando una sorta di doppio che replica il vuoto intenzionale delle immagini di Gli esseri reali e dei personaggi che le popolano (e questi ultimi saranno proprio reali? Il senso del titolo, del resto, sta proprio nella sua ambiguità...).
Nella sua ambizione di rappresentare semplicemente delle figure nel paesaggio, Jajanidze si rifà ai grandi del passato, in primis ad Antonioni. Senza però andare troppo indietro nei riferimenti, di fronte al suo film viene da pensare un'altra cineasta georgiana affermatasi di recente, Dea Kulumbegashvili (lo scorso anno in concorso a Venezia con April e lanciata dal precedente Beginning), il cui cinema autoriale ed ermetico è segnato da una potenza espressiva straordinaria: in Jajanidze si può intuire un analogo dono per la composizione figurativa, così come il legame paradossale ma autentico fra la gravità del tono e l'ironia del trattamento (un aspetto che rimanda in generale a tutto il cinema post-sovietico, in tempi recenti ad esempio ai film di Hilal Baydarov).
Eppure qualcosa nel suo film manca, o forse è di troppo - troppo esplicito, troppo piatto, troppo consapevole - come se il fango che all'inizio e alla fine inghiotte i personaggi, finisse per soffocare il film.
C'è dal talento, nello stile di Jajanidze, ma di fronte a un film così artificioso e in fondo prevedibile per il momento viene chiedersi: talento per cosa?
Noi che amiamo il cinema di Ulrich Seidl sappiamo quanto le vacanze - quando la gente è lontana dal lavoro - possano assomigliare allo scoppio d'un gigantesco ascesso da cui eruttano conflitti. La pensa più o meno così anche Vakhtang Jajanidze, che per la sua opera d'esordio prende in esame due famiglie borghesi e boriose mentre trascorrono le ferie in un resort: una fuga dall'ambiente tossico della [...] Vai alla recensione »