Il regista racconta il terzo episodio della saga, Avatar - Fuoco e cenere, e i suoi temi che affondano nell'attualità. Dal 17 dicembre al cinema.
di Paola Casella
“La saga di Avatar si è sviluppata gradualmente nel tempo, più come un’allegoria che come fantascienza”. A parlare è il regista James Cameron in un incontro a Los Angeles per la stampa internazionale. “Nel primo film abbiamo creato un mondo e una storia d’amore centrale abbastanza semplice, perché tutta l’attenzione era andata nel dare vita ai Na’vi e al loro ambiente, un mondo visivamente così fantastico che la trama doveva essere per forza molto concreta, legata alle dinamiche umane in cui tutti possiamo identificarci. Nel secondo film abbiamo reso la storia più complessa e aggiunto nuovi personaggi, e come ricorderete c’è stato un episodio tragico legato ad uno dei componenti della famiglia protagonista. Infine in Avatar: Fuoco e cenere abbiamo cercato di essere ancora più autentici e onesti, creando reazioni comprensibili da parte di personaggi fallibili, non come succede in certi film di cassetta in cui sono tutti supereroi. Anche perché è già difficile identificarsi con delle creature blu alte tre metri e con il naso, le orecchie e la coda da gatto (ride) ”.
In particolare è il personaggio di Neytiri quello che in Avatar: Fuoco e cenere affronta un viaggio emotivo profondo. “Il lutto che ha subito l’ha riempita di odio nei confronti degli esseri umani, rendendola di fatto razzista, e a farne le spese è Spider, che i suoi figli considerano come un fratello ma che lei vede come un pericolo per la sua gente”, continua il regista. “Neytiri dovrà imparare a vedere al di là del colore della pelle e a concentrarsi sulla bontà e i valori delle persone, a qualunque razza appartengano. Per fortuna ho potuto contare su un’attrice come Zoe Saldana, che interpreta Neytiri – e non mi dite che le dà solo la voce, perché la cattura della performance è una tecnica che richiede una grande professionalità da parte degli attori: non a caso nel cast di Avatar recitano ben due premi Oscar, Zoe e Kate Winslet, più la pluricandidata Sigourney Weaver, che interpreta il personaggio di Kiri. Anche il fatto che i Na’vi richiamino fisicamente gli attori che li interpretano è fondamentale per creare un’immedesimazione e un’empatia emotiva con personaggi crearti dalla pura fantasia visiva”.
Quanto all’ambiente naturale che la saga descrive, Cameron dice: “Abbiamo voluto restare fedeli a certe regole della biologia e dell’ecologia. Ad esempio, poiché il colore blu è infrequente in natura, abbiamo lasciato verde la foresta, rispettandone il colore reale. Però quella foresta diventa aliena e magica di notte grazie alla sua particolare luminescenza, perché volevamo anche creare un’atmosfera irreale, da sogno. Il fatto che la saga di Avatar abbia luogo su un pianeta remoto ci consente di affrontare temi che riguardano il pianeta Terra, in questo momento in cui l’odio e la violenza si stanno diffondendo più che in qualsiasi altro periodo io abbia vissuto: vediamo il diffondersi della sfiducia, dell’isolamento gli uni dagli altri, la mancanza di empatia verso il prossimo. Ma ambientando tutto questo su un pianeta immaginario non abbiamo dovuto affrontare nazionalismi, credenze religiose o tendenze politiche reali. Anche per questo i film di Avatar sono stati accolti e capiti in ogni parte del mondo, attraverso culture e linguaggi diversi.: l’ecosistema umano ed emotivo è universale”.
Avatar: Fuoco e cenere affronta di petto i temi dell’emigrazione e dei rifugiati. “I Sully sono una coppia mista, e sono stati dislocati con violenza, hanno i nemici umani alle calcagna, e si ritroveranno costretti ad affrontare altri mondi e altri popoli guerrieri per tenere insieme la propria famiglia. Chiunque sia stato costretto a lasciare la propria casa sa quanto sia emotivamente traumatico, sa cosa voglia dire sentirsi estraneo al proprio habitat. Nessuno dei Sully vive nel proprio ambiente di origine: Jake è per metà umano, Naytiri è una specie di gatto che ha imparato a trattenere il respiro sott’acqua, ma non è quello il suo elemento, Kiki è adottata. Tutti loro si domanderanno a un certo punto: “Dov’è la mia casa? A che genia appartengo?”, e dovranno lottare per guadagnarsi la permanenza nel luogo in cui vivono. Poi c’è Spider, un umano che vuole disperatamente diventare un Na’vi, al punto di dipingersi di blu e indossare una maschera che gli consente di respirare nel loro mondo, ed è accettato dai figli di Jake e Naytiri, anche se non da lei, perché come spesso succede l’odio si ferma nel passaggio da una generazione a quella successiva”.
Ci sono altri traumi interiori nei personaggi di Avatar: Fuoco e cenere, ad esempio Lo’ak’, costretto a vivere nel cono d’ombra del padre Jake. “Quel dolore nascosto era nella voce di Britain Dalton, il giovane attore che lo interpreta”, rivela Cameron. “La relazione padre-figlio fra i due personaggi è un altro dei punti focali di questo terzo film, così come il tema del non sentirsi visto o riconosciuto, che è un’altra variazione del tema di sentirsi fuori posto. Ed è un tema che ha molto a che fare con l’attuale generazione giovane, che dubita del proprio valore e si sente soffocata dalle generazioni precedenti. Io sono cresciuto negli anni Sessanta e mi ricordo quella stessa frustrazione nei confronti degli adulti, che è poi sfociata nella ribellione che conosciamo. Il punto è che tutti vogliamo essere amati e accettati, e vivere in un posto sicuro che possiamo chiamare casa. La saga di Avatar è incentrata sul senso di famiglia e sull’avere un cuore da condividere, e questo accomuna tutte le generazioni”.
Certo, una saga come questa costa… “Tutti mi dicono che fare un altro film di Avatar è una grande idea, poi danno un’occhiata ai costi, e capiscono che non si può garantire un successo commerciale che li giustifichi. Ma io vedo il budget di questi film come la possibilità di offrire tante opportunità lavorative, e dare lavoro alla gente mi pare una cosa positiva! Su Avatar: Fuoco e cenere hanno lavorato oltre 3800 persone per quattro-cinque anni e a me piace l’idea di aver permesso loro di svolgere il lavoro artistico che amano ed essere pagati per farlo”.
Un film come Avatar va visto al cinema? “Oggi la gente ha in casa schermi enormi, e se si siede proprio sotto può provare una sensazione simile a quella della sala. Però chiamatemi dinosauro, ma credo ancora nell’esperienza del cinema al cinema, che amo fin da quando ero bambino e per la quale lavoro da 45 anni. Oggi chi va al cinema non vuole più solo vedere un film, vuole far parte di un’esperienza speciale, come è successo di recente con F1, Zootropolis 2 o Wicked: film sontuosi, ricchi, una festa per gli occhi. La saga di Avatar fa parte di quella categoria, sono film nati per il grande schermo perché sono spettacolari, visivi, molto dettagliati e immersivi, vogliono portarti in un altro mondo: tutte cose che hanno un prezzo. Per Titanic (guarda la video recensione) avevo costruito set enormi, per la saga di Avatar ho usato molti effetti speciali che richiedono una cura estrema e sono molto costosi. Del resto non si possono realizzare gli occhioni dei Na’vi con il trucco, alle anteprime è pieno di spettatori che si presentano truccati da Na’vi e basta guardarli per capire che il semplice trucco non avrebbe funzionato nel film, tipo Anne Hathaway nella miniserie WeCrashed (ride). La nostra arma segreta è l’umanità nei volti e negli occhi di queste creature aliene, e renderla credibile costa. E questo implica che si debba puntare all’eccellenza e non accontentarsi di essere il numero due, né io, né i miei attori, né la mia squadra tecnica”.
Ci sarà un Avatar 4? “Se il mercato lo consentirà ancora: il mondo del cinema sta cambiando, non so se fra qualche anno esisterà ancora un mercato per un film come Avatar: non è già più quello del 2009 quando uscì il primo film della saga. E io ho 70 anni. Ma la voglia di continuare c’è ancora: questo è certo”.