Anno | 2024 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Svizzera, Perù |
Durata | 104 minuti |
Al cinema | 9 sale cinematografiche |
Regia di | Klaudia Reynicke |
Attori | Abril Gjurinovic, Luana Vega, Jimena Lindo, Gonzalo Molina, Susi Sánchez Tatiana Astengo, Sandro Calderón. |
Uscita | giovedì 15 maggio 2025 |
Tag | Da vedere 2024 |
Distribuzione | ExitMedia |
MYmonetro | 3,21 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 10 maggio 2025
Due sorelle stanno per cambiare casa e nel frattempo riallacciano i rapporti con il padre. In Italia al Box Office Reinas ha incassato 15,5 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Lima, anni Novanta. Aurora e Lucia sono due sorelle peruviane che stanno per partire per il Minnesota insieme alla madre. Mentre la madre è intenta a seguire i vari passaggi burocratici prima della partenza, ricompare il padre, che a lungo non si è occupato di loro. L'idea del viaggio imminente porta scompiglio nella vita di tutti, costringendoli a riconsiderare le proprie vite e i propri rapporti. Quando toccherà alle ragazze far emergere le proprie verità tutto sembrerà crollare, specie in un Paese in cui vigono coprifuoco e punizioni rigide per chi non lo rispetta. Ma la famiglia si dimostrerà più forte di tutto.
È uno di quei film che si svela e si fa amare poco a poco, Reinas.
Terzo lungometraggio diretto dalla regista Klaudia Reynicke, è ambientato nella capitale del Perù all'inizio degli anni Novanta. La storia si sviluppa da subito come una tragicommedia familiare, con al centro due sorelle, una adolescente, Aurora, l'altra più piccola, Lucia. Condividono esperienze quotidiane, fanno patti di segretezza e solidarietà, e malgrado la differenza di età si rivelano unitissime. L'esatto contrario dei loro genitori. La madre Elena, interpretata dall'ottima Jimena Lindo - è una grande annata per le attrici latinoamericane, Fernanda Torres insegna - è impegnata a preparare tutti i documenti necessari per lasciare il Paese e portare in Minnesota le ragazze.
L'idea dell'America come utopia di una vita migliore non sfiora minimamente il padre Carlos, che è sempre stato assente e vive di espedienti giornalieri, e quando ricompare nelle vite delle figlie lo fa in maniera scanzonata, divertente e piuttosto superficiale, portandole in spiaggia e passando finalmente un po' di tempo con loro.
Questo non giustifica la sua assenza, più volte rimarcata dalla stessa Elena. Il dramma familiare vira con decisione sulla questione cruciale della scelta: lasciare il Paese per andare in America è davvero la soluzione migliore per tutti? Con tenerezza e un approccio di interessante scavo psicologico, la regista mostra il divario generazionale mostrando il disaccordo di chi, adolescente, ha una nuova vita da affrontare.
A poco a poco sono proprio le ragazze a smontare il castello di carte costruito dagli adulti e, forte delle convincenti performance delle sue piccole grandi protagoniste Abril Gjurinovic e Luana Vega, la regista sembra seguire lo stesso andamento decostruttivo. Nel descrivere legami familiari fatti di piccole cose, una gita al mare come l'appellativo "reinas", regine, a figlie di cui non ci si è mai occupati veramente, la narrazione prosegue senza giudizi e scene madri, almeno fino al colpo di scena rivelato da Aurora alla sorella. È lì che la Storia, fino a quel momento solo accennata dalla costante premura dei protagonisti nel rispettare il rigido coprifuoco, entra a gamba tesa nella storia familiare.
Da quella scena in poi le ragazze faranno irrompere la violenza del contesto storico nella vicenda, mostrando a chi guarda come infrangere il coprifuoco potesse avere serie conseguenze. Ma la regista si limita ad accennarle appena, senza indugiarvi troppo, riportando subito il focus sulle peripezie familiari. Perché è la famiglia che conta, in quest'opera evidentemente autobiografica, che riflette tanto sui legami affettivi quanto sulla sfida del cambiamento. E che arriva persino a commuovere nel finale, quando mani nelle mani si ricorda il segreto per farcela, nella vita, restando uniti: «Con i piedi a terra e guardando il cielo nulla è impossibile».
La trama, a raccontarla, è semplice ma il film è pieno di sfaccettature emotive e affettive, parla dell'amore in tutte le sue forme, immediate o contorte, sempre autentico anche nelle piccole bugie. Se la trama è semplice, tuttavia coinvolge fino all'ultimo fotogramma, anche grazie alla capacità degli interpreti di esprimere sentimenti trattenuti.
La trama, a raccontarla, è semplice ma il film è pieno di sfaccettature emotive e affettive, parla dell'amore in tutte le sue forme, immediate o contorte, sempre autentico anche nelle piccole bugie. Se la trama è semplice, tuttavia coinvolge fino all'ultimo fotogramma, anche grazie alla capacità degli interpreti di esprimere sentimenti trattenuti.
Al cinema dal 15 maggio, arriva Reinas, terza opera di finzione, dopo Il nido e Love Me Tender di Klaudia Reynicke nata a Lima nel 1976 e cresciuta tra il Perù, la Svizzera e gli Stati Uniti. E Reinas, presentato al Sundance, miglior film della sezione Generation alla Berlinale dello scorso anno, Premio del Pubblico al Festival di Locarno, è stato presentato in questi giorni anche al festival La Nueva Ola, dove la regista ha raccontato proprio del momento prima del viaggio di sradicamento di una famiglia.
Come è nata l’idea?
Da un duplice movimento, la voglia di riconnettermi a un Paese che non conoscevo più, il Perù – perché io sono partita quando avevo 10 anni e poi sono cresciuta tra l'Europa e gli Stati Uniti (mi sento peruviana però quando mi chiedo in che misura, entro in crisi totale) – e il desiderio di raccontare una storia ovviamente molto personale. Quella di una famiglia che, per forza, si rimette insieme prima di una grande partenza, un aspetto che ho vissuto anche io. Vedo tanti film sull’immigrazione in cui si è già partiti o si è già arrivati nel Paese di destinazione con la difficoltà di un posto che non si conosce. Io invece volevo mettere in scena quel momento psicologico del niente, del limbo, dove uno vive il suo presente pensando a un futuro che non conosce ma anche un presente, pieno di nostalgia, che è legato al passato.
La storia è ambientata negli anni ’90, è stato complicato realizzare un film in ‘costume’?
Sì perché è più costoso. Abbiamo avuto una produzione Svizzera, poi ovviamente la co-produzione peruviana perché si girava in Perù e anche la Spagna è stato molto importante anche perché, scrivendo questo film, sapevo già che volevo Susi Sánchez che è un'attrice incredibile e ha elaborato questo accento peruviano in un modo pazzesco.
A questo proposito, come sono state scoperte anche le giovani attrici?
Per la ragazza più grande avevamo fatto tantissimi casting in città diverse ma proprio non trovavo l’interprete giusta. Poi una volta ero in call con il produttore Daniel Vega, che è il fratello del cosceneggiatore Diego, e vedo passare dietro sua figlia. Gli chiedo quanti anni ha e perché non mi avesse mandato le foto. Mi risponde che ne ha 14 e che vorrebbe fare l’avvocato o il medico e non ne vuole sapere del cinema. Alla fine grazie al padre e a un’amica sono riuscita a convincere Luana. La più piccola invece, Abril Gjurinovic, l’ha trovata il casting in un centro commerciale e abbiamo poi scoperto che non abitava in Perù ma in Belgio dopo che la madre era partita durante il Covid. Un po’ la stessa storia di quella del personaggio di Lucía che ha interpretato.
Durante l'estate del 1992 il Perù versa in uno stato di profondissima crisi: l'economia e i consumi interni sono a terra, prostrati da fenomeni iperinflattivi, mentre, sul piano politico e civile, la nazione è governata da Alberto Fujimori, che dopo la sua elezione a presidente, ha instaurato la dittatura con il cosiddetto "autogolpe" del 5 aprile dello stesso anno.
La nonna dice che sei un morto di fame, è vero?". La voce dell'innocenza spiattella a papà quello che pensano di lui in famiglia. Siamo a Lima nel 1992. Neanche la madre ha ormai una grande opinione dell'uomo che ha sposato. Gli serve solo la firma del genitore con la patria potestà, per potersene andare negli Stati Uniti assieme alle due figlie: Lucia e Aurora, una adolescente e interessata ai ragazzi, [...] Vai alla recensione »
Reinas (regine) è il termine affettuoso con cui Carlos chiama le sue figlie Aurora (adolescente) e Lucía (10 anni). Le due sorelle stanno per lasciare il Perù dei primi anni novanta, con i guerriglieri di Sendero luminoso sempre all'attacco e un'economia in crisi. La madre vuole provare a dargli una vita migliore in Minnesota. Carlos, padre assente ma amorevole e occasionalmente affascinante, può impedire [...] Vai alla recensione »
«Faccio l'attore, ma imparo molto osservando la gente». È questa una delle mille vite inventate da Carlos, tassista in debito affettivo verso una compagna e due figlie da tempo abbandonate a se stesse. Siamo a Lima nei primi anni 90, e la tv annuncia un tracollo economico che triplica il costo dei beni di prima necessità. Non è tanto il contesto storico e politico, tuttavia, a riportare Klaudia Reynicke [...] Vai alla recensione »
Nel Perù del 1992, tra blackout improvvisi e strade attraversate da proteste, Klaudia Reynicke si intrufola dentro una storia familiare minima, eppure carica di vibrazioni collettive. Reinas, cioè "regine", il nomignolo affettuoso con cui Carlos chiama le sue figlie, è il racconto sussurrato di un uomo che tenta, forse troppo tardi, di lasciare un ricordo di sé.
Era nel pieno dell'adolescenza, la regista Klaudia Reynicke, all'inizio degli anni Novanta, periodo in cui il Perù era segnato da una profonda instabilità politica, con radicati conflitti sociali e un'inesorabile crisi economica. È il momento storico in cui la stessa Reynicke, nata a Lima nel 1976, lasciò il Perù per trasferirsi prima in Svizzera, diventata seconda patria, e poi in Florida, dove si [...] Vai alla recensione »