Franklin

Siamo nel 1776 e, in un viaggio che attraversa le onde dell'Atlantico, Benjamin Franklin (Michael Douglas), accompagnato da suo nipote e assistente Temple (Noah Jupe), naviga verso l'Europa con un obiettivo ambizioso: assicurare l'appoggio della Francia nella fervente lotta per l'indipendenza americana contro la Gran Bretagna. La reputazione di Franklin, saldamente ancorata alla sua fama internazionale come inventore, diplomatico e intellettuale, si scontra con la complessità e la sfiducia dell'intricata corte francese, trasformando questa missione in un gioco di equilibri diplomatici.

Franklin sbarca in Europa, ma per la precisione su Apple TV+, durante uno dei momenti più turbolenti della storia statunitense: la Rivoluzione Americana. Non potevamo che aspettarci un'ottima interpretazione da un attore della vecchia guardia come Michael Douglas, che traduce sullo schermo un uomo di spirito e astuzia, ma anche dotato di vulnerabilità e dubbi.

L'intesa con Noah Jupe, che interpreta il giovane Temple, è al centro della narrazione: un dinamico scambio intergenerazionale che esplora le differenze di visione e le sfide nel legame tra i due. Tuttavia, il punto dolente della serie si annida nella sceneggiatura: la storicità di Franklin sfuma sotto i colpi di una modernizzazione eccessiva. Il personaggio storico, infatti, sfoca in una rappresentazione caratterizzata da comportamenti e dialoghi che possono apparire anacronistici o poco coerenti con il contesto. Riprendendo le parole dello stesso Benjamin Franklin, "ben fatto è meglio che ben detto": se si vuole tradurre per lo schermo un personaggio di questa levatura, ecco che ogni intervento sulla narrazione, se non ben sorretto storicamente, apparirà un divertissement gratuito e incoerente.
L'interpretazione di Douglas, benché interessante, non è quindi sufficiente a imprimere il personaggio sullo schermo, e certamente non eclissa le magnifiche interpretazioni di Orson Welles, che ne prese i panni sia nel 1954, in Versailles di Sacha Guitry, sia nel 1961, in La Fayette di Jean Dréville. E forse non è un caso che in questi film il padre fondatore americano non fosse il protagonista, ma che al centro vi fosse la corte francese: la focalizzazione della miniserie Franklin si allontana, anch'essa, spesso dai protagonisti per esplorare sottotrame poco coinvolgenti, seppur rincorrendo sempre la mescolanza tra fatto storico e strategia narrativa - che introduce elementi di modernità, dalla colonna sonora alla rappresentazione di un Benjamin Franklin contemporaneamente superstar e facile alle flatulenze.
La serie mostra un impegno notevole nel ricostruire con fedeltà l'epoca, attraverso una meticolosa attenzione ai costumi, alle scenografie e all'utilizzo della luce naturale che contribuisce a creare un'atmosfera autentica del XVIII secolo. In questo, la serie attinge molto al ricco tessuto storico, dall'ostentazione della corte francese alla tensione sottile tra le potenze europee, contestualizzando la missione diplomatica di Franklin. Ciononostante, va riconosciuta una certa pigrizia nella gestione dei personaggi secondari e delle figure storiche, che in alcuni casi appaiono meno sviluppate o non completamente realizzate, appunto. Se da un lato Michael Douglas e Noah Jupe raccontano in maniera articolata i loro personaggi, offrendo interpretazioni complesse e sfumate, alcuni dei personaggi che incontrano nel loro percorso francese sembrano mancare di profondità, in particolare la figura di John Adams (Eddie Marsan) e soprattutto quella del Marquis de La Fayette (Théodore Pellerin), le cui personalità e motivazioni appaiono a tratti superficiali, non rendendo pienamente giustizia alla loro complessità storica.

Da riconoscere la capacità di Tim Van Patten, alla regia, nel mescolare il dramma storico con momenti di introspezione più personali, creando un ritratto complesso e sfaccettato del protagonista e del tempo; similmente la fotografia, che si avvale di luci naturali e tonalità desaturate, contribuisce a creare un'estetica che è al tempo stesso ricca e intimista. Pur essendo visivamente affascinante e ricca di dettagli storici, Franklin soffre però di un certo grado di staticità narrativa: la scelta di concentrarsi su dialoghi e scene di interni, benché funzionale all'esplorazione delle dinamiche diplomatiche e personali, rischia di limitare l'azione, rendendo alcuni episodi meno avvincenti di quanto potrebbero essere. E sappiamo bene che, ricordando ancora l'inventore del parafulmine, "una piccola falla affonda una grande nave". 