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Lila Avilés: «Amo la vitalità, la bellezza e il distacco dell’io di un bambino»

La cineasta - regista, sceneggiatrice, produttrice - porta avanti il suo cinema femminile intimo e consapevole. E con Totem - Il mio sole diventa la nuova ambasciatrice del cinema messicano. Dal 7 marzo al cinema.
di Luigi Coluccio

lunedì 4 marzo 2024 - Incontri

Due film, due candidature da parte del proprio paese come miglior film internazionale gli Oscar americani. Venticinquesima regista donna (dopo nomi come Agnès Varda, Sofia Coppola e Lucrecia Martel) scelta da Miu Miu per la sua campagna Women’s Tales 2023. Presentata dai conterranei Three Amigos (Alejandro G. Iñárritu, Guillermo del Toro e Alfonso Cuarón) come nuova ambasciatrice del cinema messicano.

Lila Avilés ne ha di cose con cui presentarsi. Regista, sceneggiatrice e produttrice, dopo anni di lavoro tra teatro drammatico e opera, nel 2018 firma il suo esordio con The Chambermaid, storia tutta in apnea dell’addetta alle pulizie Eva in uno degli alberghi di lusso di Città del Messico. Con Totem – Il mio sole, in concorso all’ultima Berlinale dove ha vinto il premio della Giuria Ecumenica, in uscita in Italia giovedì 7 marzo per Ufficine Ubu, Avilés porta avanti la sua ricerca di un cinema femminile intimo e consapevole, stavolta seguendo la storia di Sol e della sua giornata presso la casa dei nonni, dove zie e cugini stanno allestendo la festa di compleanno di Tona, il padre giovane pittore da tempo malato.

Totem – Il mio sole è un labirinto di sguardi e di visioni a diverse altezze, soprattutto quella della piccola protagonista, Sol, interpretata da Naíma Sentíes, che all’epoca delle riprese aveva otto anni. E anche nel tuo corto del 2016, Dèjá Vu, il centro di tutto è un’altra bambina, Kia Arredondo. Com’è lavorare con i più piccoli in un cinema come il tuo?
Mi piace l’infanzia, mi piace quel famoso detto “l’infanzia è destino”. C’è qualcosa di profondamente bello in essa, nella sua fragilità e nobiltà. Ci dimentichiamo sempre di quella bambina o di quel bambino e credo che quei primi anni siano estremamente importanti per ciò che verrà dopo nell’età adulta. Amo la vitalità, la bellezza e il distacco dell’io di un bambino.

Il discorso sui bambini si lega anche a quello più generale degli attori, del gruppo di persone di cui ti circondi sul set. E forse non è un caso che per Totem tu abbia supervisionato anche il casting assieme a Gabriela Cartol, la protagonista del tuo precedente La camarista. Ci puoi parlare di come avete lavorato?
Ho un legame molto speciale con Gabriela Cartol, a volte succede quando si fa cinema. Si diventa una famiglia e sapevo fin dall'inizio che la forza di questo film risiedeva nel casting, quindi l’abbiamo realizzato noi due e sono molto contenta del risultato. È anche bello pensare che non si debba sempre lavorare sugli stessi progetti nello stesso modo, se si evolvono anche questi processi è una cosa molto positiva.

Ci sono i bambini e gli adulti, gli attori che si devono fare e quelli già arrivati. Ma in realtà una delle protagoniste principali del film è la casa stessa, uno spazio che può essere allo stesso tempo angusto e luminoso, opprimente e spalancato, che tu più che attraversare “scopri” scena dopo scena. Come hai creato questo set e questo viaggio?
Per me era fondamentale che la casa fosse percepita come uno spazio vissuto, che l'art design apparisse così approfondito, che si sentisse il passaggio del tempo e un senso di iperrealismo. Il lavoro di Nohemi Gonzalez [scenografa, NdT] è stato importante perché ha messo molto amore nella realizzazione della casa. L’altro elemento centrale era la fotografia, la sensazione di luci e ombre, la sua dualità.
 


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In foto un'immagine del film Totem - Il mio sole. Dal 7 marzo al cinema.

Qualche volta hai parlato di quando andavi a trovare tua nonna nel sud del paese e lei ti raccontava le storie sulla “Xtabay”. Allo stesso tempo in Totem non ci sono solo i valori della borghesia cittadina del Messico dei giorni nostri, ma anche un’ancestrale sciamanesimo fatto di brujas, curanderos, droghe al posto della chemioterapia. Quanto è importante per i personaggi del film riappropriarsi di questo sincretismo per affrontare un momento di passaggio così definitivo?
Mi piacciono molto le storie in generale e, venendo dal Messico, è impossibile non essere legati ad una certa mitologia. Mi piacciono i micro universi, e che partendo dal significato di “casa” si possa parlare di una famiglia, di una ragazza o di un pezzo di storia messicana. Il Messico è un paese complesso dove il misticismo si intreccia sempre alla vita mondana, nelle cose più semplici come in quelle più straordinarie, e questa parte mi prende molto, forse è stato lo stesso per Luis Buñuel che ha soggiornato qui per un po’ di tempo o a Fellini che adorava la “mistica messicana”.

Il momento centrale del film è forse lo spettacolo che Sol e la madre Lucía mettono in scena per Tona. Senza svelare nulla, diciamo che è legato alla Lucia di Lammermoor di Donizetti, come il corto che hai realizzato per la serie di Miu Miu era collegato a Madama Butterfly di Puccini, la prima opera che hai messo in scena come assistente alla regia. Quanto è forte il tuo legame con la lirica, l’opera, il teatro?
Ho lavorato a lungo nell’opera e nel teatro, amo la musica, è qualcosa di speciale per me. E forse è per questo che non l’ho usata molto, nemmeno ne La Camarista. La musica porta ad una consapevolezza maggiore della narrazione, della recitazione e di tutto il resto. Quindi in Totem mi piaceva preparare il terreno per quel momento di bellezza, amore e dolcezza.

Hai realizzato due lunghi e diversi corti, quindi già si può tracciare una prima somma della tua poetica. Abbiamo parlato dei bambini, degli spazi, del teatro, ma un altro punto ricorrente nei tuoi film è il discorso sulla femminilità, sull’essere e sull’agire come donna in un mondo patriarcale, discorso che torna anche in Totem dove ogni cosa è gestita dal gruppo di sorelle.
Penso che sia naturale per me, vengo dal matriarcato, mia madre e le mie zie fanno parte di questo gruppo di donne guerriere che hanno sempre lavorato e vegliato su loro stesse e sui loro figli. Mi sento fortunata ad aver avuto questo esempio. Non mi interessa imporlo, penso che venga naturale. Credo fermamente nei legami e nella mia vita sono stata anche circondata da uomini meravigliosi, ma purtroppo in Messico soffriamo di un ambiente machista, che non aiuta l'equità.

Hai fondato una tua casa di produzione (Limerencia Films), La camarista e Totem sono stati scelti dal Messico come candidati per gli Oscar al miglior film straniero, hai partecipato e vinto in decine di festival, Salma Hayek è diventata executive di Totem. Quali sono i prossimi passi di un’autrice e produttrice oramai riconosciuta a livello nazionale e internazionale come te?
La cosa più importante è continuare a filmare, guardare sempre alle persone che ammiri, alle carriere dei registi più importanti, perché questo aiuta a tenere i piedi e il cuore per terra, pensando sempre alla bellezza del cinema e non perdendosi per strada. Per ora credo di voler raggiungere più pubblico, soprattutto quello giovane, che è sempre più difficile da attirare al cinema. Si tratta forse di cercare un modo per rivolgersi a pubblici diversi, senza perdere l’essenza stessa e continuando a cambiare e a giocare con i formati.


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