Uno spettacolo grandioso e crepitante, con colori pastello, sequenze di lotta in bianco e nero, design di alieni e divinità a ruota libera. Disponibile su CHILI. GUARDA SUBITO IL FILM »
di Luigi Coluccio
Taika Waititi. O Taika Cohen, dal cognome della madre che usava ad inizio carriera per firmare i suoi lavori, fate voi. Chi è costui ? Uno slacker neozalendese arrivato chissà come ai vertici dell’industria americana dell’intrattenimento? Uno stand-up comedian che ha raccolto l’eredità visionaria e dissacrante di Sir Peter Jackson, quando quest’ultimo è arrivato ai vertici dell’industria americana dell’intrattenimento? Niente di tutto questo, tutto questo e altro.
Waititi (che ha diretto appunto Thor: Love and Thunder, ora disponibile su CHILI) è un autore/attore/produttore che ha attraversato tutto lo spettro del mondo dello spettacolo, con lavori sghembi, DIY e a cuore aperto, dai primi gig in giro tra Wellington e Perth con vari gruppi comici fino al corto Two Cars, One Night nominato agli Oscar del 2004; dai record al botteghino locale con Boy e Selvaggi in fuga alle produzioni internazionali e non di Wellington Paranormal, What We Do in the Shadows e l’ultima Reservation Dogs; dalle apparizioni come corpo in Green Lantern, Jojo Rabbit (guarda la video recensione), Free Guy a quelle solo voce in titoli come Lightyear e The Mandalorian (nomination agli Emmy del 2020).
Thor Odinson. Figlio tanto della mitologia nordica quanto di quella fumettistica e cinematografica della Marvel, componente storico dei Big Three – assieme a Capitan America e Iron Man –, cioè il cuore classicheggiante dell’universo di Stan Lee e discendenti, che per forza di cose (leggasi diritti di sfruttamento venduti nel corso dei decenni) divengono la pietra angolare della cavalcata di Kevin Feige e soci dal 2008 in poi. Quello che da un po’ si chiama Marvel Cinematic Universe, fatto di 29 film, quasi 28 miliardi di dollari raccolti al botteghino e 8 serie tv solo su Disney+, è una sorta di Studio System contemporaneo, dove i contratti multi-film, la realizzazione in serie e lo spostamento di autori e attori da un titolo all’altro sembrano presi di peso dalla Hollywood dell’epoca classica – e la saga di Thor ne spiega meglio di altre il successo.
Thor di Kenneth Branagh e Thor - The Dark World di Alan Taylor sono tutt’uno con i picchi e i rovesci della Fase Uno e Fase Due dell’universo cinematografico Marvel, quando la traslazione da un medium ad un altro non era ancora completa e ci si aggrovigliava in un ibrido senza nerbo, identità, una sorta di pallido superhero movie che non traeva forza né dall’iconicità fumettistica né dalla complessità formale – di scrittura e di regia – di un blockbuster hollywoodiano.
Dalla Fase Tre in poi, raccogliendo e rilanciando le intuizioni presenti nei titoli precedenti, la Marvel scuote le sue produzioni ibridandole con i generi, portando sullo schermo nuovi e diversi protagonisti, affilando le tematiche e rinnovando il suo parco autori. Entrano così James Gunn, Ryan Coogler, Anna Boden, Ryan Fleck, Jon Watts e il nostro Waititi.