antonio montefalcone
|
giovedì 18 novembre 2021
|
un vertiginoso affresco di vicende umane
|
|
|
|
Ispirandosi ad articoli e firme storiche dell’amato periodico statunitense «The New Yorker» (come si vede dalle copertine nei titoli di coda), ma spostando l’azione in Francia, l’ultima pellicola di Anderson è (anche e non soltanto) un sentito omaggio a qualcosa che sta scomparendo (o è già scomparso), a una cultura passata di moda, a un certo modo di fare giornalismo, all’onesta ricerca della verità, al gioco di squadra, a una tradizione e alla descrizione dei stupefacenti sistemi e meccanismi nascosti dietro il fascino della carta stampata e, per estensione, del cinema analogico (l’opera è girata su pellicola), oggi sempre più soppiantati dal telematico e dal digitale.
[+]
Ispirandosi ad articoli e firme storiche dell’amato periodico statunitense «The New Yorker» (come si vede dalle copertine nei titoli di coda), ma spostando l’azione in Francia, l’ultima pellicola di Anderson è (anche e non soltanto) un sentito omaggio a qualcosa che sta scomparendo (o è già scomparso), a una cultura passata di moda, a un certo modo di fare giornalismo, all’onesta ricerca della verità, al gioco di squadra, a una tradizione e alla descrizione dei stupefacenti sistemi e meccanismi nascosti dietro il fascino della carta stampata e, per estensione, del cinema analogico (l’opera è girata su pellicola), oggi sempre più soppiantati dal telematico e dal digitale. Il film mescola il bianco e nero e il colore, il live-action e l’animazione; ha un’estetica avvolgente e una grafica ricca e bizzarra, immaginifica e fantasiosa, che rimandano a miniature e modellismo, disegni e quadri pittorici.
Quattro storie, quattro godibili episodi incastonati tra loro (l’ispirazione del regista è stata la struttura del film “L’oro di Napoli” di De Sica), firmati da altrettanti giornalisti e ciascuna delle quali corrispondente a una sezione dell’immaginario magazine protagonista di questa pellicola, raccontate in immagini e parole col consueto e ammaliante, geometrico e stilizzato, personale e riconoscibile stile visivo e narrativo a cui ci ha abituati Wes Anderson con la sua mirabile filmografia.
In nome del cinema e del suo puro piacere, Wes Anderson inanella qui una serie energica, vertiginosa e minimalista di citazioni e omaggi, riconoscimenti e prodezze tecniche.
Tantissimi gli attori nel variegato cast, e tantissima carica vitale nel ritmo delle sequenze e del montaggio, ma anche nella composizione delle inquadrature, tanto piene di elementi e dettagli.
Interessante anche stavolta il sapiente utilizzo delle raffinate scenografie (precisa, curata e minuziosa la costruzione dei décor, dei costumi e accessori), dell’elegante uso della fotografia, dell’efficacia della colonna sonora.
Tutto suona di meraviglioso, nel senso di sbalorditivo, in “The French Dispatch”, ed è una gioia per gli occhi (e non solo) dello spettatore. Tutta questa grazia visiva e sonora, antinaturalistica e formale, non scade mai però nel mero esercizio di stile, manierato, fine a stesso o sterile, anzi, diventa altro, diventa arte, astrazione allegorica e commovente dell’esistenza umana, e, soprattutto, motivo di riflessione e tenerezza emotiva, perché, seppur nascosta dalla patina di divertita e divertente autoironia, il film offre temi seri ed importanti(la creatività e l’idealismo dalla cronaca all’arte, ciò che rimane della Storia contemporanea, ciò che può trasfigurare il vuoto dell’esistenza materiale o che merita di sopravvivere alle miserie e alle memorie umane), scorci di poesia, lampi di umanità, comicità e tragedia, disagio del cambiamento e morte...
Non quindi una semplice commedia mascherata da riflessione cinefilo-nostalgica, non un riduttivo inno al giornalismo che fu, non una parodica girandola di racconti e vicende ben incastrate tra loro, come potrebbe sembrare in apparenza, “The French Dispatch” è si tutto questo ma anche altro: è soprattutto la messinscena di un disperato bisogno tutto umano di riempire con dolcezza e senso ciò che manca (e mancherà) alle nostre menti e ai nostri cuori nello spazio, nel Tempo, nelle pieghe della Storia e delle vite di ognuno di noi…
[-]
[+] ma quale "onesta ricerca della verità"?!
(di uppercut)
[ - ] ma quale "onesta ricerca della verità"?!
[+] ma quale "onesta ricerca della verità"?!
(di uppercut)
[ - ] ma quale "onesta ricerca della verità"?!
[+] sono parole di wes anderson, non mie
(di antonio montefalcone)
[ - ] sono parole di wes anderson, non mie
|
|
[+] lascia un commento a antonio montefalcone »
[ - ] lascia un commento a antonio montefalcone »
|
|
d'accordo? |
|
francesca meneghetti
|
domenica 14 novembre 2021
|
e' del poeta il fin la meraviglia
|
|
|
|
Quando si esce da un luna park, in testa continuano a mulinare immagini, suoni, odori diversi e ci si sente un po' confusi, ma in fondo felici, in modo infantile. Così ci si sente dopo la visione di The French Dispatch. Che è, sì, anche, un omaggio al giornalismo di altri tempi, uno sguardo nostalgico rivolto a un XX secolo (preso senza i suoi terribili conflitti), alla Parigi di un tempo in particolare, una dichiarazione d'amore a tutti i generi del cinema. Ma è anche un giocoso collage o patchwork di stili e linguaggi, sostenuto da un ritmo intenso che travolge e trascina lo spettatore. La struttura narrativa è vagamente teatrale: prologo, quattro atti, epilogo. Il prologo è dato da un necrologio.
[+]
Quando si esce da un luna park, in testa continuano a mulinare immagini, suoni, odori diversi e ci si sente un po' confusi, ma in fondo felici, in modo infantile. Così ci si sente dopo la visione di The French Dispatch. Che è, sì, anche, un omaggio al giornalismo di altri tempi, uno sguardo nostalgico rivolto a un XX secolo (preso senza i suoi terribili conflitti), alla Parigi di un tempo in particolare, una dichiarazione d'amore a tutti i generi del cinema. Ma è anche un giocoso collage o patchwork di stili e linguaggi, sostenuto da un ritmo intenso che travolge e trascina lo spettatore. La struttura narrativa è vagamente teatrale: prologo, quattro atti, epilogo. Il prologo è dato da un necrologio. È morto il direttore della redazione francese di un settimanale del Kansas, The French Dispatch, il quale ha stabilito nel testamento la chiusura della rivista, dopo la pubblicazione di un ultimo numero, una specie di "capolavoro". Seguono i quattro "pezzi" ritenuti degni di questo atto finale. Un reporter-ciclista, con sguardo distopico che gli permette di anticipare il futuro, compone un saggio di costume sulla gente di Ennui-sur-Blasé, il nome immaginario (nomen omen) della città dove risiede la redazione: una via di mezzo tra la Parigi del Favoloso mondo di Amelie e certe raffigurazioni delle vecchie città europee, dickensiane e disneylandiane al tempo stesso (il riferimento ai fumetti è pertinente perché animazioni irrompono con anarchica libertà nel film, così come il colore o il bianco e nero). Una giornalista affascinante e intellettuale racconta la storia dell'ebreo messicano, omicida, che finisce in prigione e si salva, grazie all'arte e alla comprensione di una poliziotta che posa nuda per lui (tralasciando le rocambolesche avventure che ruotano attorno). Un'altra giornalista, intelligente, e incline a portare la propria soggettività nella scrittura non proprio neutrale, delinea un ritratto della rivolta studentesca di Ennui, focalizzando l'attenzione sul giovane leader. Un critico di gastonomia narra come si è trovato coinvolto in una vicenda poliziesca, di rapimento del figlio del commissario. L'epilogo ci riporta all'incipit e ci racconta la morte del direttore, che rimane disteso su una barella, mentre i redattori discutono attorno a lui sul da farsi, fumando e mangiando una fetta d torta, come se fosse vivo. Ma attorno al nucleo tematico di ogni sezione ruotano vorticosamente immagini e storie secondarie, tanto che lo spettatore a volte si perde, ma viene riacciuffato e trascinato in un nuovo gorgo, sorpreso e divertito, dato che c'è tanta tanta ironia, e tanta parodia a condire questo piatto fusion. Forse di potrebbe parlare di un prodotto "barocco", ripensando alla regola di Giambattista Marino: "È del poeta il fin la meraviglia". Ma solo nel senso che suscita appunto sorpresa e meraviglia di fronte e tante stupefacenti invenzioni. E a volte scivola pure nel barocchismo, quando insiste troppo nel gioco. Infine, anche il cast è stupefacente. Ricordiamo, in base alle nostre simpatie: Frances McDormand, Adrien Brody, Timothée Chalamet, Benicio del Toro, Kate Winslet... eccetera. Da non perdere.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a francesca meneghetti »
[ - ] lascia un commento a francesca meneghetti »
|
|
d'accordo? |
|
writer58
|
venerdì 19 novembre 2021
|
forma e contenuto
|
|
|
|
Un cast eccezionale, una scenografia preziosa e innovatrice, atmosfere che rappresentano e trasfigurano uno spazio tempo particolare (la Francia di metà del ventesimo secolo), proponendo un insieme di quadri, icone e simboli dalla forte valenza pittorica, personaggi come figurine animate (con un approccio simile a quello del grande film di Scorsese "Hugo Cabret") che interagiscono tra di loro secondo un repertorio prestabilito di possibilità, un insieme di fondali di teatro riccamente decorati e cromaticamente saturi che rendono a volte le scene sfarzose e sovrabbondanti, l'uso disinvolto di sequenze di animazione, una proposta formalmente bellissima, tutto ciò è "The French Dispatch", l'ultima opera di Wes Anderson, regista di cui avevo apprezzato [+]
Un cast eccezionale, una scenografia preziosa e innovatrice, atmosfere che rappresentano e trasfigurano uno spazio tempo particolare (la Francia di metà del ventesimo secolo), proponendo un insieme di quadri, icone e simboli dalla forte valenza pittorica, personaggi come figurine animate (con un approccio simile a quello del grande film di Scorsese "Hugo Cabret") che interagiscono tra di loro secondo un repertorio prestabilito di possibilità, un insieme di fondali di teatro riccamente decorati e cromaticamente saturi che rendono a volte le scene sfarzose e sovrabbondanti, l'uso disinvolto di sequenze di animazione, una proposta formalmente bellissima, tutto ciò è "The French Dispatch", l'ultima opera di Wes Anderson, regista di cui avevo apprezzato "Gran Budapest Hotel" e "Il treno per il Darjeeling".
Eppure il film di Anderson non mi ha convinto e, a dirla tutta, a tratti mi ha anche annoiato, come se dentro la confezione magnifica e sontuosa ci fosse un contenuto esile, un esercizio di stile sfolgorante che copre la debolezza dell'impianto narrativo. L'unica vicenda che mi è parsa interessante è la prima, quella dell'artista-assassino che compone le sue opere nel manicomio criminale. Tutto il resto mi è parso poco più che un pretesto per mostrare al pubblico l'involucro sgargiante della messa in scena.
La sovrabbondanza di grandi attori, inoltre, ne relega parecchi in ruoli marginali, quasi dei camei. E' il caso di Elisabeth Moss, Christoph Waltz, Kate Winslet, tra altri.
In sintesi: "The French Dispatch" è una proposta in cui la forma prevale nettamente sul contenuto della narrazione, come se le storie raccontate fossero un mero espediente per cucire insieme le scene e le performance del nutrito gruppo di attori.
[-]
[+] confezione impeccabile ma la narrazione ?
(di alex2044)
[ - ] confezione impeccabile ma la narrazione ?
|
|
[+] lascia un commento a writer58 »
[ - ] lascia un commento a writer58 »
|
|
d'accordo? |
|
uppercut
|
mercoledì 17 novembre 2021
|
il racconto, la vita
|
|
|
|
Fa sinceramente tristezza cogliere l'imbarazzante, per non dire vergognosa distanza tra l'inarrivabile, preziosissima genialità espressa ad ogni livello da quest'opera e la superficialità dello sguardo ostentata con sbrigativa supponenza da tanti partecipanti a questo forum. Superficialità perdonabile in chi ha forse infilato la visione di The French Dispatch tra un giro pizza con gli amici e la corsa a casa per godersi lo splendore di Tu si que vales, ma davvero inammissibile in chi si è assunto la responsabilità editoriale di recensire un film come questo. Non ho il piacere di conoscere Marzia Gandolfi, quindi, per carità, nulla di personale.
[+]
Fa sinceramente tristezza cogliere l'imbarazzante, per non dire vergognosa distanza tra l'inarrivabile, preziosissima genialità espressa ad ogni livello da quest'opera e la superficialità dello sguardo ostentata con sbrigativa supponenza da tanti partecipanti a questo forum. Superficialità perdonabile in chi ha forse infilato la visione di The French Dispatch tra un giro pizza con gli amici e la corsa a casa per godersi lo splendore di Tu si que vales, ma davvero inammissibile in chi si è assunto la responsabilità editoriale di recensire un film come questo. Non ho il piacere di conoscere Marzia Gandolfi, quindi, per carità, nulla di personale. Anzi, se posso sbilanciarmi in un apprezzamento da umile utente, direi che nei suoi articoli affiorano cultura e intelligenza. Ma proprio questi requisiti non fanno che rendere ancora più inaccettabile un simile commento a un film così profondo e stratificato, una recensione dove a tornare con maggiore insistenza è lo sconforto per non avere avuto il tempo di riconoscere tutti gli attori presenti in scena. L'arte di Wes Anderson? Pronta l'etichettatura: "orafo che pratica la leggerezza di superficie". Ma che caspita significa? splendida forma, niente contenuto?! Ma che dire allora della sua leggerezza di superficie (in vero meno dorata)? Un capolavoro liquidato con tre stelline di affettuoso incoraggiamento e un giudizio tanto analitico ed accorto: "l'autore sembra aver rotto la relazione con la materia del mondo". Detto di un film realizzato in pellicola, costruito da un esercito di sudanti artigiani, fabbricato pezzo per pezzo proprio per fissarsi sullo schermo non meno di un affresco sul cemento. E perché, secondo Marzia Gandolfi, uno sforzo così imponente (e per chi sa coglierlo commovente)? Per rendere omaggio al giornalismo! Che è come dire che "2001: Odissea nello spazio" è nato per rendere omaggio alle astronavi.
Il film è la messa in scena di chi siamo. Un racconto che si fa carne (carta, ferro, nuvole di cotone, muscoli che possono impudicamente ingrossarsi) ma anche carne che si fa racconto e nel racconto, miracolosamente, può trovare la sua dimensione eterna, la più divertente vittoria sulla morte.
"E poi cos'è successo?" è l'ultima battuta intelliggibile del film. Perché poi è il rigoglioso bisbiglio di altre e altre incredibili storie che manterranno in vita la salma del defunto ben oltre la fine dello sciopero all'obitorio. Il racconto per Anderson non è esercizio estetico è missione esistenziale. E' sopravvivenza. Questo è il cinema di Wes Anderson, cara Marzia Gandolfi. Un cinema dove nelle pieghe del racconto si nascondono petite: la scoperta del gusto inarrivabile del veleno da parte di uno chef padrone di ogni sapore...
The French Dispatch ti allunga la vita di un'ora e quaranta minuti svelandoti il più profondo arcano. Siamo fatti di niente. Ma è un niente che può essere raccontato.
P.S.: quando si è bravi a scrivere, ci si può prendere il lusso di passare anche dal cinema al giardinaggio. Per carità: non vuole essere un consiglio.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a uppercut »
[ - ] lascia un commento a uppercut »
|
|
d'accordo? |
|
|