alessandro de felice
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giovedì 24 giugno 2021
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sempre diva!
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Parlare di questo film non è cosa semplice...e non perché ci si capisca poco,anzi...da capire c'è ben poco; il tormentato rapporto madre figlia con vari personaggi a supporto. I drammi lentamente verranno risolti e ,forse, tutti vivranno felici e contenti.
Detta così dunque niente di nuovo sotto al sole, ma perché dunque dovrebbe essere difficile parlare del film?
Perché tutto il film ruota attorno alla Deneuve ( e anche alla Binoche,ma solo di riflesso) tutto è concentrato su di lei, ogni parola,ogni silenzio, ogni scena....sembra quasi un lascito ai posteri di un' icona del cinema mondiale.
il concentrarsi troppo su di lei va a discapito un po' del tutto, rendendo l 'opera interessante,ma non certo memorabile.
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giorgio orlacchio
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sabato 26 dicembre 2020
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film melanconico e piatto
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Film piatto senza una storia forte e ben definita. Si distingue per la banalità del tormentato rapporto madre figlia, esperienza e gioventù ma senza alcun colpo di scena. Forte il sospetto che sia stato apprezzato solo dalla critica per il nome delle attrici.
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fabiofeli
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martedì 22 ottobre 2019
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la poesia è indispensabile nel cinema
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Fabienne (una Catherine Deneuve, dal volto immutato), attrice icona di Parigi, ormai declinante, sta rilasciando una intervista sulla autobiografia appena pubblicata ad un giornalista che adora lei ed il suo passato artistico, quando arriva da New York sua figlia Lumir (Juliette Binoche, il cui volto – per contrasto – è senza trucco e poco appariscente), con il marito (attore anche lui? bah!) e la figlia bambina. Non tutto va come dovrebbe nella fiabesca casa-castello, misteriosa nel verde del giardino lussureggiante: il maggiordomo sta per licenziarsi, perché vuole fare il nonno; l’attuale compagno di Fabienne cerca di diventare uno chef, nonostante la scarsa considerazione che la star gli concede; anche la figlia Lumir ha da recriminare che la madre non le ha fatto leggere le bozze del libro prima di pubblicarlo, perché in effetti sarebbero stati molti gli argomenti da discutere animatamente tra le due donne.
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Fabienne (una Catherine Deneuve, dal volto immutato), attrice icona di Parigi, ormai declinante, sta rilasciando una intervista sulla autobiografia appena pubblicata ad un giornalista che adora lei ed il suo passato artistico, quando arriva da New York sua figlia Lumir (Juliette Binoche, il cui volto – per contrasto – è senza trucco e poco appariscente), con il marito (attore anche lui? bah!) e la figlia bambina. Non tutto va come dovrebbe nella fiabesca casa-castello, misteriosa nel verde del giardino lussureggiante: il maggiordomo sta per licenziarsi, perché vuole fare il nonno; l’attuale compagno di Fabienne cerca di diventare uno chef, nonostante la scarsa considerazione che la star gli concede; anche la figlia Lumir ha da recriminare che la madre non le ha fatto leggere le bozze del libro prima di pubblicarlo, perché in effetti sarebbero stati molti gli argomenti da discutere animatamente tra le due donne. Fabienne/Catherine non ama essere contraddetta su quella che secondo lei è “la verità” su se stessa e la sua vita. E poi di verità ne può spuntare anche un’altra dalla fiction fantascientifica che Fabienne sta interpretando: la star è impegnata nel ruolo di una figlia che invecchia, mentre la madre resta giovane, fresca e bella perché nello spazio il tempo rallenta …
Kore-eda confeziona il suo primo film “europeo”, presentato al 76° Festival di Venezia, imperniato sempre sulle sfaccettature della famiglia dopo i primi bei film - Little Sister, Ritratto di Famiglia con Tempesta, e Un Affare di Famiglia - ; racconta di verità reali o deformate dai rispettivi ricordi. E su questa realtà interviene anche la finzione cinematografica, che rimanda echi diversi, dialoghi differenti, sensazioni ed interpretazioni differenti. Lo stesso tema, in chiave fortemente drammatica, era stato affrontato nel capolavoro Rashomon di Akira Kurosawa con Toshiro Mifune, nel quale apparivano le tre diverse verità dello stesso identico fatto, raccontate dal samurai, da sua moglie e dal predone. Fabienne/Catherine è bugiarda (?) e strega: in fondo non ha stregato almeno due o tre generazioni di spettatori cinematografici con la bellezza algida e immutata del suo volto, il suo sorriso accennato, contornato dal miele dei suoi capelli, il suo sguardo che rimprovera mentre concede? Perdoniamo a Kore-eda la battutina dissacrante sulla cinepresa in mano di Dancing in the dark del Lars di Dogma (protagoniste Biork e la stessa Deneuve) e l’invenzione di una casa-castello parigina nei pressi di un carcere, con un giardino che occulta il traffico e la metropolitana che sfreccia nei pressi, truccato come un bosco autunnale canadese nel quale spiccano alberi che sfogliano ad ogni alito di vento. La morale è che anche un fatto che ci ha coinvolto personalmente può essere andato diversamente da come lo ricordiamo. E può anche essere che la “strega” Fabienne ha veramente trasformato il marito Pierre, padre di Lumir, in una tartaruga, ed è pronta ad affermare che “la Poesia è indispensabile nel Cinema”. Da vedere.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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[+] la verità è coperta, protetta dalla finzione.
(di antonio montefalcone)
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aragornvr
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domenica 20 ottobre 2019
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la verità? un film mediocre.
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Allora, facciamo alcune riflessioni: 1) perchè La Véritè (una) in italiano deve essere tradotto in Le Verità (2 o piu'). 2) doppiaggio imbarazzante, toglie credibilità perfino alla Deneuve, per non parlare di Ethan Hawke che diventa una macchietta. 3) Lo rivedro' in francese, ma comunque dialoghi abbozzati, quasi improvvisati e sconnessi, storia e rapporti famigliari trattati in modo superficiale, scene da serial tv. Delusione totale.
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diabolik
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martedì 15 ottobre 2019
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mancata empatia sut tema madre e figlia
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in centrato sil narcisismmo della madre attrice di successo e madre che ha mancato iul rapporto con la figliua
il rancore e iul conflitto non è neppure centrale nella narrazione, protagonista pare essere questo seti sul quale alla fine si dipana il grumo dentro alla protagonista con se stessa e la figlia, per noi riaddensarsi e non dare co ntinuità ad un migliore rapporto fra le due
nessun tema risulta approfondito: madre ifglia, figlia marito, madre con se stessa e questa amica morta, figlia e padre, madre e collaboratore, madre e compagno cuoco e basta
noioso e lento, inconcludente
non lascia emozioni, davvero neppure due grandi attrici non fanno la differenza
ethan hawke purtroppo risulta il suo personaggio, un attore di serie b
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mardou_
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martedì 15 ottobre 2019
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una cerimonia del tè mancata
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La Cerimonia del tè che si pratica in Giappone sin dai tempi più antichi ha quattro principi costitutivi…
1 Armonia :la relazione ospite-invitato riflette la caducità della vita, attraverso gli oggetti scelti ed il cibo servito che cambiano a seconda della stagione e del ritmo naturale delle cose.
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La Cerimonia del tè che si pratica in Giappone sin dai tempi più antichi ha quattro principi costitutivi…
1 Armonia :la relazione ospite-invitato riflette la caducità della vita, attraverso gli oggetti scelti ed il cibo servito che cambiano a seconda della stagione e del ritmo naturale delle cose. Armonia significa quindi liberarsi da ogni pretesa o estremismo, sulla via della moderazione buddhista.
2 Rispetto verso ogni persona che ci permette di capire l’essenza condivisa di ciò che ci circonda.
3 Purezza nel senso etimologico del termine: pulendo la stanza del tè, l’ospite spazza via anche le proprie preoccupazioni e i vincoli mondani, preparandosi ad accogliere il bello di un’esperienza altrimenti non esperibile.
4 Tranquillità «Seduto lontano dal mondo, all’unisono con i ritmi della natura, liberato dai vincoli del mondo materiale e dalle comodità corporali, purificato e sensibile all’essenza sacra di tutto ciò che lo circonda, colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina a uno stadio di sublime serenità [..] Trovare una serenità duratura in noi stessi in compagnia d’altri: questo è il paradosso»
Sembra proprio che fra le mura della meravigliosa dimora con giardino nel centro di Parigi, si nasconda una prigione dove ognuno di questi elementi è chiuso in una stanza senza che tutto fluisca nell’equilibrio.
Il film di Hirokazu è quindi una cerimonia mancata, che si apre con il commento infastidito della protagonista, Fabienne Daugeville, a cui viene servito un tè non abbastanza caldo nel bel mezzo di un’intervista…
Sempre il tè è l’unica preoccupazione durante la noiosa lettura collettiva del copione di un film ed ancora motivo di disappunto quando la figlia Lumir, per ovviare all’errore di aver dato alla mamma una tazza che scotta, ci riversa una bottiglia d’acqua per far raffreddare l’infuso rovinando tutto.
La vita non è forse un costante tentativo di riconciliarsi con noi stessi e con gli altri?
Mentre Fabienne deve fare i conti con la vecchiaia e con una carriera d’attrice ormai crepuscolare, accoglie, respinge ed impartisce lezioni a tutti gli ospiti, che reclamano costantemente la sua attenzione, la loro parte nel suo libro di memorie appena pubblicato, da cui sono stati esclusi…
Non bisognerebbe mai fidarsi dei propri ricordi, in fondo: spesso decidiamo noi cosa dimenticare e cosa no, altre volte è il gioco della memoria che mischia le carte in tavola…
Il primo lavoro europeo del regista di Un Affare Di Famiglia è un soffio delicato che lascia grande libertà di azione a Catherine Deneuve e Juliette Binoche, interpreti sempre perfette anche nei momenti in cui viene a mancare la fluidità del racconto.
Poi però ci sono dei tocchi poetici, come il rumore del metrò che si sente più nitido ora che le foglie del giardino non attutiscono più i rumori,o l’abito nero col colletto bianco che Fabienne dona alla giovane collega Manon, identico a quello indossato dalla Deneuve in Belle De Jour, mentre basta guardare il cielo per sentire che Parigi è splendida d’inverno.
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flaw54
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lunedì 14 ottobre 2019
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una noia mortale
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Un normale film sui rapporti familiari monotono e noioso trasformato dalla critica in un quasi capolavoro. Non capisco perché film simili e anche migliori del cinema italiano vengano stroncatoi senza pietà, mentre tutto ciò che é prodotto all'estero viene presentato come qualcosa di fascinoso e di profondo. Dará il nome del regista e quello delle attrici? La Deneuve poi non mi è neppure piaciuta, mentre la Binoche si mostra più brillante e in parte.
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(di herry)
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ghisi gr�tter
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domenica 13 ottobre 2019
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maternità e narcisismo
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Il film “Le verità” costituisce una sorta di monumento a Catherine Deneuve, che ne fa un pezzo di bravura. La tematica del narcisismo dell’attore, in questo caso attrice, non è certo un soggetto originale, a partire da “Viale del Tramonto”, di Billy Wilder con Gloria Swanson del 1951, che è stato fonte di ispirazione di tanti altri.
Kore-eda qui tratta da un lato il mondo del cinema - dove le serie TV sono considerate per attori meno bravi – dall’altra il mondo famigliare, un tema caro al regista, ma per la prima volta trasposto in Europa.
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Il film “Le verità” costituisce una sorta di monumento a Catherine Deneuve, che ne fa un pezzo di bravura. La tematica del narcisismo dell’attore, in questo caso attrice, non è certo un soggetto originale, a partire da “Viale del Tramonto”, di Billy Wilder con Gloria Swanson del 1951, che è stato fonte di ispirazione di tanti altri.
Kore-eda qui tratta da un lato il mondo del cinema - dove le serie TV sono considerate per attori meno bravi – dall’altra il mondo famigliare, un tema caro al regista, ma per la prima volta trasposto in Europa. Una bozza di racconto il regista giapponese lo aveva già scritto molti anni fa, si svolgeva tutto in un camerino, ma solo ora lo ha sviluppato in una sceneggiatura. La trasposizione sarebbe anche riuscita se non fosse per la troppa verbosità, per l’eccessiva lunghezza e per l’happy end.
Ma vediamo la storia. Fabienne (Catherine Deneuve appunto) è un’attrice settantenne, che ha appena pubblicato una sua autobiografia. Vive in una villa immersa nel verde - “sembra un castello ma dietro nasconde una prigione” - a Parigi con l’ultimo dei suoi amanti che ha l’hobby della cucina italiana, il suo fidato assistente e il suo cagnolino.
La figlia Lumir (Juliette Biniche) che vive a New York con il marito Hank, un attore ex etilista, e Charlotte, una bella bambina bionda, torna nella casa di famiglia dopo tanti anni proprio per questo evento.
La biografia narrata nel libro è un insieme di falsità: Fabienne dichiara un marito morto, e narra di una figlia coccolata da piccola, con tante altre invenzioni. Lumir, naturalmente, rimane malissimo, anche perché, essendo lei la scrittrice di casa, avrebbe voluto leggerla prima della pubblicazione.
Fabienne ogni tanto si finge smemorata – divertente è la sua intervista iniziale dove riprende il giornalista - confonde i funerali delle colleghe, ma sembra avere una grande autostima di se stessa.
Non tratta troppo bene le persone che le sono vicine, è dura, decisa, né particolarmente gratificante: non chiede mai scusa quando sbaglia, ma la sua personalità magnetica fa sì che abbia ancora una sua “corte.
Le figure maschili del film sono tratteggiate come figure secondarie, di sfondo: il marito, a parte un’abilità manuale, pare non possedesse altro e si va vivo qualvolta ha bisogno di soldi. Il genero Hank (un pocio sfruttato Ethan Hawke) è un debole che non riesce a sfondare come attore e il cui sogno è avere una parte da protagonista. I suoi unici pregi sono quelli di avere un bel rapporto fisico con la figlia e tanta pazienza con la moglie.
Meno convincente della madre è Juliette Binoche, sia come personaggio, sia come recitazione un po' sopra le righe, tutta smorfiette.
C’è anche un convitato di pietra, anzi una convitata: Sara. Non la si vede mai ma la sua presenza inquietante è continuamente evocata specialmente dalla figlia. Sara è stata un’attrice molto brava, amica e rivale di Fabienne, una persona che è stata presente anche nella vita di Lumir. Fabienne anni prima le rubò una parte (andò a letto con il regista appositamente) con la quale vinse un César e subito dopo Sara morì giovane in un incidente (o fu suicidio?).
Il tema centrale del film comunque è il rapporto tra madre e figlia, sia nella storia di Fabienne e Lumir, sia nel film che Fabienne sta interpretando in cui la madre, affetta da una misteriosa malattia, si rifugia in un’astronave dove non invecchia mentre ogni 7 anni incontra la figlia che invece mostra i segni del tempo, infatti la sua parte è interpretata da attrici diverse. Il fatto inquietante è che l’attrice che l’interoreta sembra una reincarnazione di Sara, il suo talento e la sua voce.
Hirokazu Kore-eda – indimenticabile autore di “Father and Son” del 2013 e di “Un affare di famiglia” del 2018 - con questo film confeziona un omaggio al cinema francese, con molte citazioni come, ad esempio, il vestitino nero usato dalla stessa Catherine Deneuve in “Belle de Jour” di Luis Buñuel del 1967. Lui però sembra non mostrarsi, rimanere fuori scena, non raggiungendo in tal modo i livelli della sua precedente filmografia.
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cardclau
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sabato 12 ottobre 2019
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dio mio! un flop!
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Dopo aver visto il film Shoplifter di Kore’eda Hirokazu, dove si spiega un delizioso canto sulle interrelazioni intrafamiliari ed intergenerazionali, e sui temi profondi della genitorialità, e della povertà che non significa necessariamente miseria (si guardi a proposito l’americano Joker); mi sarei aspettato qualcosa di simile con il film Le Verità [la vérité], sempre del buon Hirokazu. Ma, forse, non si può dare per scontato quello che scontato non è. E quindi voglio sottolineare il mio accordo con il commento verbalizzato da alcuni spettatori: una delusione! Kore’eda Hirokazu affronta due aspetti che sembra non conoscere bene, e nei quali secondo me si smarrisce.
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Dopo aver visto il film Shoplifter di Kore’eda Hirokazu, dove si spiega un delizioso canto sulle interrelazioni intrafamiliari ed intergenerazionali, e sui temi profondi della genitorialità, e della povertà che non significa necessariamente miseria (si guardi a proposito l’americano Joker); mi sarei aspettato qualcosa di simile con il film Le Verità [la vérité], sempre del buon Hirokazu. Ma, forse, non si può dare per scontato quello che scontato non è. E quindi voglio sottolineare il mio accordo con il commento verbalizzato da alcuni spettatori: una delusione! Kore’eda Hirokazu affronta due aspetti che sembra non conoscere bene, e nei quali secondo me si smarrisce. Il primo è dato dall’abbandono della cultura, dei suoi attori, e del modo di recitazione, giapponesi, per catapultarsi in quelli francesi, a lui fondamentalmente ignoti, ovviamente visceralmente, “nella pancia”. Il secondo consiste nell’affrontare il tema dell’abbandono materno, della deprivazione, già di per se poco eccitante perché condito dalle malegrazie, e in questo contesto svolgere il tema della relazione conflittuale madre-figlia. E’ vero che Lev Tolstoj nel frontespizio di Anna Karenina scrive 'Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.’' E prosegue descrivendone una particolarmente coinvolgente. Quella raccontata dal regista giapponese non lo è, invece, per niente. La madre [una ipomimica Catherine Deneuve] è affogata in un narcisismo ad oltranza, che non si allenta mai, con toni stereotipati, perfino macchiettistici. La figlia, in un continuo tira e molla ambiguo [una Juliette Binoche tirata fuori dal frigidaire] appare fondamentalmente aliena alla consapevolezza (figlia-compagna-madre). Le figure maschili, il padre, il compagno della madre, il marito della figlia, sono pallide e decisamente inconsistenti. Il tutto in simbiosi con una storia, recitata, ma dolorosissima, di una madre che per non morire di malattia, abbandona la figlia, ogni volta per sette anni, per vivere nello spazio, dove non si invecchia. Non so dove l’abbia tirata fuori, forse questa sì è una leggenda dalle radici orientali.
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maramaldo
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venerdì 11 ottobre 2019
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"je suis catherine deneuve..."
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... e non avrai altro idolo fuori che me. Siamo al feticismo. Al piccolo Hirokazu deve essere mancato qualcos'altro oltre che le tenerezze e il calore della famiglia. Quella massa di capelli biondi, continuamente in primo piano, a tutto schermo...
Rassegnatevi, la firma di Kore-eda è autentica: staticità, lentezza, interni claustrofobici, minuziosità calligrafica. Gran parte dei comprimari sono giapponesi travestiti da francesi. Cosa non è farina del suo sacco? I dialoghi, "spiced", lepidi e leggiadri, made in France, chiacchiericcio che ti salva dall'aver sempre innanzi la "Belle de Jour" 40/50 anni dopo.
Ciò premesso, rilassatevi, cambiando ogni tanto posizione nella poltrona altrimenti vi si addormenta anche il sedere.
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... e non avrai altro idolo fuori che me. Siamo al feticismo. Al piccolo Hirokazu deve essere mancato qualcos'altro oltre che le tenerezze e il calore della famiglia. Quella massa di capelli biondi, continuamente in primo piano, a tutto schermo...
Rassegnatevi, la firma di Kore-eda è autentica: staticità, lentezza, interni claustrofobici, minuziosità calligrafica. Gran parte dei comprimari sono giapponesi travestiti da francesi. Cosa non è farina del suo sacco? I dialoghi, "spiced", lepidi e leggiadri, made in France, chiacchiericcio che ti salva dall'aver sempre innanzi la "Belle de Jour" 40/50 anni dopo.
Ciò premesso, rilassatevi, cambiando ogni tanto posizione nella poltrona altrimenti vi si addormenta anche il sedere.
P.S. Dopo questa vacanza il turista Kore-eda torni in patria.
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