vittorio
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sabato 23 febbraio 2019
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l’educazione di un mondo al contrario
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Bellissimo film, educativo nella sua realistica e visionaria visione, nell’epoca e nel luogo, gli Stati Uniti d’America dei primi anni’60, in cui è ambientato, di un mondo dove razzismo e indifferenza ancora pregnano il sentimento comune.
Un nero colto, raffinato da’ lezioni di vita, di stile, di comportamento ad un bianco un po’ cafone, dai modi spicci, ma permeato in fondo da buon cuore, dai principi della famiglia Italo-americana di stampo classico, visceralmente, indissolubilmente legata, fusa in un crogiolo di grossolana partecipazione, e di grande slancio affettivo.
Ed il cambiare pensiero, ed agire, l’incivilimento intelligente e gradualmente inesorabile che l’autista bianco Tony Lip assume e’la più bella ricompensa di un musicista, un artista ,solo, che compensa con l’affetto inaspettato la grandezza del suo genio ed il vuoto della sua vita.
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Bellissimo film, educativo nella sua realistica e visionaria visione, nell’epoca e nel luogo, gli Stati Uniti d’America dei primi anni’60, in cui è ambientato, di un mondo dove razzismo e indifferenza ancora pregnano il sentimento comune.
Un nero colto, raffinato da’ lezioni di vita, di stile, di comportamento ad un bianco un po’ cafone, dai modi spicci, ma permeato in fondo da buon cuore, dai principi della famiglia Italo-americana di stampo classico, visceralmente, indissolubilmente legata, fusa in un crogiolo di grossolana partecipazione, e di grande slancio affettivo.
Ed il cambiare pensiero, ed agire, l’incivilimento intelligente e gradualmente inesorabile che l’autista bianco Tony Lip assume e’la più bella ricompensa di un musicista, un artista ,solo, che compensa con l’affetto inaspettato la grandezza del suo genio ed il vuoto della sua vita.
Straordinari Viggo Mortensen e Mahershala Ali in due interpretazioni vere, suggestive, da applausi.
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bedtimedavide
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lunedì 4 marzo 2019
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per tutti noi, mangia-spaghetti
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Green Book è sicuramente il film più attuale di questa stagione cinematografica.
La vera sorpresa della sua attualità però non deriva tanto dal fatto che parliamo di una pellicola ambientata negli anni 60,ma bensì dalla sua capacità di sconfinare dal territorio statunitense fino a noi,in Italia,parlando di tematiche qui ancora vivissime.
Non è il solito film che parla di razzismo,nonostante possa sembrare 'politically correct',questo è un risultato che comunque si raggiunge non con un classico schema hollywoodiano alla The Butler (storia di un povero afroamericano,schiavo,denigrato e isolato dal resto della società 'bianca'),al contrario e a dispetto suo arco temporale,ci racconta del musicista Don Shirley,un uomo di colore,ricco,famoso,elegante,colto e perfettamente integrato nella sua New York,rappresentante di tutto ciò che di più lontano c'è dall'America dell'I Have A Dream.
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Green Book è sicuramente il film più attuale di questa stagione cinematografica.
La vera sorpresa della sua attualità però non deriva tanto dal fatto che parliamo di una pellicola ambientata negli anni 60,ma bensì dalla sua capacità di sconfinare dal territorio statunitense fino a noi,in Italia,parlando di tematiche qui ancora vivissime.
Non è il solito film che parla di razzismo,nonostante possa sembrare 'politically correct',questo è un risultato che comunque si raggiunge non con un classico schema hollywoodiano alla The Butler (storia di un povero afroamericano,schiavo,denigrato e isolato dal resto della società 'bianca'),al contrario e a dispetto suo arco temporale,ci racconta del musicista Don Shirley,un uomo di colore,ricco,famoso,elegante,colto e perfettamente integrato nella sua New York,rappresentante di tutto ciò che di più lontano c'è dall'America dell'I Have A Dream.
A rappresentare invece La Minoranza,ghettizzata,povera,zotica e stereotipata c'è il personaggio di Tony Lip,in teoria il vero protagonista della pellicola,figlio di immigrati italiani,che vive nel Bronx e che si guadagna da vivere con lavoretti poco puliti ed escamotage tipici di chi raschia il fondo della classe sociale.
L'incontro tra Tony e Don è la miccia che fa scoppiare,elaborare e dis-velare le due personalità,a volte come lati opposti di una sola medaglia,altre invece come sovrapposte e schiacciate assieme da un'unica parte.
Sceneggiato come un road movie,il viaggio che i due intraprendono è una parabola alla scoperta della loro stessa identità,quella di Don molto più vicina di quanto credesse al colore della sua pelle,alla cultura musicale blues e a quelle che erano le lotte di tutti noi, anche di quelli vestiti con abiti firmati e con autisti al seguito.
Tony allo stesso tempo,dall'assurda posizione di immigrato convinto però di una certa superiorità della gente bianca,e quindi paradossalmente omologato alla stessa popolazione che lo considera un diverso,scoprirà in fondo che non sono molte le differenze tra lui e Don,attenuandone quindi la distanza,ma al contempo che la diversità può essere utilizzata come valorizzazione della propria individualità,e che dall'incontro di etnie,classi sociali e culture diverse si può imparare molto (anche a scrivere parole d'amore).
Superbo Mahersala Ali,in pratica il vero protagonista del film,che grazie a Don Shirley riesce ad aggiudicarsi il suo secondo Oscar,inserendosi immediatamente nell'Olimpo degli attori più talentuosi del momento.
Meritatissima la vittoria come Best Movie agli Academy per un semplicissimo motivo:Green Book si pone a metà strada tra quelle che in questa stagione sono state le pellicole del popolo (A Star Is Born) e gli esperimenti autoriali più audaci (Roma) coniando un film confezionato da comedy,che scorre velocemente e strappa non poche risate,ma che al contempo sa affrontare il prepotente tema della diversità in una maniera innovativa, quasi antigravitazionale,stimolando pensieri più che profondi nello spettatore.
Concludo ricollegandomi con quanto affermato inizialmente:Green Book è un film che funziona tantissimo anche da noi in Italia in questo periodo storico.
Questa storia ci ricorda che anche noi siamo stati diversi,stereotipati e ghettizzati.
Anche noi siamo stati immigrati,e questo nemmeno troppo tempo fa,in un paese però che in un certo qual modo ci ha dato comunque una possibilità, quella di vivere il sogno americano.
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gaiart
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domenica 28 ottobre 2018
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genius is not enough. it takes courage to change the people’s soul.
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Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici.
E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli spostamenti dei neri negli anni '60 in America, una lista di alberghi, motel, ristoranti e luoghi dove era loro consentito sostare, mangiare, in sostanza vivere, senza essere menati, insultati, cacciati, come invece succedeva spesso altrove.
Il film è sorprendente ed è fatto proprio con amore. Solleva tematiche politiche e sociali, quali la potenza della cultura, la solitudine dei geni, la solidarietà tra anime ed esseri umani anche con formazioni, background, colori e culture diverse, l'integrazione sociale e la dismississione di un inutie e sterile razzismo.
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Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici.
E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli spostamenti dei neri negli anni '60 in America, una lista di alberghi, motel, ristoranti e luoghi dove era loro consentito sostare, mangiare, in sostanza vivere, senza essere menati, insultati, cacciati, come invece succedeva spesso altrove.
Il film è sorprendente ed è fatto proprio con amore. Solleva tematiche politiche e sociali, quali la potenza della cultura, la solitudine dei geni, la solidarietà tra anime ed esseri umani anche con formazioni, background, colori e culture diverse, l'integrazione sociale e la dismississione di un inutie e sterile razzismo. Questa la parte seria profonda e utile del film.
Poi c'è tutta una parte divertentissima fatta da dialoghi ironici, colti, divertenti e sani in cui lo stereotipo del "little italy" newyorkese trova ancora più conforto e accoglienza in una proiezione romana, dove le leggere e perfette inflessioni in calabrese stretto di Viggo Mortensen, visibilmente appesantito per entrare meglio nel ruolo di "public relationer ", cioè buttafuori nei night, rendono la "famiggglia" italiana un Must della New York anni 50 e 60.
In realtà la storia è tratta da questo personaggio meraviglioso della New York anni 60, TonyLip Villalonga e la sua vita. Questo uomo che magna quintali di cibo con una voracità unica, spingendosi per vincere una scommessa a 26 hotdogs e, a suo discapito, dice: "mio padre mi ha insegnato quando fai una cosa falla con amore, se mangi mangia fino in fondo", sa conquistare tutti.
Infatti entrò a contatto con grandi nomi e star, rimanendo sempre se stesso, un uomo di umanità e forza bruta, dolcezza e carisma, atteggiamenti medioevali e bruschi, ma con un grande cuore e intelligenza.
Il film, presenatto già a Toronto, è forse il più bello passato finora alla festa del cinema e auguro che vinca il plauso del pubblico, cosa che di sicuro non succederà.
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cinefoglio
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venerdì 1 febbraio 2019
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istantanea di green book
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La pellicola tratta il racconto di due uomini, tanto opposti nei modi e nel retaggio quanto legati da una forte attrazione magnetica, tra le strade del profondo sud, in un’amicizia che ben presto si evolverà in famiglia.
Peter Farrelly ci trascina in un road-movie piacevolissimo da seguire (il cui titolo rimanda alla famosa guida nel country side con le tappe esclusive per i colored) in una attenta ricostruzione degli anni 60, dalla nevosa New York, all’agricola ed intransigente Birmingham dell’Alabama.
Proprio sulle cornici delle differenze, della segregazione, della discriminazione e delle minoranze, si articola la vicenda dei due protagonisti.
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La pellicola tratta il racconto di due uomini, tanto opposti nei modi e nel retaggio quanto legati da una forte attrazione magnetica, tra le strade del profondo sud, in un’amicizia che ben presto si evolverà in famiglia.
Peter Farrelly ci trascina in un road-movie piacevolissimo da seguire (il cui titolo rimanda alla famosa guida nel country side con le tappe esclusive per i colored) in una attenta ricostruzione degli anni 60, dalla nevosa New York, all’agricola ed intransigente Birmingham dell’Alabama.
Proprio sulle cornici delle differenze, della segregazione, della discriminazione e delle minoranze, si articola la vicenda dei due protagonisti.
Il tema trasversale dell’emarginazione, che sia nera o italiana, per classe o ceto, e degli stereotipi è presente, ma senza la pretesa di sconfinare in collante unico della pellicola, o di estrema rivendicazione sociale rimanendo lì, dichiaratamente in background.
A questo punto, un incontro dettato dal fato, o forse dalla fama (che sempre precede gli eroi-protagonisti), mette faccia a faccia Tony Lip, nato Villanova, di Viggo Mortensen, abile bugiardo e raggiratore, ma in grado di calzare perfettamente il ruolo dell’uomo devoto alla famiglia con il misterioso dottore Shirley, noto pianista, di Mahershala Ali, artista unico e contraddittorio poiché posizionato in una zona di confine per l’interpretazione.
Nel contratto di lavoro tra Tony e Shirley comincia il viaggio a tappe forzate, ricordando un Quasi Amici (2011) ma in stile on the road, carico di empatia, conoscenza e supporto tra i due, che gradualmente si trasformerà in una profonda amicizia, tutta descritta, a più richiami, in quei particolari comuni o apparentemente insignificanti di fast food, gemme, leggende metropolitane, drink, celle, lettere e discorsi sulla vita.
Momenti più intensi, invece, hanno la portata di rendere la storia vera, concludente e verosimile, nei quali tutta la bravura (e qui ce n’è tanta) dei due attori può esprimersi senza freni (anche se proprio nell’irrigidimento morale si trova il sublime delle performance), la quale marca uno sviluppo di crescita (sicuramente non banale o convenzionale), che a volte si adagia su dei cliché, altre volte regala svolte inaspettate.
La musica, che per esigenze di personaggio (e di pit stop), risulta essere uno degli elementi principali, rimane giusta e ponderata, con la costante dicotomia del registro classico proprio degli Steinway & Sons, e dell’autoradio dell’ultima vettura sul mercato, a suggerire la moda del tempo.
Una pellicola divertente, comica nell’ironia e satira nei gesti, che sa intrattenere, coinvolgere e strappare risate genuine, con due interpretazioni convincenti che danno forma ad una storia vera, umana e profonda.
31/01/2019
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francescameneghetti
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venerdì 1 febbraio 2019
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un viaggio, un'avventura, un'amicizia asimmetrica
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Non capita spesso di reggere un film di 2 ore e 20 senza uno sbadiglio, una sbirciata allo smart phone, sorretti da attenzione vivace verso l’ambiente americano degli anni ’60 rappresentato e da un amalgama di emozioni ben bilanciato, che non esclude fasi drammatiche, ma le risolve all’insegna della leggerezza (la virtù predicata da Calvino nelle Lezioni americane), lasciando lo spettatore, alla fine, sereno e appagato. I film americani hanno il lieto fine obbligatorio, si sa, e questo può essre un limite, se consolatorio e di pura evasione dalla realtà.
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Non capita spesso di reggere un film di 2 ore e 20 senza uno sbadiglio, una sbirciata allo smart phone, sorretti da attenzione vivace verso l’ambiente americano degli anni ’60 rappresentato e da un amalgama di emozioni ben bilanciato, che non esclude fasi drammatiche, ma le risolve all’insegna della leggerezza (la virtù predicata da Calvino nelle Lezioni americane), lasciando lo spettatore, alla fine, sereno e appagato. I film americani hanno il lieto fine obbligatorio, si sa, e questo può essre un limite, se consolatorio e di pura evasione dalla realtà. Ma questo risulta meno falso delle convenzioni, dato che si ispira a una storia vera.
Una storia di viaggio avventuroso (tema tipicamente americano, anche se non adotta il solito itinerario coast to coast, ma la direttrice nord-sud) e di amicizia, ugualmente “classica” nel senso che intercorre tra due personaggi asimmetrici e complementari, come Don Chisciotte e Sancio Panza (o Stanlio e Olio).
Il primo è alto, slanciato, elegante, colto, raffinato, legato alle regole della buona educazione e dei saldi principi. Il secondo è grosso, volgare, materialista, istintivo, eccessivo, ma di buon cuore, alla fine. Con una variante “razziale”, rilevante per il contesto storico: il primo, Don Shirley, è un pianista che predilige la musica “bianca”, il secondo, Tony Lip Vallelonga, è un bianco di origini siciliane che, all’inizio, disprezza i “negri” (butta nella pattumiera i due bicchieri con cui hanno bevuto due uomini di colore entrati in casa sua per dei lavori), poi si ravvede. Il primo è interpretato Mahershala Ali, già vincitore del Golden Globes 2019 come miglior attore non protagonista, candidato all’Oscar al pari del suo partner di scena. Il secondo da Viggo Mortesen, qui molto ingrassato per entrare nei panni del personaggio dall’appetito pantagruelico.
Il loro incontro è occasionale: Don Shirley deve fare una tournée al sud, e ha bisogno di un autista tuttofare (e protettore); Tony Lip è rimasto senza lavoro. Il viaggio inizia con momenti di freddezza , di tensione, di incomprensione, attraverso boschi magnifici colti nel foliage autunnale dai colori caldi. Ma un viaggio è anche un’esperienza di formazione, a beneficio di entrambi: non solo di Tony Lip che imparerà le buone maniere, il bello stile nelle lettere alla moglie, un certo autocontrollo, ma anche di Don Shirley che, molto ingessato all’inizio, si lascerà poi andare, a momenti: sia quando accetta di assaggiare con le mani il pollo fritto (che riteneva disgustoso), sia quando fa emergere la sua fragilità, legata alla sua condizione di naufrago senza patria: né bianco (perché la sua cultura sarebbe occidentale, ma i bianchi del sud rifiutano chi ha la pelle nera e gli impediscono di andare in bagno o al ristorante anche se ospite d’onore di una tournée), né nero (perché lui non ama la musica “nera” in quanto ghettizzata, e, d’altra parte, i neri poveri vedono in lui un traditore).
Il film colpisce molto uno spettatore italiano che abbia seguito il dibattito sulle élites, perché qui gli stereotipi sono capovolti. Da vedere e gustare, assolutamente, se non altro per la spendida interpretazione di entrambi!
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flaw54
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domenica 3 febbraio 2019
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climax ascendente
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Un film che cresce, si sviluppa progressivamente e ti prende fino ad appassionati nella seconda parte,. Dopo un inizio un po' lento , ripetitivo e scontato la storia appassiona grazie all' inaspettata prova recitativa di un Viggo Mortensen quasi irriconoscibile. Lo scontro è l'incontro tra la sua focosa, ma appassionata personalità e l'algida compostezza del musicista trovano una fusione quasi inaspettata. La questione del razzismo vista in modo diverso, sottile e quasi gandhiana. Un buon film.
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maurizio.meres
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lunedì 4 febbraio 2019
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un film tutto americano
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In questo bellissimo film si ritorna in un passato non molto lontano con un America fortemente legata ai pregiudizi razzisti,retrograda soprattutto in un sud travolto da una incapacità di concepire il vero senso della vita,con un ignoranza radicata è difficile da giustificare direi un ossessione esistenziale verso le persone di colore,ed in questo film viene fortemente rimarcata.
La storia realmente accaduta è un viaggio di due persone la prima è un talentoso pianista di colore accompagnato dal suo autista un Italoamericano senza lavoro ma con grandi capacità di muoversi in situazioni più o meno complicate,lui bianco scapestrato ma con un grande amore per la sua famiglia,il pianista una persona sola,ricca ma fortemente triste.
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In questo bellissimo film si ritorna in un passato non molto lontano con un America fortemente legata ai pregiudizi razzisti,retrograda soprattutto in un sud travolto da una incapacità di concepire il vero senso della vita,con un ignoranza radicata è difficile da giustificare direi un ossessione esistenziale verso le persone di colore,ed in questo film viene fortemente rimarcata.
La storia realmente accaduta è un viaggio di due persone la prima è un talentoso pianista di colore accompagnato dal suo autista un Italoamericano senza lavoro ma con grandi capacità di muoversi in situazioni più o meno complicate,lui bianco scapestrato ma con un grande amore per la sua famiglia,il pianista una persona sola,ricca ma fortemente triste.
La sceneggiatura si basa sulle classiche situazioni Americane con usi e costumi tipici e con diverse situazioni comiche,ambientazione che rispecchia il momento,una fotografia pastello nei colori anni sessanta è una varietà di automobili d'epoca eccezionali,la musica rock and de roll con pezzi classici notevoli.
Gli attori sono di una bravura unica con un Viggo Mortensen che sfoggia una maturazione artistica nell'interpretazione dell'autista unica con uno spirito di adattamento sia nel diventare nel comportamento un Italoamericano e nel cambiamento estetico ingrassando di venti chili,meritevole della candidatura all'oscar,così come
Mahershala Ali,autoritario e fragile diventa perfetto per il ruolo.
Il film tecnicamente è perfetto il regista Peter Farrelly cura moltissimo i particolari senza tralasciare nulla,ritengo che sia il suo primo film di un certo spessore.
Da vedere assolutamente imperdibile.
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vanessa zarastro
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mercoledì 6 febbraio 2019
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the roaring sixties
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Se non sapessi che “Green Book” è tratto da una storia vera, lo considererei un feel-good-movie. Sembra, però, che la famiglia Shirley abbia sostenuto che la storia dell’amicizia tra Tony (Viggo Mortensen) e Doc (Mahershala Ali) sia tutta un’invenzione, definendola addirittura “una sinfonia di menzogne”.
Doc Shirley dunque, è realmente vissuto ed è stato un bravissimo pianista talentuoso che aveva studiato al conservatorio di Leningrado (oggi San Pietroburgo) e che, pur avendo un repertorio di musica classica - esattamente come Nina Simone -, ha dovuto ripiegare su un genere più popolare perché negli Stati Uniti dell’Epoca non c'era spazio per concertisti neri.
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Se non sapessi che “Green Book” è tratto da una storia vera, lo considererei un feel-good-movie. Sembra, però, che la famiglia Shirley abbia sostenuto che la storia dell’amicizia tra Tony (Viggo Mortensen) e Doc (Mahershala Ali) sia tutta un’invenzione, definendola addirittura “una sinfonia di menzogne”.
Doc Shirley dunque, è realmente vissuto ed è stato un bravissimo pianista talentuoso che aveva studiato al conservatorio di Leningrado (oggi San Pietroburgo) e che, pur avendo un repertorio di musica classica - esattamente come Nina Simone -, ha dovuto ripiegare su un genere più popolare perché negli Stati Uniti dell’Epoca non c'era spazio per concertisti neri.
Ma vediamo qual è la storia. Siamo a Manhattan nel 1962. Tony Vallelonga detto “Tony Lip” è un buttafuori del locale newyorkese Copacabana, ma avendo perso il posto dopo dodici anni, cerca lavoro. Gli viene offerto un posto di autista per un famoso pianista nero. Tony è un ragazzo semplice, un uomo un po’ rozzo che viene dal quartiere italo-americano del Bronx, è pieno di pregiudizi per sentito dire, compresa un’avversione nei confronti dei neri. Ma la carenza di prospettive alternative e il salario allettante ($125 alla settimana) farà sì che Tony diventi l’improbabile chauffeur di Doc (e anche la sua guardia del corpo) nella tournée del Don Shirley trio: unpianoforte (solo Steinway però…) accompagnato da un violoncello e un contrabbasso, suonati da musicisti russi.
Tony accetterà, quindi, l’offerta e partirà per due mesi intournée. Passeranno dalla Pennsylvania attraversando l’Ohio, l’Indiana e il Kentucky giù per il Tennesse fino al profondo Sud nel Mississippi e Alabama. Sarà un continuo e divertente scambio di battute tra i due; il tanto rozzo e ignorante il bianco, quanto intellettuale e apparentemente snob, il nero, finiranno per incontrarsi a metà strada. Doc insegnerà ad avere un po’ grazia a Tony e lo aiuterà anche a scrivere le lettere alla moglie, mentre Tony favorirà l’impalato Doc a sciogliersi un po’ e ad amare le piccole cose, come ad esempio mangiare un autentico Kentucky Fried Chicken con le mani buttando le ossa rosicchiate fuori dal finestrino dell’automobile. (Cadillac…)
E cos’è il Green Book? Il Negro Motorist Green Book è una guida turistica degli anni ’60 con le informazioni di tutti gli alberghi (i ristoranti, stazioni di servizio ecc.) dove possono soggiornare i neri senza rischiare rappresaglie da parte dei bianchi.
Nonostante il film sia così appagante e nonostante molte scene siano piuttosto prevedibili – gli americani lo chiamano un crowd pleaser - il film è godibilissimo. Ha un bel ritmo, alterna scene tristi con scene con allegre e presenta ottime ricostruzioni d’epoca. La recitazione dei due protagonisti è veramente strepitosa: Mahershala Ali ha preso lezioni di pianoforte per meglio interpretare Doc, mentre Viggo Mortensen, per prepararsi in modo minuzioso a interpretare la parte di Tony, è ingrassato di 15 chili e ha trascorso diversi giorni con la famiglia Vallelonga finendo per immedesimarsi nel loro modo italo-americano di gesticolare e di parlare. Consiglio tutti pertanto di vedere il film in versione originale per apprezzarne la recitazione. Ma soprattutto il film ha una splendida colonna musicale che alterna i brani classico-popolari suonati da Donald Walbridge Shirley, con quelli che accompagnano tutto il viaggio cross country dei due protagonisti: The Blackwells, Roosevelt Nettles, Steve Gray, Aretha Franklin e così via.
Molti cineasti probabilmente parlano di quegli anni per non affrontare quelli di oggi che presentano un’incredibile involuzione. “Green Book”, infatti, fa parte di quella serie di film - come “Il diritto di contare” (forse non a caso Olivia Spenser è tra i produttori) di Theodore Melfi del 2016, “The Help” di Tate Taylor del 2011, o anche “I Lovings” di Jeff Nichols del 2016 - che ripercorrono gli anni ’60 statunitensi mostrandone il razzismo, incomprensibile e irrazionale. È inspiegabile che un pianista nero intrattenga 400 persone con la musica vada bene, ma non che mangi nello stesso ristorante degli spettatori, oppure che possa stringere le mani delle persone più importanti dopo aver suonato, ma non possa usare la loro stessa toilette e sia costretto ad andare in un cessetto fuori vicino a un pino. La tournée si interromperà in Alabama proprio a Birmingham, dove Nat King Cole pochi anni prima fu aggredito e picchiato sul palco. E sarà proprio lì che la solitudine di Doc ben intuita da Tony troverà uno sfogo in un monologo toccante: «Sì, io vivo in un castello e sono colto, e i ricchi bianchi pagano per sentirmi suonare e sentirsi colti. Ma appena scendo dal palco torno a essere soltanto un altro negro, perché è questa la loro vera cultura. E soffro da solo perché la gente non mi accetta, perché non sono come loro, perché sono più in alto di loro. E soffro da solo perchè la mia gente non mi accoglie perché non sono nemmeno come loro. E quindi cosa sono io? Sono bianco o sono nero? Sono un uomo o che cosa?» così esclama Shirley fra le lacrime e sotto una fitta pioggia.
Vari sono i film in cui duettano due rivali che diventano amici alla fine, basti citare “A spasso con Daisy” di Bruce Beresford di trent’anni fa, con Jessica Tendy e Morgan Freeman - e “Quasi amici” di Oliver Nakache del 2011, con François Cluzet e Omar Sky – tanto per citarne due e “Green Book” si inserisce, quindi, a pieno titolo in questo genere. Peter Farrelly si era già inventato un filone di commedia demenziale - insieme al fratello Bobby - come ad esempio “Scemo & più scemo” del 1994, “Tutti pazzi per Mary” del 1998 o anche “Amore a prima svista” del 2001,mostra in questa ultima regia di cimentarsi piuttosto bene in una commedia drammatica.
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zarar
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domenica 10 febbraio 2019
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un'occasione mancata
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Diretto da Peter Farrelly e sceneggiato da Nick Vallelonga e Brian Hayes Currie, il film racconta il razzismo perdurante negli stati del Sud nell’America dei primi anni ’60 attraverso personaggi effettivamente esistiti.
Si tratta del pianista classico e jazz afroamericano Don Shirley e di Tony Vallelonga, buttafuori italo-americano di un locale di New York reclutato da Shirley come autista e bodyguard in occasione di un suo tour in vari stati del Sud. Si presumeva che Tony fosse in grado di assicurare un tranquillo svolgimento del viaggio proteggendo eventualmente Shirley da difficoltà, ostilità o aggressioni in un contesto ancora apertamente razzista.
Nel film come nella realtà i due sono agli antipodi per stile, cultura, visione del mondo, ma l’aspetto intrigante è che – contrariamente alle aspettative – è l’afroamericano il liberal raffinato ed elegante, mentre il bianco è un lower class incolto e rozzo, oltre che razzista lui stesso.
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Diretto da Peter Farrelly e sceneggiato da Nick Vallelonga e Brian Hayes Currie, il film racconta il razzismo perdurante negli stati del Sud nell’America dei primi anni ’60 attraverso personaggi effettivamente esistiti.
Si tratta del pianista classico e jazz afroamericano Don Shirley e di Tony Vallelonga, buttafuori italo-americano di un locale di New York reclutato da Shirley come autista e bodyguard in occasione di un suo tour in vari stati del Sud. Si presumeva che Tony fosse in grado di assicurare un tranquillo svolgimento del viaggio proteggendo eventualmente Shirley da difficoltà, ostilità o aggressioni in un contesto ancora apertamente razzista.
Nel film come nella realtà i due sono agli antipodi per stile, cultura, visione del mondo, ma l’aspetto intrigante è che – contrariamente alle aspettative – è l’afroamericano il liberal raffinato ed elegante, mentre il bianco è un lower class incolto e rozzo, oltre che razzista lui stesso. Lo spunto promette bene, ma il film – che Shirley autorizzò, purché si girasse solo dopo la sua morte – delude. Detto in poche parole, un contenuto forte e interessante viene cellofanato in un involucro da commediola brillante anni ’60, perdendo incisività e vis drammatica. I due personaggi principali sono più pittoreschi che realistici, troppo inamidato Shirley, ipercaratterizzato italoamericano del Bronx Vallelonga. L’ipotizzato sviluppo della loro amicizia lungo il viaggio (peraltro smentita nella realtà dal fratello di Shirley) procede per passi improbabili da uno stereotipo all’altro. Shirley con un’aria da saggio confuciano distribuisce amara ironia, perle di saggezza e consigli di stile, Vallelonga si lecca le dita del pollo del Kentucky, pronto a sfoderare i pugni o la pistola da una parte, un cuore tenero dall’altra. Il gioco netto dei richiami (Nord gelido ma buono/Sud caldo e cattivo) produce cartoline ad effetto come quelle dei poliziotti buoni/poliziotti cattivi, e una serie di episodi fortemente tipizzati, nello stile aneddoto dopo aneddoto, sottolinea gli aspetti più brutali ed umilianti di un razzismo diffuso, il disagio di un uomo che si sente emarginato sia dai bianchi, sia dai neri. Ma il tono è troppo dichiarativo e didascalico, il dramma viene stemperato con il comico piuttosto che con ironia o finezza di sfumature, è raro qualche affondo più in profondità (la bella scena dell’esibizione di Shirley nel locale per neri, quando l’espatriato da due mondi ritrova una sintonia con i suoi). Una confezione accurata molto americana rende comunque il film accettabile.
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carolinasisto30
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domenica 17 febbraio 2019
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film intelligente, attori perfetti!
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Due realtà completamente differenti a confronto, un rapporto non destinato a diventare una vera amicizia e un viaggio attraverso le personalità di due meravigliosi attori. GREEN BOOK, un bellissimo film che attraverso l’ironia da la possibilità allo spettatore di riflettere su alcune realtà vissute e sull’importanza del rapporto umano.
Gran bella sceneggiatura, bella musica, e bella interpretazione.
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