Green Book

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Una sodale amicizia tra le strade d’America Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


Feedback: 33648 | altri commenti e recensioni di Eugenio
lunedì 21 gennaio 2019

Non sbaglia un colpo l’ultimo film di Peter Farrelly. Commedia, dramma, attenzione alle tematiche discriminatorie, amicizia e un profondo senso di umiltà contraddistinguono Green book, tratto da una storia vera, grazie anche alla verve di una coppia consolidata dalla riuscita interpretazione.
La locandina ci mostra sin da subito due interpreti assai famosi: Viggo Mortensen (nel film Tony Vallelonga), pesantemente ingrassato alla guida di una luccicante e sfavillante Cadillac con sguardo sprezzante alla James Dean  e Mahershala Ali (Doc Shirley), impettito e imperturbabile come silente passeggero dietro, l’attore di Moonlight per intenderci.
Nulla di strano. E allora che significa il titolo?
E’ necessario il contesto: l’italo americano Tony Vallelonga (detto Tony the lip ovvero Tony Labbro per via della sua innata capacità di dire “stupidaggini” per usare un eufemismo) lavora come buttafuori in un celebre night-club, il Capocabana che per lavori di ristrutturazione dovrà chiudere per due mesi. Dovendo sfamare la sua numerosa famiglia, accetta grazie al suo giro di conoscenze, l’incarico di autista di un pianista di grande talento (Doc Shirley), dai gusti elitari (la scena del trono nel ricco appartamento di New York è da antologia) durante la sua lunga tournee negli Stati Uniti.
L’iniziale empasse tra i due, profondamente e caratterialmente diversi, uno colto e educato oltre che raffinato (Doc), l’altro ignorante, dai modi spicci e rudi, oltre che impulsivi, si tramuterà, nel viaggio che diviene esperienza di profonda maturazione e cambiamento, una sodale quanto duratura amicizia.
Detta così la trama sembra facile facile, oltre ogni intento didascalico. In realtà Green book va oltre.
Le strade, le lunghe highways americane dove si svolge gran parte del film, sono quelle dell’inizio degli anni ’60, di quel mondo intollerante e ancora pesantemente razzista. E il Green book è la guida, assai indecente oggi, che per trent'anni segnalava alle persone di colore alberghi e ristoranti dove erano accettati, estrema forma di discriminazione autorizzata, spacciata per pubblicazione di cortesia, una lista di posti (qualcuno decente, molti sotto il livello della decenza) dove le persone considerate di levatura “nel mondo negro”, potevano trovarsi e ambientarsi.
E suona strano appunto in questo contesto vedere un bianco arrabbiato e annoiato davanti e un nero dietro nel macrocosmo di un’auto che è specchio dell’America d’allora, di occhi stupiti di automobilisti che si domandavano cosa ci facesse un nero elegante seduto e composto trasportato dietro come un pascià, che non nascondeva un tenore alto borghese ma che finiva per dormire nei “ripostigli” per converso, degli alberghi migliori dedicati al rozzo autista. Un mondo diametralmente spezzato dall’incomprensione, che distrugge ogni intento di integrazione e di cui il film indugia quasi per caso, in scene di spietata incomprensione: come al ristorante in cui viene negata al protagonista della serata la possibilità di mangiare con “i bianchi”, fino alle stesse con il popolo nero, quello di cui Doc condivide la pelle ma da cui è amaramente escluso.
 
Sì, perché malgrado le apparenze, il ricco è Tony. Spaccone ma dall’animo buono, prenderà posizioni contro le ingiustizie, salvando più di una volta il solitario Don, più dalla solitudine affettiva (ho un fratello, se vuole cercarmi, sa dove mi trovo) che cerca di annegare nelle frustrazioni dell’alcool, finendo da questo profondamente cambiato, persino nella poesia, nelle lettere scritte alla lontana amata moglie.
Così, per oltre due ore, viaggiamo insieme a Tony e Don per tutta l’America. Condividiamo con loro i gusti, la passione di Tony per le cosce di pollo del Kentucky Fried Chicken e la musica black, non condivisa assolutamente da Don, i dialoghi a fiume, quasi monologhi di Tony e il silenzio di Don, sullo sfondo di violenze di razza, espletate in fenomeni di inquietante costume.
Si vince facile in Green Book. Una commedia godibilissima che non nasconde momenti di tragedia sociale, che suscita polemiche oggi in un periodo di riscatto dei diritti umani durante il trumpismo. E, cosa rara, la retorica del “nero” che soccombe al “bianco”, o meglio del “nero” discriminato dal “bianco”, non è pesantemente esacerbata ma tratteggiata in tratti ironici mai privi della giusta intensità.
Si sor(ride), ci si indigna, ci si lamenta e perché no, qualche lacrimuccia alla fine scende. Per poi tramutarsi in sorriso.
Profumo di Oscar, capace di conquistare anche gli spiriti più arcigni.
Nelle sale dal 31 gennaio.

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