
Anno | 2017 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Francia, Belgio |
Durata | 98 minuti |
Regia di | Marine Francen |
Attori | Pauline Burlet, Géraldine Pailhas, Alban Lenoir, Iliana Zabeth, Françoise Lebrun Raphaëlle Agogué, Barbara Probst, Anamaria Vartolomei, Margot Abascal, Mama Prassinos, Théo Costa-Marini, Guillaume Costanza. |
Uscita | giovedì 5 giugno 2025 |
Distribuzione | Kitchen Film |
MYmonetro | 2,50 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 3 giugno 2025
Un villaggio senza uomini, un patto tra donne, un solo istinto: continuare a vivere. In Italia al Box Office The Sower ha incassato 2,3 mila euro .
CONSIGLIATO NÌ
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All'indomani del colpo di stato di Luigi Napoleone Bonaparte del dicembre 1851, che aveva messo fine alla Seconda Repubblica francese avviando l'inizio del Secondo Impero, tutti coloro che continuavano a sostenere i valori repubblicani venivano perseguitati, imprigionati o giustiziati. È quanto accade in un piccolo villaggio agricolo delle Alpi dell'Alta Provenza allorché tutti gli uomini vengono arrestati lasciando solo donne e bambini. Dopo due anni in totale assenza di uomini, le più giovani stipulano un patto: il primo uomo che apparirà all'orizzonte e sosterà nel villaggio sarà da loro "condiviso" al fine di creare nuova vita nella comunità. Ciò prende corpo con l'arrivo di Jean, alla cui accoglienza è incaricata la 17enne Violette.
Se otto sono gli anni che separano la realizzazione di Le semeur (letteralmente "il seminatore") dalla sua distribuzione italiana, molti di più sono stati quelli che ha dovuto attendere il manoscritto autobiografico di Violette Ailhaud, a cui il lungometraggio di Marine Francen si ispira, per essere pubblicato.
Scritto infatti nel 1919, fu ritrovato nel 1925, alla morte della donna, in una busta chiusa con il suo testamento. Sulla busta però una scritta dettava di non aprirla prima del 1957, con il monito che il contenuto dovesse essere affidato alla maggiore tra i discendenti, di sesso femminile e di età compresa tra i 15 e i 30 anni. Insomma una sorprendente trama-nella-trama, dotata di non poco mistero, accompagna la genesi de "L'homme semence", tradotto poi in italiano con "L'uomo seme" (Feltrinelli, 2014), diventato negli anni romanzo-memoriale cult con adattamenti anche teatrali, fra cui quello di Sonia Bergamasco del 2018.
Esiste, dunque, tra libro e film un parallelismo di gestazione, tema pregnante per il racconto, abitato ontologicamente dalla necessità di attesa resiliente al femminile: quella degli uomini assenti, quella della nascita di un figlio. Nel mezzo si situa la comparsa di un uomo, un estraneo venuto dal nulla, che risveglia il desiderio di passioni dimenticate o mai sperimentate, ma anche la naturale esigenza di "sopravvivenza della specie", andando a ri-generare una comunità altrimenti destinata ad estinguersi. A questo obbedisce di fatto il patto che Violette e le altre stipulano, un accordo che sembra frutto più del "branco" maschile che non della psiche femminile, ma che le donne ligiamente rispettano perché la loro "comune" repubblicana e auto-sostenibile è costruita sulla condivisione di tutto, sulla democrazia del decidere, con la più anziana a decretare l'ultima parola.
Raccontando uno spazio circoscritto che attraversa un tempo lungo, Francen imbastisce in sceneggiatura e nella successiva regia una narrazione dal rigore minimalista, cadenzata sui riflessi tra il paesaggio ambientale e il paesaggio emotivo delle donne che lo abitano, sussurrata nei toni, nei gesti rituali, nella pacatezza pittorica della messa in scena, specie sul campo di grano. Ed è soprattutto la personalità silente ma determinata della protagonista Violette (l'attrice belga Pauline Burlet) a dettare il "carattere" sfumato ed essenziale di questo piccolo film sentimentale, politico e sociale al femminile.