Anno | 2016 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia |
Durata | 85 minuti |
Regia di | Maurizio Zaccaro |
Uscita | venerdì 13 gennaio 2017 |
Distribuzione | Moovioole |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,96 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 7 febbraio 2019
Un documentario sull'importanza della ricerca della felicità umana a discapito del consumismo e dalla smania di possesso.
CONSIGLIATO SÌ
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Vasto come l’oceano e mutevole come il cielo stellato, il concetto di “felicità umana” è diventato l’oggetto di indagine di Maurizio Zaccaro nel corso di una vita, da quando, da studente pendolare milanese, ricorda di aver divorato “il superpocket da 350 lire de La conquista della felicità di Bertrand Russell”. Per raccontare la quest verso la comprensione attuale di uno stato emozionale così indefinibile, il cineasta si è avvalso delle suggestioni e delle opinioni più disparate provenienti dall’attraversamento geografico, politico e culturale del pianeta: questo a implicita dimostrazione che il desiderio di felicità è forse uno dei rari aspetti che accomuna e ha accomunato chiunque nella corso della Storia.
Una barca a vela spezzata s’impone sulla locandina de La felicità umana, altrimenti tradotto in sottotitolo come Le Bonheur Humain – Human Happiness. Non è spiegato il motivo della scelta di un’immagine così apparentemente lontana dall’idea di “felicità” come da contemporaneo immaginario collettivo, eppure essa naviga in un senso di pertinenza giacché intimamente connessa con quanto lo stesso Zaccaro ha scelto quale logline del suo film. Si tratta di un intrinseco legame fra l’idea stessa di desiderio e quella di felicità che Seneca mirabilmente teorizzò sentenziando “Povero non è colui che possiede molto, ma colui che desidera di più”. Oggi la frase senechiana appare di un’attualità feroce e stringente, di portata rivoluzionaria quanto la necessità che lo stile di vita consumistico predominante capovolga i propri connotati affinché non solo si possa “immaginare la felicità”, ma addirittura la sopravvivenza del genere umano.
Il documentario di Zaccaro si appropria strutturalmente di questo paradigma e in virtù di esso inanella una serie di opinionisti interrogati sul tema, includendo esimi filosofi, economisti, attivisti, registi, attori, scrittori, sperimentatori, politici, suore e – sul finire – una semplice vecchietta. L’indagine trasporta il regista inizialmente nella Francia di due teorici “illuminati” come Serge Latouche e André Comte-Sponville, ai quali è affidata la spiegazione dell’imprescindibile connotazione tra economia e la percezione attuale di felicità umana, ormai non solo sradicata dall’astrattismo sacrale del Medio Evo ma anche mutata da collettiva a individuale. In altre parole, l’essere umano contemporaneo ha l’impressione di essere felice se vive nel benessere materiale e nella sicurezza dal pericolo: tutto il resto porta inesorabilmente all’infelicità. Tale lapalissiana premessa, ben strutturata nel pensiero dei due filosofi, apre il campo alle riflessioni successive su cui – in definitiva – poggia il capovolgimento di cui sopra già profetizzato da Seneca. Sono infatti le voci raccolte in vari Stati del mondo da Zaccaro a (di)mostrare quanto in realtà quell’idea di felicità non sia appunto altro che un’impressione e che, peggio ancora, può portare solo all’annientamento dell’umanità perché si nutre di sentimenti contrari all’umanesimo più profondo. Soprusi, guerre e violenze di ogni forma e natura orientate al “possedere sempre di più” hanno di fatto condotto a una gerarchia di poteri ben lontani se non opposti alla felicità.
La proposta di cui si fa carico il documentario attraverso le voci degli intervistati è dunque quella di interrompere tale circolo vizioso e indirizzarsi verso una sobrietà nei consumi che possa finalmente scollegare l’economia finanziaria e mercantile dal desiderio di felicità. Non è un caso che la Danimarca, ovvero il Paese “più felice del mondo” secondo il Rapporto Mondiale della Felicità 2016, sia abitato da cittadini che “sanno accontentarsi”. Non per ultimo, il film amplifica il discorso, testimoniando al suo pubblico che senza una vita di relazioni è impensabile essere felici: parola di diversi funzionari e manager di successo che hanno scelto di liberarsi dalla schiavitù di un lavoro che impediva loro di vivere le gioie famigliari. Rigoroso e ambizioso, La felicità umana manifesta la struttura e l’estetica di un “saggio cinematografico” a tema costruito con dedizione, logica, ricca documentazione ma anche con un buona capacità di empatizzare con gli spettatori.