vincent
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martedì 13 agosto 2019
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la storia la fanno i vincitori
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Film decisamente mediocre, privo di realta e logica..quando un film dipinge i cattivi stupidi e idioti e glorifica i buoni oltremisura , perde il suo valore.
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penna e calamaio
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sabato 15 giugno 2019
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un altro ancora ti prego!
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Mel Gibson sa fare cinema, si può discutere sul fatto che in alcuni momenti lo spettacolo prevalga sull'essenza, ma non che ,alla fine, gli eventi narrati non rimangano nella memoria.
Dopo una prima parte non troppo entusiasmante,(mi riferisco all'addestramento di Doss prima di avventurarsi in battaglia) il resto della pellicola è un crescendo continuo di emozioni senza pause narrative.
Le scene di battaglia lasciano a bocca aperta con corpi mutilati, ratti che si avventano sui cadaveri, elmetti che volano e proiettili che affondano nelle carni dei malcapitati.
Il nostro eroe si muove fra le linee nemiche somministrando morfina e cercando di salvare più vite possibili, anche quelle dei nemici, perché la vita è una sola e va rispettata.
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Mel Gibson sa fare cinema, si può discutere sul fatto che in alcuni momenti lo spettacolo prevalga sull'essenza, ma non che ,alla fine, gli eventi narrati non rimangano nella memoria.
Dopo una prima parte non troppo entusiasmante,(mi riferisco all'addestramento di Doss prima di avventurarsi in battaglia) il resto della pellicola è un crescendo continuo di emozioni senza pause narrative.
Le scene di battaglia lasciano a bocca aperta con corpi mutilati, ratti che si avventano sui cadaveri, elmetti che volano e proiettili che affondano nelle carni dei malcapitati.
Il nostro eroe si muove fra le linee nemiche somministrando morfina e cercando di salvare più vite possibili, anche quelle dei nemici, perché la vita è una sola e va rispettata.
Lo farà stringendo i denti, rimanendo da solo nella notte con la fede in Dio come unica compagna e sostenitrice nelle pagine della Bibbia che stringe fortemente tra le mani.
Visto che si tratta di una storia vera, senza dubbio romanzata in alcuni punti anche eccessivamente, ma ribadisco vera , ne consiglio la visione anche a quelli a cui non piacciono i film di guerra.
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dandy
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venerdì 22 febbraio 2019
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obbiettore-salvatore.
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Dopo 10 anni di assenza,Gibson ritorna alla regia con la vera storia del primo soldato obbiettore di coscienza a essere premiato con la Medaglia d'Onore del Congresso.Un war movie dalla confezione lussuosa,in cui il regista serve la storia nel modo a lui congeniale.A una prima parte classica e romanzata ne segue una freneticissima e piena di dettagli truculenti,fin troppo dettagliati.Nulla per cui gridare al capolavoro sia chiaro,ma il protagonista nella sua irremovibile fermezza,disposto anche a salvare la vita al nemico,è allo stesso tempo affascinante ed ambiguo(partecipa alla guerra che ritiene giusta solo per impegno etico....).Peccato che Gibson finisca prevedibilmente per sottolinearne l'allusione cristologica.
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Dopo 10 anni di assenza,Gibson ritorna alla regia con la vera storia del primo soldato obbiettore di coscienza a essere premiato con la Medaglia d'Onore del Congresso.Un war movie dalla confezione lussuosa,in cui il regista serve la storia nel modo a lui congeniale.A una prima parte classica e romanzata ne segue una freneticissima e piena di dettagli truculenti,fin troppo dettagliati.Nulla per cui gridare al capolavoro sia chiaro,ma il protagonista nella sua irremovibile fermezza,disposto anche a salvare la vita al nemico,è allo stesso tempo affascinante ed ambiguo(partecipa alla guerra che ritiene giusta solo per impegno etico....).Peccato che Gibson finisca prevedibilmente per sottolinearne l'allusione cristologica.Veramente magnifiche comunque,le sequenze di battaglia.Più discutibile il ritratto schematico dei giapponesi.Garfield non è proprio il massimo quanto a espressioni facciali,e in più punti sembra un Anthony Perkins ragazzino uscito da "Psycho"(le ossessive occhiate a Dorothy in ospedale e al cinema).Perfetto invece Weaving. Nelle sequenze finali appaiono le immagini del vero Desmond Doss nel corso della sua vita e brevi brani di una intervista rilasciata dal soldato nel 2003 nonché dai reali protagonisti salvati dall'impresa di Desmond.Sei nominations e 2 Oscar(montaggio e missaggio del suono)
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iuriv
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venerdì 25 agosto 2017
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gibson e la guerra.
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La storia vera di Desmond Doss, recluta volontaria dell'esercito ma contemporaneamente obbiettore di coscienza, e della sua determinazione a farsi accettare nei ranghi militari, pur con nessuna intenzione di abbracciare nemmeno un'arma. Un uomo che con le sue convinzioni intatte riuscì a salvare decine di commilitoni da solo.
Una riflessione sul significato del coraggio dal potenziale interpretativo interessante, che però finisce per dover fare i conti con una serie di problemi che la trasposizione in pellicola porta con se.
Come una lunghezza chilometrica, ad esempio, resa di difficile sopportazione da una prima parte poco brillante.
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La storia vera di Desmond Doss, recluta volontaria dell'esercito ma contemporaneamente obbiettore di coscienza, e della sua determinazione a farsi accettare nei ranghi militari, pur con nessuna intenzione di abbracciare nemmeno un'arma. Un uomo che con le sue convinzioni intatte riuscì a salvare decine di commilitoni da solo.
Una riflessione sul significato del coraggio dal potenziale interpretativo interessante, che però finisce per dover fare i conti con una serie di problemi che la trasposizione in pellicola porta con se.
Come una lunghezza chilometrica, ad esempio, resa di difficile sopportazione da una prima parte poco brillante. Mel Gibson ci tiene a presentarci per benino i personaggi che animano il suo lavoro e non c'è nulla di male in questo. Il vero ostacolo che pone allo spettatore è la mancanza di originalità con la quale mette in scena questa fase.
Si dilunga molto sul Desmond bambino e sulla scoperta della sua vocazione, per poi portarci dentro una caserma popolata di soldati standard, introdotti come si è visto migliaia di volte su di uno schermo. In tutto ciò Mel inserisce quasi a forza una storia d'amore tra le più ovvie, le cui dinamiche non sono state pensate per sorprendere, ma solo per dimostrarci come il protagonista, nonostante le sue idee radicali, sia un giovane come tutti gli altri, travolto dall'amor di patria e internzionato a fare la sua parte per spegnere il fuoco dei cattivi.
Gibson cerca di mantenere una visione neutrale sulla questione guerra. Mette al centro della sua storia Garfield (che ormai è un po' ovunque) e il suo desiderio quasi pacifista di intendere la missione. Ma non riesce a stare del tutto con lui, facendo una fatica boia a non esaltare i valori bellici.
Le scene della battaglia sono le più riuscite e nell'ultima ora di film il regista riesce a lasciarsi un po' andare, mettendo in scena la sua cifra stilistica fatta di fede e crudezza estrema quasi ostentata (ma qui serviva).
Tra le esplosioni e i fischi dei proiettili traccianti, la telecamera rimane quasi sempre ad altezza soldato e restituisce con una certa capacità la confusione di un campo di battaglia. Il pericolo si percepisce dietro una cortina fumogena impenetrabile ove risiedono nemici oscuri e folli. Si entra in empatia (per quanto sia possibile da una sala cinematografica, ovviamente) con Desmond e la sua missione disperata. Si intuisce l'immenso coraggio sorretto dalla fede di questo ragazzo.
Ma si rimane anche vittime di un moralismo senza compromessi, che offre la solita esibizione di militarismo muscolare e finisce per sminuire il messaggio nascosto della storia. Vero è che Gibson ha qualche cosa da farsi perdonare nei confronti del pubblico americano più bacchettone. Ma forse poteva scegliere un soggetto meno sottile per ricominciare a farsi bello con i suoi amici yankee.
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kyotrix
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martedì 22 agosto 2017
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carino, nulla di speciale
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Carino, ma non mi ha entusiasmato, troppo buonista/americano. La cosa che colpisce di più è sapere che è tratto da una storia vera, e solo le interviste finali ai veri protagonisti, mi hanno commosso.
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ninoraffa
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lunedì 24 luglio 2017
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non uccidere. il quinto comandamento secondo gibson.
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Spettacolare film di guerra degli anni cinquanta o sessanta, "La Battaglia di Hacksaw Ridge". Cosa aggiungere? Forse nel 2016, dopo "Flags of our fathers" e "Lettere da Iwo Jima", saremmo più volentieri ritornati sui campi di battaglia del Pacifico armati d’imparzialità ed equilibrio storico. Invece più che a Okinawa ci ritroviamo al Fosso di Helm oppure nella Terra di Mordor del "Signore degli Anelli", dalla parte degli elfi a stelle e strisce, nobili e pietosi, contro gli orchi-musi-gialli, bestiali e crudeli, vomitati senza fine dalle tenebrose viscere della terra. Mel Gibson non ha bisogno di presentazioni: scritta da un vincitore piuttosto tardivo, la sua storia è immune dalle dolorose riflessioni maturate nel frattempo da giapponesi e statunitensi, nel riconoscersi vicendevolmente, al di là delle diverse responsabilità rispetto alla guerra.
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Spettacolare film di guerra degli anni cinquanta o sessanta, "La Battaglia di Hacksaw Ridge". Cosa aggiungere? Forse nel 2016, dopo "Flags of our fathers" e "Lettere da Iwo Jima", saremmo più volentieri ritornati sui campi di battaglia del Pacifico armati d’imparzialità ed equilibrio storico. Invece più che a Okinawa ci ritroviamo al Fosso di Helm oppure nella Terra di Mordor del "Signore degli Anelli", dalla parte degli elfi a stelle e strisce, nobili e pietosi, contro gli orchi-musi-gialli, bestiali e crudeli, vomitati senza fine dalle tenebrose viscere della terra. Mel Gibson non ha bisogno di presentazioni: scritta da un vincitore piuttosto tardivo, la sua storia è immune dalle dolorose riflessioni maturate nel frattempo da giapponesi e statunitensi, nel riconoscersi vicendevolmente, al di là delle diverse responsabilità rispetto alla guerra. Vicenda esemplare – "vera", secondo la moda Hollywoodiana corrente – quella di Desmond Doss: primo obiettore di coscienza insignito della Medaglia d’Onore del Congresso (la più alta onorificenza militare statunitense) per aver servito come soccorritore militare ad Okinawa nel 1945, traendo in salvo dietro le linee nemiche 75 commilitoni feriti. La prima parte del film scorre secondo gli schemi classici del genere: una sana e rude infanzia nella campagna della Virginia, il padre traumatizzato reduce della Grande Guerra alcolizzato e violento (Hugo Weaving, il miglior interprete del film), la madre succube e affettuosa, la salda fede cristiana avventista, la bella fidanzata infermiera, l’arruolamento volontario per la guerra, il duro addestramento, il sergente carogna ma non troppo, i commilitoni dalla mano pesante; qui e lì salta fuori qualche misurata cattiveria che comunque non intacca l’essenziale rettitudine del buon americano. Doss, assegnato per errore a un battaglione d’assalto invece che ai corpi medici, Sacra Scrittura alla mano rifiuta il fucile in nome del quinto comandamento: vuole servire la patria salvando vite invece che sterminando nemici. Non risulta molto convincente: Pearl Harbour ancora brucia e in ogni caso è difficile distinguere i grandi ideali dalla vigliaccheria; finisce prevedibilmente in galera, ma alla fine, grazie a un generale amico del padre, il tribunale militare consente a spedirlo al fronte secondo i suoi voleri, armato di bende, morfina e barella. Storia vera s’è detto. Ricapitolare una vita in due ore comporta una strettissima selezione di fatti e pensieri da cui dipende il senso del racconto. Lasciamo quindi il vero Desmond Doss, del quale sapremo sempre e comunque pochissimo, per concentrarci sulla regia di Gibson, da par suo molto risoluto nel conciliare guerra e fede cristiana; impresa in cui anche pensatori più attrezzati, come S. Agostino e S. Tommaso, hanno parecchio faticato, stante che Cristo non ricorse alle Sue legioni angeliche per risparmiarsi l’ingiustizia della Croce. Doss secondo Gibson è inevitabilmente un obiettore "non" pacifista. Da ragazzo con una pietra ha tentato d’imitare Caino, più grande ha quasi sparato al padre per proteggere la madre, adesso sembra avere qualche pendenza freudiana con le armi, ma contro la guerra in sé in fondo ha poco da obiettare. Non approfondendo la psicologica e l’etica del personaggio al di là della Bibbia nel taschino, Gibson finge di voler raccontare l’idealista e l’obiettore di coscienza, ma ancora una volta gl’interessa di più il guerriero. Si compiace quindi della ripresa iperrealista, macchinando azioni belliche d’inverosimile partigianeria: i giapponesi non tagliano le funi di sostegno della rete che consente di scalare le loro difese, non tirano neppure quattro pietre – e basterebbero – sui "nostri" che li prendono a fucilate da un’improbabile posizione scoperta sottostante, cadono a grappoli sotto i colpi del buon sergente ferito ormai da 24 ore e senza cure, tirato a gran velocità da Doss su uno "slittino" di tela lungo un terreno accidentatissimo, e potremmo continuare. Doss compì due imprese eroiche a riparo di ogni retorica: quella di professare nel peggior momento scomode idee di non violenza passando per vile davanti alla sua nazione, e l’altra di Hacksaw Ridge davanti ai giapponesi. A settant’anni di distanza, proprio la prima dovrebbe essere per noi più importante, posto che il valore assoluto della vita da lui testimoniato rimane ad oggi incompreso, e ancor meno applicato. Un Doss fulminato dopo cinque minuti di battaglia sarebbe rimasto per sempre "Doss il vigliacco", eppure i suoi valori avrebbero meritato comunque di essere raccontati. Hollywood lo avrebbe ignorato, ma un Doss senza medaglia, sconosciuto testimone della fede, sconfitto secondo la logica di questa Terra, avrebbe rappresentato ancor di più l’autentica essenza umana e cristiana. Se l’umanità e il cristianesimo c’interessano veramente.
A Okinawa in tre mesi perirono circa 13.000 militari americani e 240.000 giapponesi in maggioranza civili. Per chi ha fede, Dio era lì in quei giorni, ma più misterioso e incognito di quanto Gibson voglia farci credere. Dubitiamo pure che Si aggirasse per la battaglia a braccetto di Zio Sam. Appena due mesi dopo il governo degli Stati Uniti, giustificandosi con gli enormi costi umani di un’invasione del Giappone, ordinerà di sganciare senza preavviso due bombe atomiche prima su Hiroshima e tre giorni dopo su Nagasaki. In alternativa, alcuni scienziati e intellettuali avevano proposto un’esplosione dimostrativa in un luogo deserto, seguita da un ultimatum alle autorità di Tokio, ma così non avvenne. Nel finale del film scorrono le immagini di repertorio del vero Desmond Doss: risentendo dalla sua voce "Ti prego Signore, aiutami a salvarne ancora uno", ci chiediamo cosa pensasse di questo terrificante epilogo – 70.000 innocenti vittime civili per ogni lancio – dal sapore inutile della vendetta.
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boffese
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mercoledì 21 giugno 2017
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la guerra di mel
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Non amo troppo Mel Gibson (Braveheart a parte) e questo film mi conferma il pensiero che ho sempre avuto sul regista.
La prima parte e' talmente smielata che sembra un film per chi guarda le trasmissioni della De Filippi ; nella seconda parte il protagonista inizia il suo percorso millitare e la diatriba col tenente cattivo , sembra una specie di parodia del celebre sergente Hartman di Full metal jacket.
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Non amo troppo Mel Gibson (Braveheart a parte) e questo film mi conferma il pensiero che ho sempre avuto sul regista.
La prima parte e' talmente smielata che sembra un film per chi guarda le trasmissioni della De Filippi ; nella seconda parte il protagonista inizia il suo percorso millitare e la diatriba col tenente cattivo , sembra una specie di parodia del celebre sergente Hartman di Full metal jacket.
Ecco , fino a qui tutto orribile , poi inizia un altro film , dove scende in campo la bravura del regista nel ricostruire questa battaglia di Hacksaw Ridge in modo cruento e affascinante , grazie ad una regia rischiosa e spettacolare.
La storia e' interessante e si fa fatica a credere che sia vera , ma leggendo qua e la' , sembra che la sceneggiatura non sia stata romanzata.
Andrew Garfield fa quello che deve fare e lo fa bene , il suo viso da Obiettore di coscienza lo aiuta .
Come dicevo male nella prima parte e molto molto bene nella seconda.
Voto : 7
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giovedì 8 giugno 2017
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troppo romanzato e naif
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La bella storia del primo obiettore di coscienza a servire nell'esercito americano e ad essere insignito della Medal of Honor per l'eroismo dimostrato nella battaglia di Okinawa viene trasposto da Mel Gibson in modo a mio avviso troppo superficiale e romanzato per essere credibile. L'onnipresente morale religiosa che però non riesce a diventare convincente e spirituale, l'irrealistica ricostruzione degli eventi bellici totalmente asservita allo splatter ed all'esagerazione, l'assenza di caratterizzazione dei personaggi (grave in particolar modo verso il nemico giapponese e solo alleviata dalla prestazione di Hugo Weaving tormentato reduce della Grande Guerra) pongono secondo me questo film ben al di sotto di altri film di guerra anche recenti.
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valterchiappa
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giovedì 1 giugno 2017
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la fede e l'inevitabile orrore della guerra
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Noi non sappiamo cos’è la Guerra. Lo sapeva Desmond Doss e i disperati che con lui hanno calpestato il suolo di Okinawa. Terra scavata dalle bombe, percorsa dal fuoco, intrisa di sangue, puteolente di carne in decomposizione. Noi non sappiamo cos’è la Guerra. Mel Gibson ce la racconta con il linguaggio più esplicito che sia mai stato utilizzato, assestandoci il pugno più forte che il nostro stomaco abbia mai ricevuto. Con il perverso compiacimento con cui ama descrivere la violenza, in “La battaglia di Hacksaw Ridge” riempie lo schermo di tronchi umani, di viscere sparse sulla terra, di arti maciullati, di crani rosi dai ratti, di corpi che esplodono o sono divorati dalle fiamme.
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Noi non sappiamo cos’è la Guerra. Lo sapeva Desmond Doss e i disperati che con lui hanno calpestato il suolo di Okinawa. Terra scavata dalle bombe, percorsa dal fuoco, intrisa di sangue, puteolente di carne in decomposizione. Noi non sappiamo cos’è la Guerra. Mel Gibson ce la racconta con il linguaggio più esplicito che sia mai stato utilizzato, assestandoci il pugno più forte che il nostro stomaco abbia mai ricevuto. Con il perverso compiacimento con cui ama descrivere la violenza, in “La battaglia di Hacksaw Ridge” riempie lo schermo di tronchi umani, di viscere sparse sulla terra, di arti maciullati, di crani rosi dai ratti, di corpi che esplodono o sono divorati dalle fiamme. La rappresentazione della battaglia di Hacksaw Ridge, che si estende per tutta la seconda metà del film, supera in intensità anche il famoso incipit di “Salvate il soldato Ryan” e colloca di diritto il film di Mel Gibson nella storia dei film di guerra. Non solo voyeurismo splatter, che in questo caso risulta opportuno ed efficace, ma il tintinnio metallico delle schegge, il fischio dei proiettili, i boati assordanti delle bombe, la scia rossa dei lanciafiamme, gli occhi spiritati dei giapponesi, il pianto dei moribondi, per un’ora interminabile descrivono come mai fatto prima la tensione, il terrore, la follia, la perdita di ogni accento umano, la distruzione della sacralità del corpo: tutto ciò che la Guerra è.
All’interno Gibson inserisce il suo messaggio, raccontando la storia vera di Desmond Doss, il primo obiettore di coscienza ad ottenere un’onorificenza militare. Spinto da una fede incrollabile, questo ragazzo della Virginia pretese ed ottenne di partire per il fronte disarmato, intenzionato a salvare vite, piuttosto che toglierle. E così fece, con l’eroismo proprio di chi è votato al martirio, sottraendo al campo di battaglia ed a una morte certa 75 uomini.
Peccato che “La battaglia di Hacksaw Ridge” sia tutto qui, in questa asfissiante carrellata di orrori. Per il resto si assiste ad un film convenzionale, diviso canonicamente in tre fasi: l’idillio in tempo di pace, la durezza dell’addestramento, il combattimento con l’inevitabile vittoria finale. Tutto già visto: la bella fidanzatina lasciata a casa, il bullismo dei commilitoni, una fugace descrizione della varia umanità dei soldati, qualche blanda escursione nel retroterra psicologico del protagonista, vessato da un padre ubriacone e violento. Nessun altro approfondimento, nessuna vista sulla posizione del nemico, come il pur americanissimo Clint Eastwood tentò in “Lettere da Iwo Jima”. Solo buoni contro cattivi, il Bene contro il Male. Forse da Mel Gibson non si può pretendere di più.
Conosciamo il credo del regista americano: la sua è una fede guerriera, il suo cristiano è un combattente, deve andare in guerra, perchè il suo amore per Dio si manifesta sul campo di battaglia. Desmond Doss è solo apparentemente inerme: non un fucile, ma la piccola Bibbia che porta sempre con sé lo rende invincibile, capace di sfuggire miracolosamente ad una pioggia di ferro e di fuoco, di non provare fame, sete, sonno, di caricarsi sulle spalle decine e decine di corpi senza apparente fatica. Ma, senza giudicare le personali credenze dell’autore, l’intima contraddizione del discorso gibsoniano appare evidente nel finale, quando, per “finire il lavoro” iniziato su Hacksaw Ridge, i soldati imbracciano nuovamente le armi e si producono nel più classico degli “arrivano i nostri”, facendo carne da macello degli avversari. Va bene la fede, ma quando c’è da sparare si spara.
Desmond Doss è interpretato da Andrew Garfield, che presta al suo candido personaggio il viso pulito e il sorriso aperto. L’ex Spider-Man è candidato all’Oscar come miglior attore protagonista e fa di tutto per meritarlo: domina la scena per tutta la durata del film, intenso, credibile. Ma la sua performance brilla principalmente in virtù della bellezza del ruolo e dell’impegno richiesto.
Il tutto per un prodotto che è un po’ come la fede di Gibson: al Bene e il Male corrispondono l’eccellente e il mediocre, il troppo pieno e il troppo vuoto. Il suo cinema divide draconianamente, non ammette mezzi termini, lo si ama o lo si odia. Gibson non è sottile: non parla, urla; non tocca, sferra pugni violentissimi. Ma a volte anche i pugni fanno bene. Soprattutto se, quando parleremo ancora di guerra, ci torneranno in mente il sangue, la carne, le ossa che da quel giorno sono parte inseparabile della terra di Hacksaw Ridge.
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alberto
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domenica 21 maggio 2017
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l'arma della determinazione
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Questa sì che è una storia vera da portare sul grande schermo. Un grande esempio di quanto possa essere potente in un uomo la fede vera, non il mero fanatismo, nonché un lungo spettacolo bellico ben orchestrato da Mel Gibson. La storia di Desmond Doss mostra l'importanza di quello in cui crediamo, i nostri principi e le nostre convinzioni, che costituiscono alla fine quello che siamo e che quindi tentiamo in tutti i modi di difendere. Il protagonista ha il coraggio di essere sé stesso e vuole essere amato per quello che è, un cristiano americano, non vuole assolutamente fingere nei rapporti con gli altri e, come i tanti suoi coetanei, è determinato ad arruolarsi per soccorrere i feriti sul campo di battaglia di Okinawa, con i conseguenti precetti religiosi, tra cui non uccidere e, in generale, non toccare un’arma, a seguito di un giuramento davanti a Dio dovuto al passato burrascoso col padre, reduce della Prima Guerra Mondiale e con ovvia instabilità psicologica.
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Questa sì che è una storia vera da portare sul grande schermo. Un grande esempio di quanto possa essere potente in un uomo la fede vera, non il mero fanatismo, nonché un lungo spettacolo bellico ben orchestrato da Mel Gibson. La storia di Desmond Doss mostra l'importanza di quello in cui crediamo, i nostri principi e le nostre convinzioni, che costituiscono alla fine quello che siamo e che quindi tentiamo in tutti i modi di difendere. Il protagonista ha il coraggio di essere sé stesso e vuole essere amato per quello che è, un cristiano americano, non vuole assolutamente fingere nei rapporti con gli altri e, come i tanti suoi coetanei, è determinato ad arruolarsi per soccorrere i feriti sul campo di battaglia di Okinawa, con i conseguenti precetti religiosi, tra cui non uccidere e, in generale, non toccare un’arma, a seguito di un giuramento davanti a Dio dovuto al passato burrascoso col padre, reduce della Prima Guerra Mondiale e con ovvia instabilità psicologica. E’ curioso notare che in mezzo a uomini che si massacrano, si trivellano, si suicidano e si fanno esplodere lanciando un grido selvaggio Doss si distingue, sembra il più indifeso, quello che non ha speranze e che è destinato a dare la vita per la patria. Invece la forza della sua ostinazione lo fa correre imperterrito tra la nebbia, che nasconde di tutto, per cercare compagni ancora in vita e abbandonati dagli altri, prima che un soldato giapponese gli infilzi con la baionetta per testare la dipartita. Gibson non è nuovo alle battaglie (Braveheart) e nel più crudo dei generi, che non ha di certo bisogno di innovazioni ma semplicemente di un’ottima mano per rappresentarlo (v. Spielberg e Kubrick), sceglie un racconto insolito di fede e anche di emarginazione, dato che il primo obiettore di coscienza decorato con la medaglia d’onore viene picchiato, viene chiamato vigliacco, per poi essere lodato dal capitano, che gli chiede addirittura di perdonarlo per non aver capito in realtà di che pasta fosse fatto, ma soprattutto si guadagna il tenero sorrisetto di gratitudine dei commilitoni salvati (in tutto 75). Una parabola in fondo sul pregiudizio e di quanto può danneggiare la società. La struttura narrativa è sempre quella: la prima parte racconta la sua formazione, dall’episodio di suo fratello colpito da un mattone alla conoscenza di un’infemiera di cui è innamorato, mentre nella seconda veniamo catapultati sul fronte di battaglia, in maniera molto coinvolgente e, ovviamente, più spietata che mai, a cominciare dalla sequenza più bella del film, in cui, dopo aver scalato la scarpata di Maeda, detta “Hacksaw Ridge”, camminano a passo lentissimo e con timore tra la nebbia e i cadaveri malridotti sparsi a terra: la sparatoria comincia all’improvviso, dopo un grido di un soldato americano spaventato, e continua con le splendide inquadrature di Gibson, non disdegnando di mostrare anche un incubo e inaspettate comparse giapponesi sottoterra, che conferiscono anche l’horror della guerra, al di fuori del sangue e delle frattaglie. Un’impalcatura scenica retta anche dai grandi attori, dal protagonista Andrew Garfield, in grado prima di scherzare e sorridere e in seguito di arrabbiarsi e disperarsi, a Vince Vaughn e Sam Worthington, austeri sergente e capitano, dalla compagna Teresa Palmer al padre Hugo Weaving, che ha regalato un’interpretazione davvero struggente, per un personaggio tormentato e che si chiede perché debba vedere lui la tomba dei suoi compagni. Sul piano tecnico poi la pellicola eccelle, a tal punto da essersi guadagnata due oscar per montaggio e sonoro. Candidature anche per regia, attore, montaggio sonoro e film. Il tono epico è incrementato anche dalle musiche di Gregson-Williams e la sceneggiatura di Knight e Schenkkan offre dialoghi interessanti. Tra i film dell’anno assolutamente da vedere.
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