ninoraffa
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martedì 23 gennaio 2018
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dignità contro paura
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Il controllo di uno stabilimento tessile passa a un gruppo francese e trecento operaie temono la chiusura o licenziamenti di massa. La nuova proprietà propone invece la riduzione di appena 7 minuti di pausa pranzo. Le undici rappresentanti del consiglio di fabbrica dovranno accettare quest'unica piccola condizione, apparentemente quasi indolore, oppure opporsi in nome di un principio, rischiando danni molto maggiori. Cedere un millimetro oggi, significherà cedere domani e cedere sempre, percorrendo all’indietro la strada dei diritti e della dignità: trent’anni fa la pausa pranzo era di 45 minuti, adesso 15 che si vorrebbero ridurre a 8.
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Il controllo di uno stabilimento tessile passa a un gruppo francese e trecento operaie temono la chiusura o licenziamenti di massa. La nuova proprietà propone invece la riduzione di appena 7 minuti di pausa pranzo. Le undici rappresentanti del consiglio di fabbrica dovranno accettare quest'unica piccola condizione, apparentemente quasi indolore, oppure opporsi in nome di un principio, rischiando danni molto maggiori. Cedere un millimetro oggi, significherà cedere domani e cedere sempre, percorrendo all’indietro la strada dei diritti e della dignità: trent’anni fa la pausa pranzo era di 45 minuti, adesso 15 che si vorrebbero ridurre a 8.
Tratto da un testo teatrale, “7 minuti” è un film dall’ottima scrittura, ben recitato e sceneggiato in unità di tempo, luogo e azione. Novanta minuti di fabbrica in cui si discute senza che succeda niente, coinvolgono lo spettatore in un dialogo serrato senza cali di tensione. Notevoli tutte le protagoniste, con una menzione speciale per la perfetta maschera (in latino persona) di Ottavia Piccolo, interprete di Bianca, l’operaia veterana che vede lontano nel passato e nel futuro.
Film alla Ken Loach, crudo, duro e di parte. Di sinistra, nel senso grave e tragico del termine. C’è la frammentata classe operaia post moderna, fatta di donne extracomunitarie, di ragazze neoassunte rasate e tatuate, di mogli di disoccupati a vita, di madri che non arrivano a fine mese, di operaie infortunate promosse all’invalidità in ufficio in cambio di dichiarazioni compiacenti, di vecchie operaie che hanno aggiornato Marx senza metterlo da parte, e inevitabilmente di chi deve mantenersi il posto tra le lenzuola del capo. Classe operaia che non è più classe, divisa e polverizzata da rivalità, invidie, diffidenze e razzismi, ma soprattutto da estrazioni, esperienze e quindi linguaggi diversi. Scomposte sensibilità e necessità che si affronteranno in un drammatico consiglio di fabbrica, testimone delle ragioni della dignità contro quelle della paura.
Film di parte, s’è detto, con i padroni vecchi e nuovi uniti nell’irresponsabilità sociale, nell’egoismo e nel cinismo, ammantati di buone maniere e politicamente corretto. Loro sì classe sociale, quasi a confermare il celebre incipit di Tolstoj sulla similitudine di tutte le famiglie felici, contro la disgraziata varietà di quelle sfortunate. Madame Rochette, la rappresentante della nuova proprietà, ha fretta di tornare a Parigi in serata per festeggiare il nipotino.
Cosa manca? Manca il fuori. La globalizzazione, la robotica, l’intelligenza artificiale e la stampa 3D. Mancano i padroni invisibili, remoti, asettici e ciechi della finanza, nei cui confronti i fratelli Varazzi e Madame Rochette, che almeno in fabbrica ci stanno, sono anche loro lavoratori. E per contrasto manca il governo dei fenomeni sociali nell’interesse dei deboli, e quindi una Politica degna di questo nome.
A gettare tutto questo sul tavolo del consiglio di fabbrica addosso alle nostre operaie si sarebbe scritta una storia più complicata e disperata. Le undici donne sentono la responsabilità per tutte le colleghe dello stabilimento, e anche per quelle che verranno e per le altre che lavorano altrove; come se la loro decisione facesse qualche differenza e i giochi (sulla loro pelle) non fossero comunque fatti.
Rimane il valore morale e sociale di “ 7 minuti ”. Le battaglie perse vanno comunque combattute, e anche raccontate. Meglio se bene, come in questo caso.
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framont
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domenica 6 novembre 2016
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…la storia di una scelta comune…
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3 Novembre.
Uci Cinemas Casoria.
Ore 20.00
Aspettavo con ansia e curiosità questo film, un film importante che spinge lo spettatore ad aprire la mente e a mettersi nei panni di queste 11 donne, 11 menti diverse, forti e deboli al tempo stesso, in guerra e complici, separate e unite.
11 storie di vita differenti da raccontare che ci portano a decifrare l'importanza del posto di lavoro per ogni una delle lavoratrici.
Tema attualissimo in un paese dove ormai il precariato è sinonimo di normalità sempre se possiamo ancora parlare di precariato visto che i disoccupati sono il triplo dei precari.
Impossibile non immedesimarsi, inevitabile chiedersi:
"Se tale proposta fosse fatta a me come reagirei?
Partirei in quarta con estrema irruenza senza voler ne ragionare ne confrontarmi con le altre come Angela?
Continuerei a far finta di nulla come Hira?
Analizzerei ogni punto con minuzia come Marianna?
Addosserei la colpa del problema alle "pecore salvate dal pastore" come Greta?
Avvertirei solo uno stato di confusione come Alice?"
"7 minuti" è fondamentalmente la storia di una scelta comune, di tutti, nessun foglio bianco, o è si o è no.
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3 Novembre.
Uci Cinemas Casoria.
Ore 20.00
Aspettavo con ansia e curiosità questo film, un film importante che spinge lo spettatore ad aprire la mente e a mettersi nei panni di queste 11 donne, 11 menti diverse, forti e deboli al tempo stesso, in guerra e complici, separate e unite.
11 storie di vita differenti da raccontare che ci portano a decifrare l'importanza del posto di lavoro per ogni una delle lavoratrici.
Tema attualissimo in un paese dove ormai il precariato è sinonimo di normalità sempre se possiamo ancora parlare di precariato visto che i disoccupati sono il triplo dei precari.
Impossibile non immedesimarsi, inevitabile chiedersi:
"Se tale proposta fosse fatta a me come reagirei?
Partirei in quarta con estrema irruenza senza voler ne ragionare ne confrontarmi con le altre come Angela?
Continuerei a far finta di nulla come Hira?
Analizzerei ogni punto con minuzia come Marianna?
Addosserei la colpa del problema alle "pecore salvate dal pastore" come Greta?
Avvertirei solo uno stato di confusione come Alice?"
"7 minuti" è fondamentalmente la storia di una scelta comune, di tutti, nessun foglio bianco, o è si o è no.
A decidere ci aiuteranno le parole, i diverbi, le considerazioni, i dubbi, le litigate accese, le paure, gli schieramenti delle protagoniste.
Una lotta verbale e interiore tra il concetto di sottomissione, diritto, dovere e dignità.
Una standing ovation a queste 11 grandi ATTRICI, assurdo dire chi è più brava di un'altra, loro la grande forza di questa pellicola.
Ovviamente invito TUTTI ad andare al cinema, soprattutto ai più giovani.
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flyanto
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lunedì 7 novembre 2016
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accettare o non accettare?
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Tratto dall'omonimo testo teatrale di Stefano Massini (che ne ha scritto insieme al regista Michele Placido anche la sceneggiatura della versione cinematografica) e rifacentesi ad un fatto realmente accaduto in una fabbrica dell'Oltralpe, "7 Minuti" racconta uno spietato aspetto della realtà concernente il mondo del lavoro e, più precisamente, quello, appunto, della fabbrica. Poichè la fabbrica dove lavorano le protagoniste della pellicola, al fine di non venire chiusa, è passata ad un gruppo francese che l'ha rilevata, ora si trova nella condizione di dover inserire nuove regole e di farle accettare ai suoi dipendenti e, più precisamente, quella concernente il sacrificare 7 minuti al giorno della pausa pranzo di ciascuno.
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Tratto dall'omonimo testo teatrale di Stefano Massini (che ne ha scritto insieme al regista Michele Placido anche la sceneggiatura della versione cinematografica) e rifacentesi ad un fatto realmente accaduto in una fabbrica dell'Oltralpe, "7 Minuti" racconta uno spietato aspetto della realtà concernente il mondo del lavoro e, più precisamente, quello, appunto, della fabbrica. Poichè la fabbrica dove lavorano le protagoniste della pellicola, al fine di non venire chiusa, è passata ad un gruppo francese che l'ha rilevata, ora si trova nella condizione di dover inserire nuove regole e di farle accettare ai suoi dipendenti e, più precisamente, quella concernente il sacrificare 7 minuti al giorno della pausa pranzo di ciascuno. Con l'aiuto di un'impiegata più anziana e portavoce di tutte loro, le suddette operaie dovranno decidere per tutti i dipendenti se accettare o meno la nuova disposizione ed ovviamente esse avranno opinioni e soprattutto situazioni personali differenti che determineranno direttamente la loro scelta ed i conseguenti conflitti verbali che scaturiranno tra loro. Vi sono infatti alcune lavoranti straniere che temono, non firmando la nuova regola, di venire licenziate immediatamente, quella che aspetta un bambino e pertanto ha tutto l'interesse a mantenersi l'occupazione, quella più orgogliosa che preferisce invece opporsi al fine di non creare un precedente di sottomissione per il futuro, quella, inoltre, che per un incidente sul lavoro e resa invalida su di una sedia a rotelle, dal lavoro manuale alle macchine è passata a quello presso una scrivania in ufficio e dopo un risarcimento consistente, e svariate altre .... Dopo numerose discussioni e ripensamenti le donne in questione riusciranno ad approdare finalmente ad una decisione definitiva ....
Ideato come una pièce teatrale, "7 Minuti" si svolge infatti nell' arco di poche ore come vicenda ed è ambientata tutta in un'unica location e, più precisamente, nello stanzone della fabbrica dove si riuniscono le protagoniste. Interamente dialogato, i discorsi ed i battibecchi vengono portati avanti dalle suddette operaie descrivendo più che degli avvenimenti, le proprie situazioni personali con annessi problemi e non, pertanto quello che sicuramente è assente in questa pellicola è una vera e propria azione. Ma l'opera, sia teatrale che non, è stata, infatti, concepita come un'aperta denuncia di certe realtà lavorative dove le condizioni sono pressochè disumane, precarie e quanto mai sfavorevoli per le categorie più deboli come, per esempio, quelle delle donne e della manovalanza in generale verso cui regna un grande disinteresse, per non addirittura opposizione. Il regista Michele Placido, qui anche nel limitato, come attore, ruolo di direttore della fabbrica, è riuscito pienamente nel suo lavoro di denuncia, costruendo un'opera quanto mai efficace, dura, rigorosa e, purtroppo, vera. Egli, va però sottolineato, riesce appieno nel suo intento grazie anche alla collaborazione delle attrici femminili che da lui sono state sapientemente selezionate: Ottavia Piccolo, Violante Placido, Ambra Angiolini, Maria Pia Calzone, Fiorella Mannoia (da cantante ad insolita ottima attrice), Cristiana Capotondi, e molte altre del cinema d'Oltralpe, forse, a noi meno note, riescono a dare un ritratto quanto mai efficace di donne combattive, vere , disperate e sofferenti reso ancora più credibile, oltre che dall'asprezza dei dialoghi, anche dalle loro figure fisiche riprese al naturale e, cioè, prive completamente di trucco o qualsiasi abbellimento estetico e dimesse nei loro abiti. Pertanto "7 Minuti" merita una piena approvazione sia dal punto di vista della sua struttura in generale, che dal punto di vista interpretativo, crudo e quanto mai toccante.
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fabriziog
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giovedì 10 novembre 2016
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una spremuta si straordinaria recitazione
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Il film di Michele Placido (di cui è anche sceneggiatore, soggettista e attore) - da standing ovation finale con nodo alla gola - “7 Minuti” ha un cast quasi tutto al femminile, che vede interpreti neofiti e di lunga data tutte egualmente straordinarie: Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia (che richiama alla mente un poco la grande Anna Magnani), Maria Nazionale, Violante Placido, Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Ottavia Piccolo, Anne Consigny, Balkissa Maiga, Luisa Cattaneo, Erika D’Ambrosio.
Vera nella sua autentica drammaticità, la pellicola racconta una storia che sarebbe veritiera anche se non trattasse una storia accaduta realmente nel 2012 fra l’Italia e la Francia.
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Il film di Michele Placido (di cui è anche sceneggiatore, soggettista e attore) - da standing ovation finale con nodo alla gola - “7 Minuti” ha un cast quasi tutto al femminile, che vede interpreti neofiti e di lunga data tutte egualmente straordinarie: Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Fiorella Mannoia (che richiama alla mente un poco la grande Anna Magnani), Maria Nazionale, Violante Placido, Clémence Poésy, Sabine Timoteo, Ottavia Piccolo, Anne Consigny, Balkissa Maiga, Luisa Cattaneo, Erika D’Ambrosio.
Vera nella sua autentica drammaticità, la pellicola racconta una storia che sarebbe veritiera anche se non trattasse una storia accaduta realmente nel 2012 fra l’Italia e la Francia.
Veri i volti tesi, veri gli sguardi spauriti, vero il senso di smarrimento, di gioia ed incredulità, vera la tensione dentro e fuori la fabbrica, vere le facce smunte di undici operaie che devono decidere il destino proprio e di altre trecento colleghe dinanzi ad una proposta dei nuovi datori di lavoro apparentemente innocua: nei dettagli si nasconde il demonio.
Questa opera, ambientata prevalentemente al chiuso fra le quattro mura di una stanza, è una scuola di recitazione dove la finzione scenica si schiude alla quotidiana tragica realtà di centinaia di migliaia di donne e uomini che devono cedere invisibilmente, lentamente ed inesorabilmente diritti pur di tenersi uno straccio di lavoro che riconosca loro uno straccio di stipendio.
Michele Placido, che mostra il lato attoriale della regia, mette in scena una piece teatral-cinematografica che riprende la tradizione neorealistica italiana con un incisivo tocco del cinema di Ken Loach.
Fabrizio Giulimondi
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angelo umana
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giovedì 10 novembre 2016
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il sindacato che fa la storia (sua)
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Un film per discutere, sul mondo del lavoro dipendente, sui consigli di fabbrica e le interminabili discussioni, i sindacati, i diritti dei lavoratori, i drammi e le esigenze personali. Tratto da un fatto verificatosi in una ditta francese qualche anno fa. Michele Placido lesse la versione del testo teatrale di Stefano Massini e ne ha fatto un film. La vivida e vitale Ottavia Piccolo – presente alla proiezione al Giorgione di Venezia il 7/11 - era la protagonista in teatro e lo è anche nel film, come prima rappresentante delle undici che compongono il consiglio di fabbrica. Un gruppo francese compra l’azienda italiana di 300 dipendenti donne e, assicurando il lavoro a tutte, propone di rinunciare a 7’ della pausa pranzo.
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Un film per discutere, sul mondo del lavoro dipendente, sui consigli di fabbrica e le interminabili discussioni, i sindacati, i diritti dei lavoratori, i drammi e le esigenze personali. Tratto da un fatto verificatosi in una ditta francese qualche anno fa. Michele Placido lesse la versione del testo teatrale di Stefano Massini e ne ha fatto un film. La vivida e vitale Ottavia Piccolo – presente alla proiezione al Giorgione di Venezia il 7/11 - era la protagonista in teatro e lo è anche nel film, come prima rappresentante delle undici che compongono il consiglio di fabbrica. Un gruppo francese compra l’azienda italiana di 300 dipendenti donne e, assicurando il lavoro a tutte, propone di rinunciare a 7’ della pausa pranzo.
Innegabile il valore di testimonianza del film e delle attrici coinvolte (tutte in gambissima e calate nella parte, un profluvio di bei nomi ma … come sono lontani i loro redditi da quelli delle operaie che impersonano), l’interpretazione drammatica e esemplificativa dei punti di vista di donne diverse - le 11 del consiglio di fabbrica - le dispute che scatena la proposta della nuova proprietà, i punti di vista di donne diverse, alcune giovani altre più anziane, italiane e immigrate, provenienti da esperienze e problemi familiari veriegati. Per alcune non può fare alcun male rinunciare a 7 minuti di pausa, purché il lavoro resti: una del consiglio di fabbrica telefona la notizia alle dipendenti che sono fuori dalla fabbrica e per queste è festa grande, balli e suoni, i reporter televisivi a coprire l’evento e annunciare la buona novella. Il prezzo da pagare sono solo quei 7 minuti di riduzione della pausa: per alcune sono irrilevanti, per aver un lavoro purché sia, una immigrata dice che al suo paese una pausa non sapeva nemmeno cosa fosse, che un panino lo mangerebbe con una mano e con l’altra continuerebbe a lavorare. Un’altra, che per arrotondare chiede il cibo in parrocchia, non vorrebbe nemmeno discuterne.
Il dubbio su cosa quella rinuncia potrebbe rappresentare è instillato dall’anziana Bianca (Ottavia), la rappresentante del consiglio: anni prima la pausa durava 60 minuti, poi ridotta a 30 e poi a 15. Lei è memore di lotte sindacali, sostiene che quella rinuncia, apparentemente piccola, potrebbe preludere ad altre e più gravi rinunce, alla schiavitù prossima ventura. Quei 7 minuti, dal loro computo, porterebbero alla proprietà 900 ore mensili in più di lavoro, pari alla prestazione di cinque-sei lavoratrici in più, senza assumerle. E, come è avvenuto nel passato, si sostiene che quella lotta può rappresentare un punto di forza per altre aziende che potrebbero trovarsi di fronte ad altre scelte-ricatti: il sindacato che fa la storia. Ma non crea posti di lavoro, al massimo li conserva!
La classe operaia però, forse, non và più in paradiso e un sindacalista come Bertinotti non finirebbe oggi, speriamo, a concludere la sua carriera come presidente della Camera e poi conferenziere a Cortina, la R alla francese in ciò lo aiuta (non che una ubbidiente ed enunciativa Boldrini sia molto meglio …), ed ex sindacalisti non diventeranno più – si spera - così facilmente parlamentari o presidenti di enti inutili. Nemmeno un Luciano Lama affermerebbe più che “il costo del lavoro è una variabile indipendente”: oggi una votazione sulla rinuncia ai 7 minuti si farebbe online con tutte le 300 dipendenti, un posto di lavoro può avere un significato diverso per ognuna di quelle e la decisione non sarebbe più – o non dovrebbe essere - appannaggio di un consiglio di fabbrica, dove alcuni membri pensano ancora a principi e ra”gggg”ionamenti retaggio del passato, alcuni altri invece danno a quel posto un valore del tutto personale. Sarà per queste battaglie sindacali che abbiamo il 12% di disoccupati (il 40% tra i giovani)? Eppure un sindacalista non s’è mai aperto una botteghetta per farla prosperare. Saprebbe farlo?
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zarar
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lunedì 21 novembre 2016
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che saranno mai sette minuti?
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Film fortemente a tesi, che getta uno sguardo lucido sul mondo del lavoro oggi: la grave crisi dell’Occidente industrializzato è pagata in primo luogo dal lavoratore. E’ lui la vittima della disoccupazione, della delocalizzazione, di una perdita strisciante dei diritti guadagnati in più di un secolo di lotta operaia, della progressiva erosione della sua forza contrattuale. Come dice la vecchia sindacalista Bianca: grazie per avermi fatto capire che ormai non c’è più niente, solo la lotta brutale del singolo per la propria sopravvivenza, alla mercé di qualsiasi ricatto. Perché in quello che era una volta il rapporto sindacale e sembra oggi poco più che vuota ritualità, il lavoratore non appare più in grado di esprimere una sua forza ‘di classe’: troppa miseria, troppa concorrenza, troppa paura.
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Film fortemente a tesi, che getta uno sguardo lucido sul mondo del lavoro oggi: la grave crisi dell’Occidente industrializzato è pagata in primo luogo dal lavoratore. E’ lui la vittima della disoccupazione, della delocalizzazione, di una perdita strisciante dei diritti guadagnati in più di un secolo di lotta operaia, della progressiva erosione della sua forza contrattuale. Come dice la vecchia sindacalista Bianca: grazie per avermi fatto capire che ormai non c’è più niente, solo la lotta brutale del singolo per la propria sopravvivenza, alla mercé di qualsiasi ricatto. Perché in quello che era una volta il rapporto sindacale e sembra oggi poco più che vuota ritualità, il lavoratore non appare più in grado di esprimere una sua forza ‘di classe’: troppa miseria, troppa concorrenza, troppa paura. Di qui la cieca reazione di pancia di fronte al ricatto, la pronta rassegnazione al meno peggio, quando non la caccia irrazionale al falso nemico, la sempre perdente guerra tra poveri. Che saranno mai sette minuti di intervallo in meno richiesti dal nuovo azionista di maggioranza in un’azienda, se è mantenuto il posto di lavoro? La storia raccontata nel film offre molteplici spunti di riflessione, è seria e drammaticamente vera. La resa filmica non è altrettanto convincente, soprattutto nel confronto con gli evidenti modelli di riferimento: il classico “La parola ai giurati” di Lumet e il recente “Due giorni, una notte” dei Dardenne. Nonostante la fotografia scolpisca letteralmente i volti e giochi egregiamente con i dettagli, e il montaggio alterni con efficacia staticità e accelerazioni drammatiche, il film è troppo teatrale, troppo gridato, incapace di far interagire i personaggi in maniera credibile. Abbastanza lunare, per es., il contrasto troppo insistito, e appunto teatrale, tra la silenziosa fissità di Bianca (la forza della ragione) e lo schiamazzo o la resistenza ottusa delle compagne del comitato di fabbrica (la pancia). Contrasto simbolico, d’accordo, ma l’operazione è veramente troppo scoperta. Recitazione mediocre, se si eccettua una non attrice, Fiorella Mannoia. Due stelle e mezzo.
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riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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se sette minuti vi sembran pochi
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Undici donne, undici operaie, chiuse in uno spogliatoio, dentro una fabbrica vuota, deserta, attorno a un tavolo, tra gli armadietti metallici. Devono decidere della loro condizione ma – soprattutto – di quella delle loro compagne e compagni di lavoro che sono di fuori con cartelli e striscioni ai cancelli
L’azienda tessile dei Fratelli Varrazzi (uno dei quali interpretato dallo stesso Placido) sta cedendo il pacchetto di maggioranza azionaria a una multinazionale francese. Da Parigi giunge, con il primo volo della mattina, Madame Rochette per stipulare l’atto formale di accordo con la vecchia proprietà. Questo dovrà essere poi approvato dal Consiglio di Fabbrica e quindi ratificato dal resto del personale.
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Undici donne, undici operaie, chiuse in uno spogliatoio, dentro una fabbrica vuota, deserta, attorno a un tavolo, tra gli armadietti metallici. Devono decidere della loro condizione ma – soprattutto – di quella delle loro compagne e compagni di lavoro che sono di fuori con cartelli e striscioni ai cancelli
L’azienda tessile dei Fratelli Varrazzi (uno dei quali interpretato dallo stesso Placido) sta cedendo il pacchetto di maggioranza azionaria a una multinazionale francese. Da Parigi giunge, con il primo volo della mattina, Madame Rochette per stipulare l’atto formale di accordo con la vecchia proprietà. Questo dovrà essere poi approvato dal Consiglio di Fabbrica e quindi ratificato dal resto del personale. Le operaie delegano una loro rappresentate a partecipare come osservatrice alla stesura dell’accordo padronale. È Bianca – interpretata da Ottavia Piccolo –, l’operaia più esperta, con trenta anni di anzianità aziendale alle spalle.
Quando Bianca torna nello spogliatoio, tra le sue dieci compagne del Consiglio di Fabbrica, ci sono dunque poche ore di tempo per votare sì o no a quell’accordo. L’atto di cessione prevede questo: la fabbrica non chiude, non ci sarà alcun licenziamento, i turni di lavoro rimarranno immutati. La nuova proprietà chiede il taglio di soli sette minuti di pausa. Sembra un grande risultato, le delegate vogliono compattamente votare sì, per chiudere subito l’intera vicenda. L’unica che annuncia il suo voto contrario è proprio Bianca. Quando lei è entrata in fabbrica, la pausa era di 45 minuti, ridottasi progressivamente fino a 15. Tolti questi sette, ne rimarranno solo 8.
Inizia una discussione tesa, drammatica, acre, a tratti violenta, con accuse, recriminazione reciproche che spacca l’organismo di fabbrica e contrappone le singole compagne di lavoro l’una all’altra. Attraverso questo aspro confronto, Placido compie una vera e propria vivisezione dell’attuale composizione di classe umana dentro questa realtà industriale italiana. Donne sposate, single, separate, con molti, nessun figlio, immigrate dall’Africa, provenienti dall’ex Est europeo, condizionate, ricattate, soggette ad attenzioni padronali di tipo sessuale. Una composizione umana frammentata, dispersa, i cui vuoti neanche gli slanci di affetto cementati in anni di lavoro in reparto riescono autenticamente a superare.
Sta divenendo sempre più un fatto di cronaca quotidiana la recrudescenza padronale su controllo, rigida regolamentazione, riduzione, negazione delle pause lavorative, siano esse tra i turni, per il pasto o per i bisogni corporali. Una recrudescenza che tocca direttamente la sfera biopsichica più intima. Un bio-potere pervasivo che vuole appropriarsi dell’accresciuta componente sensibile, culturale, intellettiva e immateriale che ogni lavoratrice, lavoratore porta oggi all’interno del processo lavorativo, senza che essa sia loro minimamente riconosciuta.
È importante che un regista e un attore italiano di successo come Michele Placido – invece di dedicarsi a copioni che sarebbero certamente più redditizi per lui – porti sullo schermo temi legati alla condizione della resistenza operaia sul fronte del lavoro. Se pensiamo anche a un altro film operaio, quello del regista inglese Ken Loach I, Daniel Blake, vincitore di Cannes 2016, una cosa colpisce: il lavoro vivo non appare più sullo schermo cinematografico. Appare invece, e come, in un film sul lavoro precario più crudele ambientato tra Nettuno e Roma. È Sole Cuore Amore di Daniele Vicari.
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eugenio
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martedì 6 dicembre 2016
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la guerra dei poveri
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La base è teatrale, il soggetto pure. Stefano Massini, drammaturgo e consulente artistico del Piccolo teatro di Milano aveva scritto due anni fa una piecè di grande impatto emotivo, ispirandosi a una storia vera accaduta in Francia.
7 minuti questo era il titolo, il contesto era quello della salvaguardia della propria dignità di essere umano, dei biechi giochi di poteri delle multinazionali pronti a tutto pur di risparmiare sui dipendenti lasciando cadere sotto la generica voce di “ricollocazione”.
Ma se questa parola, spada di Damocle di ogni lavoratore privato, alberga prepotentemente nei tempi bui della nostra società influenzando il nostro futuro , d’altra parte la paura che “entra nelle nostre vite" che ci fa agire d’istinto, deve essere affrontata con il giusto orgoglio di essere umano senza accettare rinunce, pur che piccole siano.
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La base è teatrale, il soggetto pure. Stefano Massini, drammaturgo e consulente artistico del Piccolo teatro di Milano aveva scritto due anni fa una piecè di grande impatto emotivo, ispirandosi a una storia vera accaduta in Francia.
7 minuti questo era il titolo, il contesto era quello della salvaguardia della propria dignità di essere umano, dei biechi giochi di poteri delle multinazionali pronti a tutto pur di risparmiare sui dipendenti lasciando cadere sotto la generica voce di “ricollocazione”.
Ma se questa parola, spada di Damocle di ogni lavoratore privato, alberga prepotentemente nei tempi bui della nostra società influenzando il nostro futuro , d’altra parte la paura che “entra nelle nostre vite" che ci fa agire d’istinto, deve essere affrontata con il giusto orgoglio di essere umano senza accettare rinunce, pur che piccole siano.
Nello spettacolo 7 minuti tradotto in film da Michele Placido che sviluppa, dopo il successo della scorsa stagione al Piccolo teatro, un dialogo a “porte chiuse” dietro le quattro mura dell’azienda, viene data voce alle undici protagoniste, tutte femminili, dell’inquietante interrogativo di accettare o meno la nuova proposta della casa madre francese dell’azienda tessile di provincia in cui lavorano, volta a salvaguardare il posto e riassunta nella riduzione della pausa del turno per tutti i dipendenti di sette minuti.
La discussione, come nel dramma teatrale, è mediata dalla “decana” Ottavia Piccolo rappresentante sindacale che cerca di far ragionare le protagoniste quanto una scelta apparentemente di poco conto come la riduzione di appena sette minuti, possa nel lungo termine essere il segnale di una rinuncia sempre maggiore: quella della propria dignità di essere umano.
L’ora e mezza del film è scandita quindi dal labile confine tra ciò che è fuori, la stampa con la solita rivoluzione mediatica dell’ennesimo “piano di rinnovamento aziendale” e il dramma vissuto all’interno dalle undici donne con discussioni che portano a cambiare continuamente il risultato delle votazioni.
7 minuti è un film corale, spaccato rappresentativo della società contemporanea al femminile. E’ un film purtroppo “didascalico” che troppo programmaticamente percorre i binari di una nota tragedia lavorativa, finendo per lasciar presagire quella guerra tra i poveri in cui i potenti sono soliti sguazzare.
E’ un film coraggioso che non si fa scudo nella disperazione delle operaie dalle riuscite interpretazioni (tra cui spicca una rossa Mannoia al suo esordio convincente al cinema e una brava Violante Placido sulla sedia a rotelle col suo dramma nascosto dell’incidente sul lavoro), di mettere alla luce il grave contesto economico e i compromessi cui si devono adattare cuori semplici con figli a carico che altro non chiedono che lavorare.
Amaro e a tratti struggente, 7 minuti cerca di superare una lotta sindacale paralizzata dietro strette di mano conniventi con i grandi dirigenti, ponendo l’accento sulla riflessione sociale delle dirette interessate, sulle loro discussioni, sui loro dubbi e incomprensioni, accentuando, in senso lato, il valore del dialogo civile e comune, la forza del gruppo,come unico collante per superare quella paura “che entra nelle nostre vite” e che, in quanto tale, può anche (e auspicabilmente deve) uscire, perché no.
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valterchiappa
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martedì 6 giugno 2017
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l'importanza di riflettere
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Una storica industria tessile viene rilevata da una multinazionale francese. Le operaie tremano per il loro futuro. Un consiglio di fabbrica composto da 11 donne è chiamato a valutare la proposta della nuova proprietà, che arriva, sorprendente. L’attività continua, il posto di lavoro è salvo, tranne una richiesta, così irrisoria da sembrare uno scherzo: rinunciare a 7 minuti della pausa pranzo. La firma sembra una formalità. Ma Bianca, la rappresentante più anziana (Ottavia Piccolo) invita le colleghe a riflettere attentamente.
Cosa siamo disposti a fare per lavorare? Intorno a questa domanda ruota tutta la vicenda di “7 minuti”, consumata nello svolgersi drammatico di una discussione a porte chiuse.
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Una storica industria tessile viene rilevata da una multinazionale francese. Le operaie tremano per il loro futuro. Un consiglio di fabbrica composto da 11 donne è chiamato a valutare la proposta della nuova proprietà, che arriva, sorprendente. L’attività continua, il posto di lavoro è salvo, tranne una richiesta, così irrisoria da sembrare uno scherzo: rinunciare a 7 minuti della pausa pranzo. La firma sembra una formalità. Ma Bianca, la rappresentante più anziana (Ottavia Piccolo) invita le colleghe a riflettere attentamente.
Cosa siamo disposti a fare per lavorare? Intorno a questa domanda ruota tutta la vicenda di “7 minuti”, consumata nello svolgersi drammatico di una discussione a porte chiuse.
Tratto da una piéce teatrale di Stefano Massini, sceneggiatore assieme al regista Michele Placido, “7 minuti” si ispira alla feroce battaglia sindacale realmente combattuta dalle maestranze di una fabbrica di Yssingeaux, in Francia. Placido decide di trasportare la vicenda in una Latina dipinta con la memoria delle architetture fasciste e il grigio sconsolante dei capannoni dismessi, luogo simbolico di una popolazione diventata un coacervo di razze.
11 donne, che, con varie tipologie umane, sono chiamate a rappresentare l’intero corpo dei lavoratori: l’anziana dai valori incrollabili (Ottavia Piccolo) e la giovane che aspetta di comprendere la vita (Erika D’Ambrosio); la giovane straniera che sopporta in silenzio le molestie dal datore di lavoro (Clémence Poésy) e la donna che ha rinunciato alla giustizia per le sue gambe in cambio di un posto da ragioniera (Violante Placido); l’albanese, l’africana (Balkissa Maiga), la rumena (Sabine Timoteo): le immigrate in cerca di pane e dignità; la ragazza che trova sfogo nell’aggressività e nel pugilato (Ambra Angiolini) e quella che attende un bambino ed un futuro roseo (Cristiana Capotondi); la madre disillusa cui restano solo le sigarette (Fiorella Mannoia) e la popolana partenopea (Maria Nazionale), cui è invece sufficiente assicurarsi l’oggi.
Michele Placidoconferma la sua adesione all’impegno sociale. Al contrario di Ken Loach, che nel contemporaneo “Io, Daniel Blake” agisce sull’emotività più spinta per suscitare l’indignazione, il regista pugliese ritiene necessaria la riflessione e confeziona un film dove, in nome del suo mandato, è disposto a sacrificare la spettacolarità ed anche le sue attrici, vincolate ad un copione stringente (oltre che ad un trucco che ne mortifica il fascino). Ciò nondimeno alcune di loro sanno parzialmente svincolarsene, trovando accenti toccanti, chi utilizzando le rughe ed il mestiere consumato (Ottavia Piccolo, che è anche protagonista dello spettacolo teatrale), chi grazie ad un’interpretazione decisamente sopra le righe (in particolare la Timoteo e la Poésy, donne fragili e fermissime).
Del testo teatrale “7 minuti” conserva la rigorosa architettura: unità di tempo, luogo e d’azione, precisa caratterizzazione dei personaggi, il meccanismo ad orologeria di un ragionamento che si srotola inesorabilmente dall’assurdo fino al verosimile.
Questa costruzione, solida e fortemente cerebrale, costituisce al contempo il punto di forza e la debolezza del film. Una evoluzione controllata e graduale del flusso logico, dialoghi che sembrano seguire una traccia rigidamente segnata, pause atte a creare sospensione, dinamiche che esplodono in funzione di una tesi da dimostrare. Tutto è nella penna dello sceneggiatore e il suo ferreo schema toglie spazio all’emozione.
Ma forse è proprio questa la volontà di Massini: invitare a riflettere, la frase che Bianca ripete ossessivamente alle sue colleghe. È necessario affrancarsi da ogni tipo di trasporto pulsionale, compresi persino quelli dettato dai morsi della fame, dalle richieste dei figli, dalla lecita ambizione ad una serenità minima, per poter comprendere le logiche perverse che, magari impercettibilmente, stritolano quotidianamente i più deboli, li dividono perché non si uniscano, convogliano le loro frustrazioni verso ideali distorti (il razzismo in primis). Cosa siamo disposti a fare per lavorare? Tutto, dice Greta, la pugile, spaccando una bottiglia. E invece è proprio lì che bisogna fermarsi, tirare un respiro.
Tempi difficili. Placido e Massini ci esortano: la lotta non solo operaia, ma di ogni lavoratore non deve morire. E ci ammoniscono: pensare, pensare, pensare. E capire. 7 minuti possono sembrare niente, ma sono vita che si dona e dignità che si perde. Giorno dopo giorno, 7 minuti alla volta.
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maurizio meres
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giovedì 10 novembre 2016
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il dramma dei più deboli
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Questo film rappresenta quello è diventato ai giorni nostri il lavoro,una lotta continua per la sopravvivenza dell'essere,lo schiavismo camuffato da parole rassicuranti e sorrisetti,il voler dividere l'unita dei lavoratori al solo scopo di creare confusione e sospetti,ogni concetto di dignità tende ad essere cancellato,decidere che cosa? Il nulla.
I sette minuti che nel film rappresentano forse il futuro non sono altro che una tuffa,economicamente utili per l'azienda,ma deprimenti per il lavoratore,mangiare in otto minuti invece che di quindici,purtroppo è verità che non tutti sanno che esiste nel mondo del lavoro,ma qui il discorso diventerebbe talmente complesso,da coinvolgere anche il concetto stesso della vita,e di porsi una domanda alla coscienza di ognuno,conoscere lo scopo della vita.
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Questo film rappresenta quello è diventato ai giorni nostri il lavoro,una lotta continua per la sopravvivenza dell'essere,lo schiavismo camuffato da parole rassicuranti e sorrisetti,il voler dividere l'unita dei lavoratori al solo scopo di creare confusione e sospetti,ogni concetto di dignità tende ad essere cancellato,decidere che cosa? Il nulla.
I sette minuti che nel film rappresentano forse il futuro non sono altro che una tuffa,economicamente utili per l'azienda,ma deprimenti per il lavoratore,mangiare in otto minuti invece che di quindici,purtroppo è verità che non tutti sanno che esiste nel mondo del lavoro,ma qui il discorso diventerebbe talmente complesso,da coinvolgere anche il concetto stesso della vita,e di porsi una domanda alla coscienza di ognuno,conoscere lo scopo della vita.....
Placido come suo solito coglie ogni attimo di sofferenza attraverso una realtà attuale mettendo a nudo i problemi esistenziale di ogni personaggio,senza lasciarsi andare in pietosi vittimismi,ma semplicemente con l'assoluta sincerità di ogni personaggio,messa a nudo da un confronto dove ognuno rappresenta non solo se stesso.
Ottima la scelta multietnica delle operaie,e la scelta di dare alla più giovane la responsabilità dell'ultimo voto,segno di continuità e soprattutto di un futuro migliore.
Attori tutti senza distinzione bravissimi,in una ambientazione quasi teatrale,ma non poteva essere diverso,la loro recitazione è stata perfetta senza sovrapposizioni,undici donne che discutono non è poco,con in cabina di regia per dettare i tempi un Ottavia Piccolo teatrale e si vede,ma i drammi e questo era,anzi è un dramma di vita la teatralità diventa fondamentale.
Film da vedere anche se la sua programmazione non avrà un duraturo seguito nelle sale cinematografiche,come del resto quasi tutti i film verità.
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