stefanosessa
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venerdì 23 maggio 2014
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fregatene del pubblico, david!
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Nota preliminare 1. Votazione volutamente esagerata al rialzo, al fine di compensare le altre votazioni assurdamente esagerate al ribasso.
Nota preliminare 2. Il recensore ufficiale di Mymovies (Gabriele Niola) deve essersi appisolato durante il film.
''La sua famiglia è formata da un padre psicologo dai metodi poco ortodossi e da una madre anch'essa attrice ma con poca fortuna, figlia a sua volta di una nota stella del cinema che forse dovrà interpretare nel film biografico a lei dedicato.'' La trama del film è molto semplice, eppure il succitato recensore ha capito che Havana Segrand (Julian Moore) è la madre del ragazzino-star, mentre invece è solo una paziente del padre.
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Nota preliminare 1. Votazione volutamente esagerata al rialzo, al fine di compensare le altre votazioni assurdamente esagerate al ribasso.
Nota preliminare 2. Il recensore ufficiale di Mymovies (Gabriele Niola) deve essersi appisolato durante il film.
''La sua famiglia è formata da un padre psicologo dai metodi poco ortodossi e da una madre anch'essa attrice ma con poca fortuna, figlia a sua volta di una nota stella del cinema che forse dovrà interpretare nel film biografico a lei dedicato.'' La trama del film è molto semplice, eppure il succitato recensore ha capito che Havana Segrand (Julian Moore) è la madre del ragazzino-star, mentre invece è solo una paziente del padre. Equivocare l'inequivocabile sembra impossibile, e invece no.
Cronenberg andrebbe apprezzato almeno per un motivo : se ne frega del pubblico (coraggio sempre più raro da trovare ai giorni nostri). Lo fa in un modo molto semplice: impedisce al pubblico il rispecchiamento nei personaggi mettendo sullo schermo situazioni lontane dal quotidiano, che nella loro quasi assurda straordinarietà hanno, però, la capacità di dire molto (indirettamente) sulla realtà dei nostri tempi. E' un regista/autore che sa ancora essere contemporaneo, cioè capace di registrare le malattie e le mutazioni psico-fisiche della società, dal didentro di quest'ultima. Chi potrebbe mai rispecchiarsi nei personaggi di Crash, o di Videodrome, o di Cosmopolis? Nessuno, eppure sono pelllicole che parlano di noi e del nostro mondo. Negando al pubblico il rispecchiamento, viene meno anche la possibilità di qualsiasi emozione empatica. I suoi film sono freddi, glaciali. Danno altri tipi di stimoli, visivi e psicopatologici, che si impongono sulla pelle dello spettatore come punture di spillo. Spiacevoli aghi sottocutanei. Le sue opere devono essere assimilate, metabolizzate: solo dopo si può provare a dire qualcosa su di esse.
Maps to the stars è popolato di personaggi devastati, ma pieni di soldi. Fanno soldi anche mentre cacano (non credo che sia casuale che Cronenberg ci faccia assistere in diretta alla defecatio di una star
hollywoodiana, con tanto di contorno aerofago). Lo pseudo-psicologo, la baby star milionaria, l'attrice stagionata ma ancora in forma (milf, il termine è citato anche nel film) hanno in comune due cose: sanno cosa sia l'incesto perchè l'hanno vissuto; il loro Io si è talmente dilatato da aver assorbito tutto il mondo. Sono loro il mondo: esiste solo la loro carriera, il loro successo, la loro reputazione. Se un bambino deve morire o se bisogna rinnegare una figlia pentita per favorire la propria ascesa non c'è problema, che ben venga. Hollywood è il nuovo Olimpo, e i suoi divi le nuove divinità. Gli dei greci sapevano cosa fosse la sofferenza, loro anche. E giù con vagonate di Xanax e affini. Hollywood è morta e continua a produrre morte. Tutto il film è un necrologio di quel mondo? Forse. L'unico a salvarsi è un autista, che vorrebbe farne parte ma non ci è ancora entrato davvero.E' per questo che si salva? Forse.
Poche attenzioni alle amate questioni carnali e massima concentrazione sul disgregarsi di personalità accecate dalla voglia di eternarsi. Problemi che non affligono solo Hollywood, evidentemente. Non siamo forse, noi occidentali, ossessionati dal successo, che dovrebbe lasciare qualcosa di noi ai posteri? Perchè la realtà ci sembra pienamente vera solo se passa in tv o sul grande schermo? Tra le tante cose, questa pellicola sembra interrogarsi anche su questo.
La costruzione del film è mirabile: una prima parte dai toni (tristemente) comici, alcune scene grottesche. Ma già si annusa l'abisso, una violenza latente e sotterranea che non tarderà ad esplodere. Ultima parte di pura devastante distruzione. La tragedia ineluttabile. Nessuna salvezza, se non la morte.
Come in altri film del regista si percepisce un senso di indeterminatezza, un residuo di non-spiegato o semplicempente di inspiegabile. D'altronde, l'abisso psichico non può essere illuminato completamente ed è difficile tematizzarlo proprio per questo. Pochi riescono a farlo come Cronenberg. Non resta che augurargli una vita lunga.
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filippo catani
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lunedì 26 maggio 2014
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una straordinaria moore per un film senza mordente
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Una famiglia americana vive a modo suo il grande sogno del successo. Il padre è un telemotivatore di successo mentre il figlio è l'indiscussa star di un telefilm per ragazzi. La madre fa da agente al figlio. I problemi vengono dalla figlia che soffre di disturbi della personalità e che un giorno viene assunta come "assistente" di una star ormai sul viale del tramonto.
Cronemberg dopo la feroce critica all'egoismo e al capitalismo finanziario di Wall Street in Cosmopolis, passa ora a demolire la finzione e le ipocrisie che permeano Hollywood e tutto ciò che gli ruota intorno. Tredicenni con contratti milionari ma già sul viale della depressione, dell'alcol e delle droghe, donne senza peso e senza identità, concorrenza spietata e senza scrupoli finanche ad esultare per la morte del figlio piccolo di un'attrice che lascerà così libera una parte.
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Una famiglia americana vive a modo suo il grande sogno del successo. Il padre è un telemotivatore di successo mentre il figlio è l'indiscussa star di un telefilm per ragazzi. La madre fa da agente al figlio. I problemi vengono dalla figlia che soffre di disturbi della personalità e che un giorno viene assunta come "assistente" di una star ormai sul viale del tramonto.
Cronemberg dopo la feroce critica all'egoismo e al capitalismo finanziario di Wall Street in Cosmopolis, passa ora a demolire la finzione e le ipocrisie che permeano Hollywood e tutto ciò che gli ruota intorno. Tredicenni con contratti milionari ma già sul viale della depressione, dell'alcol e delle droghe, donne senza peso e senza identità, concorrenza spietata e senza scrupoli finanche ad esultare per la morte del figlio piccolo di un'attrice che lascerà così libera una parte. Arriviamo così alla regina assoluta di questo film e cioè una Juliene Moore straordinaria nel vestire i panni dell'attrice sul viale del tramonto completamente distaccata dalla realtà e che vorrebbe interpretare ad ogni costo il ruolo di sua madre in un film. Ecco il fatto che a fronte di una lodevole intenzione e di una grande interpretazione, il resto risulta senza mordente. Parte del cast appare usato poco e male (Pattinson e Cusack potevano tranquillamente essere sostituiti da attori di secondo piano perchè alla fine appaiono poco e male specialmente nel caso del ruolo di Pattinson che sa di poco) e il film è senza mordente e si trascina un po' stancamente verso un finale un po' così quasi abbozzato. Sul tema dell'ipocrisia hollywoodiana è stato fatto sicuramente di meglio. Un'occasione persa per un film che spreca il capitale che aveva a disposizione e spesso è tenuto a galla dalla sola Moore.
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(di tom87)
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iuriv
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lunedì 31 agosto 2015
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senza potenza.
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Cronemberg non ama la frivolezza hollywoodiana e la vacuità del suo jet set. Così decide di ambientarci una storia fatta di disagio mentale, in cui i vari protagonisti appaiono sempre il lotta tra ciò che è e ciò che appare. Un racconto corale, nel quale ognuno dei personaggi ha il medesimo peso, pur non essendo pesante per niente.
Ne viene fuori un film difficile da sostenere, sia per la mancanza di appigli che per il ritmo, lento spesso in modo insostenibile. Sembra quasi che Cronemberg voli due metri sopra i personaggi: ha una chiara idea di cosa debbano trasmettere e la rende anche sullo schermo, ma non sembra mai in grado di afferrarli veramente.
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Cronemberg non ama la frivolezza hollywoodiana e la vacuità del suo jet set. Così decide di ambientarci una storia fatta di disagio mentale, in cui i vari protagonisti appaiono sempre il lotta tra ciò che è e ciò che appare. Un racconto corale, nel quale ognuno dei personaggi ha il medesimo peso, pur non essendo pesante per niente.
Ne viene fuori un film difficile da sostenere, sia per la mancanza di appigli che per il ritmo, lento spesso in modo insostenibile. Sembra quasi che Cronemberg voli due metri sopra i personaggi: ha una chiara idea di cosa debbano trasmettere e la rende anche sullo schermo, ma non sembra mai in grado di afferrarli veramente.
Che il canadese sia un regista difficile (almeno per me) è una verità. Per rimanere nel recente, anche Cosmopolis lo trovai un lavoro indigeribile durante la visione. Eppure quel film si impresse nella mia mente, dimostrando una potenza che trova pochi eguali. Qui invece tutto sfugge via.
Manca qualcosa all'amalgama di Cronemberg per funzionare. Le immagini forti, che dovrebbero restare nella memoria, in realtà scivolano nell'anonimato di un film che non riesce mai a catturare. A poco valgono le splendide interpretazioni di Moore, Wasikowska e Cusack. Semplicemente i loro personaggi non comunicano nulla.
La scelta di portare a limiti così estremi la disumanizzazione dei protagonisti, troppo impegnati su se stessi per avere la possibilità di empatizzare con chi li guarda, non paga dal punto di vista della forza. Ma ancor di più, è infelice l'idea di renderli tutti, alla fine, uguali.
Certo, il regista prova a calpestare forte il tasto della degenerazione culturale contemporanea, mostrando la distruzione dell'attore tredicenne, oppure la completa insensibilità dell'attrice con il sogno di recitare nel ruolo che fu della madre. Eppure il disturbo mentale, che sembra caratterizzare tutti i protagonisti principali, finisce per diventare una scusa per i loro comportamenti. Risultato sicuramente involontario, ma che limita di molto la forza del dito accusatorio che Cronemberg scaglia sulla collina delle illusioni.
Mancando di caratteri forti, quindi, si finisce per non provare interesse verso i personaggi di una vicenda che, arrivando al succo, si riduce al dramma famigliare di un nucleo malato e completamente separato dalla realtà.
Un film indubbiamente privo di compromessi, come Cronemberg spesso ci ha abituato. Ma certamente non un lavoro per tutti (sicuramente non per me).
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jacopo b98
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domenica 25 maggio 2014
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un film recitato benissimo, ma eccessivo!
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A Los Angeles arriva Agatha (Wasikowska) e con lei arriva la fine di una famiglia: i Weiss (Cusack e Williams) avevano cercato per anni di dimenticare la loro figlia piromane e di portare al successo il loro figlioletto (Bird), ma il passato riemerge, e la sua ripercussione sul presente sarà tragica. Al quadretto di aggiunge anche Havana (Moore), attrice fallita, nevrotica e completamente folle presso cui Agatha trova lavoro come domestica… Era il film che Cronenberg covava nel cassetto da anni e ora, nel 2014, ha potuto finalmente filmare la sceneggiatura (risalente al 2007) di Bruce Wagner. Presentato in concorso al recente Festival di Cannes è stato accolto da poche critiche buone, molte perplesse, e tantissime pessime, delle vere stroncature! Ora, Maps to the Stars non è il miglior film di Cronenberg, ma sinceramente il regista ha già anche fatto di peggio, e anzi: questo è un film nel complesso più che soddisfacente! È una nevrotica farsa hollywoodiana in cui la drammaticità estrema del film deborda in tutti i punti.
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A Los Angeles arriva Agatha (Wasikowska) e con lei arriva la fine di una famiglia: i Weiss (Cusack e Williams) avevano cercato per anni di dimenticare la loro figlia piromane e di portare al successo il loro figlioletto (Bird), ma il passato riemerge, e la sua ripercussione sul presente sarà tragica. Al quadretto di aggiunge anche Havana (Moore), attrice fallita, nevrotica e completamente folle presso cui Agatha trova lavoro come domestica… Era il film che Cronenberg covava nel cassetto da anni e ora, nel 2014, ha potuto finalmente filmare la sceneggiatura (risalente al 2007) di Bruce Wagner. Presentato in concorso al recente Festival di Cannes è stato accolto da poche critiche buone, molte perplesse, e tantissime pessime, delle vere stroncature! Ora, Maps to the Stars non è il miglior film di Cronenberg, ma sinceramente il regista ha già anche fatto di peggio, e anzi: questo è un film nel complesso più che soddisfacente! È una nevrotica farsa hollywoodiana in cui la drammaticità estrema del film deborda in tutti i punti. È un film violento, terrificante e, ammettiamolo, talvolta anche un po’ eccessivamente sadico. Tuttavia è un film sostanzialmente fedele ai propri scopi, coerente e molto cronenberghiano (i fan del regista comunque Maps to the Stars lo dovrebbero apprezzare: ci sono alcuni tra i vertici più altri delle “manie” di Cronenberg), quindi riuscito. Oltre al fatto che deve molto ai suoi interpreti, tutti bravissimi: Julianne Moore, grazie anche al trucco straordinario, è un’attrice follemente nevrotica e antipatica eccezionale; il premio alla miglior attrice conferitole a Cannes non poteva essere più meritato; Mia Wasikowska continua nel suo itinerario autoriale che da Burton l’ha portata a Cronenberg, passando per Fukunaga e Park Chan Wook, regalandoci un’interpretazione spontanea e terrificante; John Cusack non è mai stato così carogna e la Williams è di una sofferenza notevole! Anche il giovane esordiente Bird se la cava. Il risultato è quindi un film formalmente perfetto (la fotografia è sempre perfetta, le musiche di H. Shore sempre straordinariamente efficaci), anche se quell’effetto speciale che chi ha visto il film ben ricorderà ancora non mi va giù, interpretato benissimo. Per il resto resta un’opera in fondo già vista, che Cronenberg reinventa a modo suo, eccedendo in sadismo e fantasmi (letteralmente!).
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fabiofeli
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domenica 25 maggio 2014
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lacrime e sangue di stelle
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Agatha (Mia Wasikowska) e Benjamin (Evan Bird), fratello e sorella, vivono lontani, ma sono legati da una orribile storia: Agatha ha rischiato di uccidere il fratello al termine di un gioco infantile di sapore incestuoso, probabilmente originato dal vero incesto dei loro genitori, a loro volta inconsapevoli fratello e sorella. Agatha è cresciuta in Florida, Benjamin a Hollywood, all’altro capo degli USA: entrambi portano i segni del dramma; la ragazza porta sul corpo i segni delle ustioni dell’incendio che stava per bruciare Benjamin.
Quando Agatha torna a Hollywood per chiedere perdono al fratello e ai genitori, Benjamin è già una stella di un emblematico serial televisivo: le cattive babysitter.
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Agatha (Mia Wasikowska) e Benjamin (Evan Bird), fratello e sorella, vivono lontani, ma sono legati da una orribile storia: Agatha ha rischiato di uccidere il fratello al termine di un gioco infantile di sapore incestuoso, probabilmente originato dal vero incesto dei loro genitori, a loro volta inconsapevoli fratello e sorella. Agatha è cresciuta in Florida, Benjamin a Hollywood, all’altro capo degli USA: entrambi portano i segni del dramma; la ragazza porta sul corpo i segni delle ustioni dell’incendio che stava per bruciare Benjamin.
Quando Agatha torna a Hollywood per chiedere perdono al fratello e ai genitori, Benjamin è già una stella di un emblematico serial televisivo: le cattive babysitter. La ragazza trova lavoro presso Havana (Julianne Moore), una sfiorente attrice che ha perso in un incendio la madre, una star al culmine della carriera cinematografica; Havana sogna di incarnare il personaggio della madre in un nuovo film ed è perseguitata da visioni del fantasma di costei.
Benjamin è un tredicenne divorato dallo stress e mantiene un precario equilibrio fisico e mentale, quasi fosse su una tavola di surf sull’immensa onda del successo. Lui e i suoi amici adolescenti sembrano le controfigure di adulti in un brutto film hollywoodiano: ragazzini che scimmiottano caricature di sesso e amore; Benjamin gioca alla roulette russa e si imbottisce di psicofarmaci, divenendo preda di traditrici allucinazioni.
I fili di storie di incendi, visioni ed ossessioni si intrecciano come in una macchina per cucire impazzita. Un classico “macchina-indietro” con ripresa dall’alto approda all’agognata pacificazione dei due fratelli.
Cronenberg confeziona un racconto alla Lynch, con il suo particolare stile: oscilla tra la favola nordica e la tragedia greca, sul filo delle poesie di Eluard, aggirandosi nella psiche umana, adulta e adolescenziale; descrive il vero e il falso del cinema.
Sceneggiatura, fotografia, montaggio e recitazione sono eccellenti.
Un film da non mancare.
Valutazione *** ½
FabioFeli
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flyanto
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giovedì 29 maggio 2014
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quanta nevrosi, per non dire pazzia, esiste ad hoo
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Film in cui si narra di svariati personaggi, per lo più abitanti ad Hollywood e strettamente legati al mondo dello spettacolo, le cui vicende si intrecciano ponendo a contatto gli uni con gli altri. Vi è un'attrice (Julianne Moore), ormai un poco ageé, figlia a sua volta di una stella del cinema passato ed ormai deceduta, che è altamente depressa e che tenta in ogni modo di essere scritturata per un certo ruolo in un film, vi è una coppia di coniugi di cui lui è un importante psicologo e lei, in pratica la manager del figlio adolescente, ormai stella del cinema dei giovani e con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, una strana ragazza deturpata nel volto ed in tutto il corpo (Mia Wasikowska) a causa di un grosso incendio che viene assunta come assistente personale dall'attrice depressa ed un giovane autista di limousine al servizio degli attori e con aspirazioni ovviamente altamente artistiche, ecc.
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Film in cui si narra di svariati personaggi, per lo più abitanti ad Hollywood e strettamente legati al mondo dello spettacolo, le cui vicende si intrecciano ponendo a contatto gli uni con gli altri. Vi è un'attrice (Julianne Moore), ormai un poco ageé, figlia a sua volta di una stella del cinema passato ed ormai deceduta, che è altamente depressa e che tenta in ogni modo di essere scritturata per un certo ruolo in un film, vi è una coppia di coniugi di cui lui è un importante psicologo e lei, in pratica la manager del figlio adolescente, ormai stella del cinema dei giovani e con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, una strana ragazza deturpata nel volto ed in tutto il corpo (Mia Wasikowska) a causa di un grosso incendio che viene assunta come assistente personale dall'attrice depressa ed un giovane autista di limousine al servizio degli attori e con aspirazioni ovviamente altamente artistiche, ecc...
Quest'ultima pellicola di David Cronenberg, ancora una volta, presenta una storia complicata e fortemente ambigua, dove le reazioni di qualche mente disturbata provoca enormi danni con conseguenze ancor peggiori, e che mette in relazione diversi personaggi tra loro che nel corso della vicenda riveleranno gli svariati legami o meno che li unisce gli uni agli altri. In quest'opera il regista, doppiando un pò Robert Altman ne "I Protagonisti", presenta il mondo del cinema americano di Hollywood e lo star system intorno a cui ruotano i vari personaggi ed analizza questo mondo "a parte" mostrando in maniera esplicita le sue dure regole dettate principalmente dai budget finanziari e dagli indici di ascolto, le nevrosi e le manie di cui sono affetti i vari personaggi dello spettacolo, peraltro dalle alterne fortune, le ancora piccole "stars"che altro non sono che bambini od adolescenti cresciuti troppo in fretta, e moltissime altre assurdità che, conosciute più a fondo, non fanno certamente nascere nello spettatore il desiderio di appartenere a questo genere di mondo. Ma la storia e le situazioni che Cronenberg racconta sicuramente sono portate all'estremo e, per quanto tutto ciò possa realmente accadere nella vita quotidiana, ovviamente risultano, appunto degli eccessi che però al regista servono al fine di enfatizzare le tortuosità e le assurdità su cui talvolta si regola la vita degli esseri umani. Ed aggiungiamo che a Cronenberg, come sempre, piace stupire grandemente lo spettatore....
La pellicola in sè si rivela interessante ed avvincente man mano che la storia si dipana e sicuramente incuriosisce chi vi assiste per ciò che riguarda la genesi dei vari eventi, sebbene siano alcune volte facilmente deducibili da una certa logica, e pertanto il film sicuramente è indirizzato verso un sicuro successo.
Tutti gli attori, infine, risultano ampiamente rispondenti ai propri ruoli ma colei che senza alcun dubbio spicca su tutti è Julianne Moore che dona un ritratto di donna da sempre a contatto col successo, ormai però un pò in declino, non più giovane ed altamente nevrotica. e che le è giustamente valso il premio come migliore attrice al Festival del Cinema di Cannes.
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ely57
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giovedì 5 giugno 2014
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maps to the stars- system!
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Tre momenti per immagini ci rivelano tre livelli e tematiche diverse che il regista affronta:
1-Una società allucinogena
Il quadro-contesto sociale americano rappresentato ad esempio dalla scena in cui una giovane non protagonista ha comunque e sempre con se in borsetta una pasticca per "farsi all'occorrenza" ed aiuta,si fa per dire, il giovanissimo protagonista Benjamin forzato dal sistema hollywoodiano e dalla famiglia, ad essere una macchina di successo-soldi-contratti, Cronenberg denuncia ció nello sfacelo in cui vive chi lavora "per e nello " Stars System Hollywoodiano e ci dice che più in basso di cosí non puó più andare;
2-Lo squallore umano nello stars-system
La tigre ormai finita, rispetto allo stars-system hollywoodiano J.
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Tre momenti per immagini ci rivelano tre livelli e tematiche diverse che il regista affronta:
1-Una società allucinogena
Il quadro-contesto sociale americano rappresentato ad esempio dalla scena in cui una giovane non protagonista ha comunque e sempre con se in borsetta una pasticca per "farsi all'occorrenza" ed aiuta,si fa per dire, il giovanissimo protagonista Benjamin forzato dal sistema hollywoodiano e dalla famiglia, ad essere una macchina di successo-soldi-contratti, Cronenberg denuncia ció nello sfacelo in cui vive chi lavora "per e nello " Stars System Hollywoodiano e ci dice che più in basso di cosí non puó più andare;
2-Lo squallore umano nello stars-system
La tigre ormai finita, rispetto allo stars-system hollywoodiano J.Moore, viene esplicitata nella scena in cui seduce il ragazzo-autista che ha una relazione con la giovane deturpata protagonista la competizione femminile è l'ultima zampata dell'esperta attrice che distrutta dall'ambizione ha bisogno di azioni ciniche e viene immortalata mentre scende dall'auto, dopo il coito ottenuto, col boa di struzzo in mano e si asciuga la coscia e fa il paio con la scena della defecazione roboante della stessa, mentre dialoga con la sua assistente.
Inoltre con la anziana assistente peggio di due vipere gioiscono del tremendo destino di una collega che lascerà loro la parte desiderata in un trionfale cannibalismo assatanato di permanere famosi! Cronenberg ci rappresenta cosi come si viene ridotti dal tritacarne hollywoodiano, un vero squallore umano anzi disumano in quanto di umano c'è veramente poco ed è sicuramente per queste straordinarie e difficili interpretazioni che la Moore si guadagna la palma a Cannes per la miglior interpretazione femminile;
3-I disturbati-allucinati
Il "Dio è morto" Nietschiano è molto presente nel comportamento del padre e la madre dei due giovani protagonisti che non hanno nel passato e non vogliono fare nulla nel presente per la loro figliola gravemente disturbata forse distrutta dal loro segreto rapporto incestuoso. Quando si arriva a questi comportamenti non esiste più etica e morale tutto è finito e con un pó di lucidità l'unica salvezza è la morte sottesa nella scena finale.
L'uomo per Cronenberg-Nietsche non ce la puó fare!
Film di grande contemporaneità, formalmente da non perdere per perfezione della fotografia, delle interpretazioni e delle ben descritte allucinazioni.
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the thin red line
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venerdì 23 gennaio 2015
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stenta a decollare
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Siamo nel patinato universo di Hollywood: Benji è un giovanissimo attore di film comici, sbruffone e antipatico, si comporta da adulto come se fosse un attore già navigato. Una cliente di suo padre è un attrice sfortunata e piena di paturnie con il solo scopo di emulare l'odiata madre nel mondo del cinema, Agatha è una giovane bella ma sfigurata da varie bruciature che troverà lavoro nella sua bella casa. I loro destini si intrecceranno in una serie di drammatici eventi.
Ciò che salta immediatamente all'occhio in Maps to the stars di David Cronenbergh è la volontà del regista di mostrarci i vari caratteri psicologici dei protagonisti, immersi nella ricchezza e nell'agio hollywoodiano ma mai soddisfatti e constantemente alla ricerca di una svolta nelle loro carriere.
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Siamo nel patinato universo di Hollywood: Benji è un giovanissimo attore di film comici, sbruffone e antipatico, si comporta da adulto come se fosse un attore già navigato. Una cliente di suo padre è un attrice sfortunata e piena di paturnie con il solo scopo di emulare l'odiata madre nel mondo del cinema, Agatha è una giovane bella ma sfigurata da varie bruciature che troverà lavoro nella sua bella casa. I loro destini si intrecceranno in una serie di drammatici eventi.
Ciò che salta immediatamente all'occhio in Maps to the stars di David Cronenbergh è la volontà del regista di mostrarci i vari caratteri psicologici dei protagonisti, immersi nella ricchezza e nell'agio hollywoodiano ma mai soddisfatti e constantemente alla ricerca di una svolta nelle loro carriere. Gli stati depressivi di chi nella vita ha avuto tutto diventano l'epicentro di un film gradevole che stenta però a decollare definitivamente, nonostante il susseguirsi di fatti drammatici fino all'epico finale autodistruttivo. Cronenberg dipinge una vita che non conta nulla senza la carriera ma lo fa usando personaggi apatici di fronte a eventi incredibilmente drammatici dimostrando di non riuscire a trasmettere ciò che voleva con la consueta potenza dei suoi precedenti lavori. Il delirio della mente umana e le sue conseguenze sono da sempre il cavallo di battaglia del regista de "La Mosca" ma nei suoi ultimi lavori sembra aver perso questa attitudine nonostante la costante presenza dell'autodistruttività fisica. Con un cast eccellente dove primeggia una ritrovata Julianne Moore candidata all'oscar (ma non per questo film!) e una sceneggiatura che avrebbe potuto essere grandiosa Cronenberg si lascia invece inebriare dall'apatia dei suoi protagonisti senza riuscire a trovare il bandolo della matassa e lasciando un'opera incompiuta nelle mani di spettatori per lo più delusi non tanto dal finale quanto dallo svolgimento stesso della pellicola. Consapevoli comunque del genio dell'autore canadese ci aspettiamo una pronta rinascita in terreni magari più fertili.
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fabolousausterlitz
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martedì 4 aprile 2017
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"there's no business like show business"
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Di tanto in tanto (ma dall’ultima volta sono passati alcuni anni) decido di sottopormi alla visione di un film di Cronenberg. La scelta del verbo non è casuale, perché i suoi film non sono mai un’esperienza propriamente piacevole, indolore. Non mi riferisco al dato artistico/tecnico, che non è in discussione, ma all’impatto emotivo, a quella fitta trama di sensazioni fisiche che le sue opere mi provocano: inquietudine, disagio, in alcuni casi ripugnanza; gli aggettivi che più si addicono al suo cinema sono malsano e disturbante. Ciò nonostante ho deciso di vedere ‘Maps to the stars’, presentato in concorso a Cannes 2014. E’ un film corale, incentrato sulle vicende di una famiglia californiana dello star system hollywoodiano: figlio adolescente attore, spocchioso e sprezzante, che ha già collezionato contratti a sei zeri e problemi di alcol e droga; madre sull’orlo di una crisi di nervi che ne segue la carriera a tempo pieno, e ne patisce le intemperanze; padre psicologo/terapista televisivo, egocentrico e anaffettivo (interpretato da John Cusack), e sorella appena uscita dall’ospedale psichiatrico (Mia Wasikowska).
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Di tanto in tanto (ma dall’ultima volta sono passati alcuni anni) decido di sottopormi alla visione di un film di Cronenberg. La scelta del verbo non è casuale, perché i suoi film non sono mai un’esperienza propriamente piacevole, indolore. Non mi riferisco al dato artistico/tecnico, che non è in discussione, ma all’impatto emotivo, a quella fitta trama di sensazioni fisiche che le sue opere mi provocano: inquietudine, disagio, in alcuni casi ripugnanza; gli aggettivi che più si addicono al suo cinema sono malsano e disturbante. Ciò nonostante ho deciso di vedere ‘Maps to the stars’, presentato in concorso a Cannes 2014. E’ un film corale, incentrato sulle vicende di una famiglia californiana dello star system hollywoodiano: figlio adolescente attore, spocchioso e sprezzante, che ha già collezionato contratti a sei zeri e problemi di alcol e droga; madre sull’orlo di una crisi di nervi che ne segue la carriera a tempo pieno, e ne patisce le intemperanze; padre psicologo/terapista televisivo, egocentrico e anaffettivo (interpretato da John Cusack), e sorella appena uscita dall’ospedale psichiatrico (Mia Wasikowska). Intorno a loro, a far da controcanto, ci sono: un’attrice sul viale del tramonto, dipendente dai farmaci (un’intensa Julianne Moore, giustamente premiata a Cannes per la sua ottima prova); un giovane aspirante attore/scrittore (Robert Pattinson), che si guadagna da vivere come autista di limousine.
There’s no business like show business cantava Ethel Merman nell’omonimo film del 1954 (in Italia “Follie dell’anno”): anche questa è la storia di una famiglia di artisti, marito, moglie e tre figli che, divenuti famosi insieme, si separano per alcuni anni per poi ritrovarsi ancora più uniti e affiatati. Per una sorta d’inconscio contrappasso, questa canzone mi ronzava in testa mentre guardavo Maps to the stars, ma l’ultima fatica del cineasta canadese è quanto di più lontano possa esserci dal quadretto idilliaco del musical anni cinquanta; è un impietoso e fosco ritratto del mondo dello spettacolo, che ne evidenzia i vizi e la vacuità, la totale assenza di valori morali e l’inaridimento delle relazioni interpersonali, anche familiari, dominate solo da opportunismo e convenienza. A Cronenberg il mondo dello showbiz non è mai piaciuto e in questa pellicola lo dice apertamente: nessuno dei suoi personaggi si salva e a nessuno è concesso di fare ammenda per i propri errori. Neanche gli adolescenti, i figli, ce la fanno a rimanere incontaminati, o a riscattarsi, ma finiscono invece col pagare in prima persona le colpe degli adulti. Ed è per questo che ‘Maps to the stars’ è un film disperato, nel vero senso della parola: non lascia alla speranza (ed allo spettatore) neanche uno spiraglio.
Cronenberg suscita sempre reazioni contrastanti ed estreme, ma il film merita comunque due ore del nostro tempo, come ogni pellicola che ti lascia spunti di riflessione anche il giorno dopo averlo visto.
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vales.
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lunedì 5 gennaio 2015
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amaro e spietato ritratto di hollywood
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Cronenberg ci regala l'ennesima provocazione: denunciare la corruzione e il marcio che si celano dietro il patinato mondo hollywoodiano. Sicuramente l'idea non è inedita nè troppo originale, ma la storia intriga per il connubio con il thriller e i dialoghi taglienti. Diretto, amaro, spietato. Memorabile il finale e l'interpretazione (giustamente premiata a Cannes) di Julianne Moore.
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