The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca |
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Un film di Lee Daniels.
Con Forest Whitaker, Oprah Winfrey, Mariah Carey, John Cusack, Jane Fonda.
continua»
Titolo originale Lee Daniels' The Butler.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 132 min.
- USA 2013.
- Videa
uscita mercoledì 1 gennaio 2014.
MYMONETRO
The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca
valutazione media:
2,94
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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The butlerdi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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giovedì 16 gennaio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Affermare che la montagna ha partorito il topolino potrà essere banale, ma il modo di dire viene subito in mente dopo aver assistito a questa fiera delle occasioni sprecate. Il racconto della vita di Cecil Gaines, dalle piantagioni di cotone degli anni Venti dove la schiavitù non era ancora finita all’elezione di un presidente nero, era sulla carta interessante perché consente di raccontare la difficile strada verso la parità della gente di colore attraverso gli occhi di un uomo che passa la maggior parte del suo tempo fra i bianchi, anzi nel cuore stesso del loro potere, la Casa Bianca. Cresciuto sottomesso e con una professione che richiede discrezione e invisibilità, Cecil si fa scorrere addosso la vicenda storica della ribellione della sua gente nella quale si infila invece con convinzione il figlio Louis che ne paga le conseguenze nei confronti della legge (botte e prigione) e del padre, che gli sarà per lungo tempo lontano. Ispirato a una figura realmente esistita, il protagonista è una brava persona che lavora sodo ed è attaccata alla famiglia, ma che fa carriera sottomettendosi e non ribellandosi per poi accorgersi troppo tardi che nella sua vità ci poteva essere spazio per qualcosa di più. Ecco, da tutto questo po’ po’ di spunti, il regista Lee Daniels e lo sceneggiatore Danny Strong ricavano un film quasi del tutto piatto dal punto di vista emozionale (la cosa più appassionante è, di gran lunga, il trailer) per colpa anche di una struttura troppo frammentata fatta di brevi momenti che qua e là tendono a ripetersi, come nel rapporto tra Gaines e la moglie Gloria. Non sempre è efficace neppure lo sfruttamento dei momenti topici che si intrecciano alla vita di Cecil: gli assassinii di Kennedy e Martin Luther King sono poco più che accennati e l’esistenza di un secondo figlio, Charlie, sembra servire solo a indicare che, ah sì, c’è stata anche la guerra del Vietnam. Le amnesie (clamorosa l’assenza di Malcolm X, citato di passaggio in una battuta) e le distorsioni storiche del cinema statunitense non hanno mai impedito di fare dei bei film, ma qui la visione è abbastanza superficiale da far sì che, ad esempio, i presidenti sembrino un po’ tutti uguali: apprezzabile la scelta di non ricercare la somiglianza a tutti i costi, ma restano figure bidimensionali con la sola eccezione del Nixon un po’ troppo affezionato alla bottiglia di John Cusack. L’attore è solo uno dei tanti che appaiono solo pochi minuti in un cast davvero esagerato che va da Robin Williams (Eisenowher) ad Alan Rickman (Reagan) e da Vanessa Redgrave (la padrona del piccolo Cecil) a Jane Fonda (probabilmente la migliore nell’impersonare un’energica Nancy Reagan), mentre un po’ più di spazio lo hanno Cuba Gooding Jr e Lenny Kravitz nei panni degli amici e colleghi del protagonista. La prestazioni degli attori è, comunque, la nota più positiva del film e questo vale soprattutto per i ruoli principali. Un dimagrito Forest Whitaker dimostra anche con Cecil Gaines di essere un interprete assai sottovalutato e, accanto a lui, Oprah Winfrey dà vita a Gloria con sorprendente gusto e sensibilità, costretta prima a sopportare le assenze del marito e poi a cercare di mediare tra lui e il figlio (David Oyelowo). Sono loro che, dando profondità ai rapporti interfamiliari igrazie a scene in cui anche la scrittura è più efficace, attirano comunque l’attenzione dello spettatore: certo, se il film terminasse con la presa di coscienza di Cecil sarebbe meglio, ma la pleonastica coda obamiana (che pure odora un po’ di propaganda) ha un suo senso nella chiusura di una fase storica in cui sono vissute e si sono confrontate due anime all’interno della comunità nera degli Stati Uniti. Forse un giorno qualcuno ci racconterà tale confronto con più efficacia, ora possiamo accontentarci di questo elegante (buona la fotografia di Andrew Dunn, incalzante la partitura di Rodrigo Leão) ma un po’ prolisso bigino
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