Morte a Venezia |
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Un film di Luchino Visconti.
Con Dirk Bogarde, Romolo Valli, Mark Burns, Nora Ricci, Marisa Berenson.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 120 min.
- Italia 1971.
MYMONETRO
Morte a Venezia
valutazione media:
4,21
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Morte a Veneziadi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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lunedì 11 aprile 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Mettere in immagini un libro come quello di Thomas Mann, benchè fosse uno dei pallini del regista e pur perdendosi l’articolo, è un’impresa non semplice, visto che si tratta di un testo in cui le sensazioni e i moti dell’animo la fanno da assoluti padroni. L’ambientazione decadente e, soprattutto, l’analisi del rapporto fra arte e bellezza ovvero la meditazione sullo scaturire di quest’ultima solo dalla purezza o meno, erano però troppo invitanti per Visconti che fa della pellicola il centro della ‘trilogia germanica’ affinandovi ben precise scelte estetiche in un’atmosfera che varca sovente il confine della morbosità. La trama è quella, conosciuta, del maturo Aschenbach che si innamora senza speranza dell’adolescente Tadzio (Björn Andrésen), bello e dalle inequivocabili tendenze omoerotiche, fino a superare i limiti del ridicolo mentre Venezia, in modo lento ma inesorabile, diventa preda dei miasmi di una non specificata epidemia. Il protagonista non è uno scrittore, come nel romanzo, ma un musicista la cui figura riecheggia il compositore Gustav Mahler le cui sinfonie n. 3 e 5 costituiscono la colonna sonora contribuendo alla cupezza complessiva: di tanto in tanto, le sue discussioni sulla bellezza con l’amico Alfred (Walter Burns) interrompono in flashback, unendosi ad alcuni quadri familiari in cui Marisa Berenson esordisce nel ruolo della moglie, il progressivo naufragare in laguna che costituisce il fulcro narrativo e la parte cinematograficamente più significativa dell’opera. La sceneggiatura, scritta dal regista assieme a Nicola Badalucco, si snoda in maggioranza attraverso lunghe sequenze in pratica mute, dove sono gli sguardi a dominare nei campi stretti e le piccole figure a vagare in quelli lunghi, tutti quanti testimoni di una sorta di invincibile incomunicabilità, accresciuta dal polacco in cui si esprime la famiglia di Tadzio (sulla quale domina una davvero mirabile Silvana Mangano), e dal poco valore della maggior numero delle parole che vengono dette. False suonano infatti l’untuosità del maitre e la piaggeria del barbiere, interpretati con bravura da Romolo Valli e Franco Fabrizi, e ancor di più risulta esserlo tutta la sequenza dei musicanti. La somma di tanti fattori non proprio immediati a cui si aggiunge un ritmo per forza di cose assai rallentato, fa sì che l’insieme non sia certo di facile fruibilità, ma ripaga lo spettatore che voglia farsene coinvolgere malgrado il vago senso di malessere che se ne diffonde: a tale scopo, aiutano l’accurata scelta delle inquadrature fotografate con colori caldi ma mai netti da Pasqualino De Santis e l’interpretazione di Dirk Bogarde, che per lunghi tratti sostiene da solo la vicenda nei panni di un personaggio sempre in precario equilibrio tra profonda seriosità e pietosa caricatura.
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