annalinagrasso
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sabato 26 marzo 2011
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il genio di un artista ossessionato dalla bellezza
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Morte a Venezia: molto probabilmente il film più importante di Visconti, vincitore a Cannes della Palma d’Oro nel 1971. Visconti, si sa, è un maestro nel trasformare un’opera letteraria in una straordinaria pellicola di successo; stavolta la fonte è appunto “morte a venezia” del tedesco Thomas Mann, solo che il protagonista del film non è uno scrittore ma un compositore, Gustav Aschenbach, anziano , fisicamente debilitato e spiritualmente irrequieto, in crisi artista ed intellettuale che nel 1910 si reca a Venezia per riposarsi. Qui incontra il giovane Tadzio, bellissimo ragazzo polacco dai lineamenti delicati, efebico,”un angelo della morte”e se ne “innamora”.
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Morte a Venezia: molto probabilmente il film più importante di Visconti, vincitore a Cannes della Palma d’Oro nel 1971. Visconti, si sa, è un maestro nel trasformare un’opera letteraria in una straordinaria pellicola di successo; stavolta la fonte è appunto “morte a venezia” del tedesco Thomas Mann, solo che il protagonista del film non è uno scrittore ma un compositore, Gustav Aschenbach, anziano , fisicamente debilitato e spiritualmente irrequieto, in crisi artista ed intellettuale che nel 1910 si reca a Venezia per riposarsi. Qui incontra il giovane Tadzio, bellissimo ragazzo polacco dai lineamenti delicati, efebico,”un angelo della morte”e se ne “innamora”.Un innamoramento che il musicista dapprima cercherà di reprimere, poi lo asseconda, provocando in lui una profonda crisi. Per il protagonista, Visconti si è ispirato alla vita del compositore Gustav Mahler e lo dimostrano i flashback con la moglie e la figlia e il fallimentare concerto tenutosi in Germania .
Il film rende perfettamente l’atmosfera descritta nel romanzo, cupa, decadente che avvolge la splendida Venezia, seppur in preda al colera; una Venezia che in sé il senso della morte come il protagonista che ancora nn ha preso coscienza di essere ormai un artista decadente, che si trova davanti a drammatici interrogativi ke vengono sublimati attraverso il confronto/scontro con il suo amico Alfred: la bellezza, lo spirito, la purezza, la malattia come condizione necessaria dell’essere artista, il sogno della giovinezza, la dignità umana e l’estrema difficoltà di unirla al concetto di arte e realtà, ecc…
Visconti mette insieme lo svolgersi dell’azione “presente” con una serie di fashback suggestivi funzionali ai fini della biografia del protagonista, e di forte riflessione filosofica/psicologica che sembrano andare di pari passo con l’evolversi della situazione presente, con il decadimento e l’avvicinarsi della morte di Aschenbach; contribuiscono a creare quel climax che rende il film,dal punto di vista della narrazione, mai noioso ed omogeneo, grazie anche all’uso della splendida musica e del tempo, l’ambiguità degli spazi.
Colpisce poi con quanto garbo e sensibilità il regista tratti il tema dell’omosessualità, con quanto rigore e asciuttezza registri il dissidio tra arte e realtà, i valori borghesi, denunciando come fa già Mann nel libro, quale prezzo si paga per il privilegio della diversità attraverso la sofferenza, l’alienazione,ma anche autocompiacimento, che porterà il compositore addirittura a truccarsi per sembrare più giovane agli occhi di Tadzio. Il giovane rappresenta concretamente quella ricerca della bellezza, innocenza, giovinezza,perfezione incompiuta che il senescente musicista ha sempre immaginato,ricercato e desiderato più come archetipo, come qualcosa di irreale e spirituale, mentre in quell’hotel gli si manifesta in atto, non è più qualcosa di potenziale. Inevitabilmente quindi, prendono largo campo anche le pulsioni, gli istinti che Aschenbach aveva sempre rifiutato, a differenza di Alfred,(emblematica la sua frase:”Sai a cosa conduce la strada maestra?Alla mediocrità”)considerandoli morbosi, negativi, distruttivi per la ricerca della purezza, della perfezione, dell’opera d’arte, ma ai quali non può sottrarsi. Sono una forza corrosiva e letale per lui che, già debilitato, con la peste che imperversa a Venezia(preludio alla prima guerra mondiale), il musicista muore sulla spiaggia mentre Tadzio, nell’acqua,dirigendosi in direzione del sole, sembra indicargli un punto indistinto all’orizzonte; finale lirico, commovente,triste, sublime: come si diceva prima, il prezzo da pagare per l’essere diversi, sregolati,lontani dalle convenzioni borghesi, dopo che l’uomo e l’artista sono diventati la stessa cosa, hanno toccato il fondo insieme.
Da menzionare la presenza di una austera e fascinosa Silvana Mangano nei panni della madre di Tadzio, il sempre bravo Romolo Valli nel ruolo di direttore dell’hotel;personaggi che fanno parte di quel mondo cosmopolita, gaio, attivo, osservante delle regole etiche ma grigio, falso, ipocrita, in contrasto con il mondo dell’arte di cui fa parte l’artista.
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teo '93
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venerdì 21 settembre 2012
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ultimo sipario a venezia
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Venezia, 1910. L’inquieto e malaticcio compositore Gustav von Aschenbach giunge al Lido di Venezia per un riposo dai suoi impegni lavorativi e mondani. Nell’Hotel des Bains dove alloggia incontra il giovane, bellissimo Tadzio”. La visione della sua grazia sovrumana, dapprima fonte di entusiasmo, lo costringerà presto a fare i conti con la sua triste condizione umana e artistica. E con la consapevolezza di non poter possedere quell’imperturbabilità spirituale che ha bramato per tutta la vita. Mentre tra le vie di Venezia imperversa un morbo mortale e taciuto, la sua ricerca diventa ossessione divoratrice. Vinto dalla bellezza respingente di Tadzio, muore su di una spiaggia al tramonto, abbagliato dall’ultima, angelica visione del giovane che, con un gesto salvifico, gli indica un orizzonte che non ci è dato di conoscere.
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Venezia, 1910. L’inquieto e malaticcio compositore Gustav von Aschenbach giunge al Lido di Venezia per un riposo dai suoi impegni lavorativi e mondani. Nell’Hotel des Bains dove alloggia incontra il giovane, bellissimo Tadzio”. La visione della sua grazia sovrumana, dapprima fonte di entusiasmo, lo costringerà presto a fare i conti con la sua triste condizione umana e artistica. E con la consapevolezza di non poter possedere quell’imperturbabilità spirituale che ha bramato per tutta la vita. Mentre tra le vie di Venezia imperversa un morbo mortale e taciuto, la sua ricerca diventa ossessione divoratrice. Vinto dalla bellezza respingente di Tadzio, muore su di una spiaggia al tramonto, abbagliato dall’ultima, angelica visione del giovane che, con un gesto salvifico, gli indica un orizzonte che non ci è dato di conoscere.
Nessuno, prima e dopo “Morte a Venezia”, è riuscito a descrivere con altrettanto incanto l’inquieta natura dell’arte e la forza impenetrabile della bellezza. Visconti, nell’animare un mondo vicino al suo ultimo sipario, ha una maestria segreta ed evocativa: penetra lentamente, sotto pelle, come il possente crescendo della Quinta sinfonia di Gustav Mahler. La sfolgorante ricostruzione d’epoca dona al film una dimensione sfarzosa pur nella sua teatralità decadente. Visconti filma un mondo altero e immobile, dedito a vacanzieri rituali e ritratto nella sua bellezza morente. Una società a cavallo tra due secoli, che nasconde sotto la sua solennità volti anonimi e grigi come il plumbeo cielo veneziano. Tadzio è il candore che prorompe dal vuoto dei galatei, è la perfezione che diviene enigma e che infine dà la morte. La ricerca dell’equilibrio e della pace dal disordine dei sensi è inavvertitamente turbata e, infine, sconfitta dall’innocenza dei suoi sguardi, dalla fugacità dei suoi sorrisi. La purezza si rivela per von Aschenbach causa dei più insanabili turbamenti del suo animo intellettuale. La sua ricerca della perfezione interiore si compie con la brutale rivelazione dell’imperfezione dell’uomo e dell’artista. Il grottesco trucco con cui spera di nascondere la sofferenza e l’inadeguatezza gli si scioglie in volto e con esso s’infrange eternamente l’illusione di poter celare la certezza della fine. Il film vive di silenzi, di visioni, di scosse improvvise dell’animo del protagonista. Densissimo di connotazioni filosofiche ed esistenziali, “Morte a Venezia” è avvolto da luci fioche, calde e ombrose. Visconti gli dona un’estetica cangiante: classica e brillante quando rivela la grazia, romantica e sporca quando scopre la malattia e annuncia la fine. La musica di Mahler è alta, trascinante. Venezia è perfetta proiezione della mutevole natura di von Aschenbach: sgargiante nei momenti di vivacità, sudicia e spenta quando si affacciano l’inquietudine e il malessere. Perfetti i costumi, le scene, gli interpreti. Dirk Bogarde è immenso nell’esprimere gli umori del protagonista, la sua natura irrequieta, l’improvviso manifestarsi della gioia e il violento avanzare dell’amarezza e del disinganno. Memorabili il servile direttore di Romolo Valli, la splendida e scostante madre di Silvana Mangano, Bjorn Andresen, capace di rivelare in pochi sguardi e gesti la bellezza gentile ed enigmatica di Tadzio. Un film ricco. Di ambizioni, di fascino, di interrogativi. I tre elementi che elevano il cinema alla perfezione.
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paolo bisi
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lunedì 14 aprile 2014
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la ricerca della bellezza assoluta
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Dal romanzo di Thomas Mann: nei primi anni del Novecento, il compositore tedesco Gustav von Aschenbach giunge a Venezia, in seguito alla perdita della moglie e a gravi problemi di salute, per cercare un pò di pace, capace di restituirgli la gioia di vivere e di scrivere musica. L'incontro col giovane Tadzio trasforma il soggiorno al Lido nella ricerca di un qualcosa di irraggiungibile, che lo accompagnerà fino alla morte. Raggiunti i 65 anni, Luchino Visconti, continua il suo viaggio all'interno della trilogia tedesca (iniziata con "La caduta degli dei" e che si concluderà con "Ludwig") dando vita a un'opera memorabile, straordinariamente poetica e visionaria.
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Dal romanzo di Thomas Mann: nei primi anni del Novecento, il compositore tedesco Gustav von Aschenbach giunge a Venezia, in seguito alla perdita della moglie e a gravi problemi di salute, per cercare un pò di pace, capace di restituirgli la gioia di vivere e di scrivere musica. L'incontro col giovane Tadzio trasforma il soggiorno al Lido nella ricerca di un qualcosa di irraggiungibile, che lo accompagnerà fino alla morte. Raggiunti i 65 anni, Luchino Visconti, continua il suo viaggio all'interno della trilogia tedesca (iniziata con "La caduta degli dei" e che si concluderà con "Ludwig") dando vita a un'opera memorabile, straordinariamente poetica e visionaria. Come il suo film precedente analizza e descrive il tema della decadenza, facendo riferimento non più ad una famiglia ma ad un singolo uomo, più precisamente un artista (un compositore e non uno scrittore come nel romanzo). Tuttavia in quest'opera il protagonista compie un passo in più: spinto da una irresistibile voglia di cambiamento, in seguito a grandi dolori e delusioni, personali e professionali, si lancia in questa ricerca ossessiva della bellezza assoluta e della perfezione, per lui rappresentate dal giovane Tadzio. Quello che prova per lui è un amore tanto forte, quanto estremo ed impossibile: i due personaggi si incontrano, si fissano, durante gran parte del film, senza mai entrare veramente in contatto (tutto ciò avviene solo nella mente del protagonista). Grande importanza rivestono le scenografie e i costumi, forse meno appariscenti rispetto ad altre opere del regista italiano, ma come sempre perfettamente al servizio delle varie situazioni ed atmosfere. Le musiche svolgono anche loro un ruolo da sottolineare: la Terza e la Quinta Sinfonia di Mahler rispecchiano a pieno lo stato d'animo disperato di Gustav. Uno dei film più personali e coraggiosi di Visconti, seppur di non facile visione: ma probabimente anche per questo merita di essere ricordato come una delle opere più poetiche del cinema italiano degli anni '70.
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catcarlo
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lunedì 11 aprile 2016
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morte a venezia
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Mettere in immagini un libro come quello di Thomas Mann, benchè fosse uno dei pallini del regista e pur perdendosi l’articolo, è un’impresa non semplice, visto che si tratta di un testo in cui le sensazioni e i moti dell’animo la fanno da assoluti padroni. L’ambientazione decadente e, soprattutto, l’analisi del rapporto fra arte e bellezza ovvero la meditazione sullo scaturire di quest’ultima solo dalla purezza o meno, erano però troppo invitanti per Visconti che fa della pellicola il centro della ‘trilogia germanica’ affinandovi ben precise scelte estetiche in un’atmosfera che varca sovente il confine della morbosità.
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Mettere in immagini un libro come quello di Thomas Mann, benchè fosse uno dei pallini del regista e pur perdendosi l’articolo, è un’impresa non semplice, visto che si tratta di un testo in cui le sensazioni e i moti dell’animo la fanno da assoluti padroni. L’ambientazione decadente e, soprattutto, l’analisi del rapporto fra arte e bellezza ovvero la meditazione sullo scaturire di quest’ultima solo dalla purezza o meno, erano però troppo invitanti per Visconti che fa della pellicola il centro della ‘trilogia germanica’ affinandovi ben precise scelte estetiche in un’atmosfera che varca sovente il confine della morbosità. La trama è quella, conosciuta, del maturo Aschenbach che si innamora senza speranza dell’adolescente Tadzio (Björn Andrésen), bello e dalle inequivocabili tendenze omoerotiche, fino a superare i limiti del ridicolo mentre Venezia, in modo lento ma inesorabile, diventa preda dei miasmi di una non specificata epidemia. Il protagonista non è uno scrittore, come nel romanzo, ma un musicista la cui figura riecheggia il compositore Gustav Mahler le cui sinfonie n. 3 e 5 costituiscono la colonna sonora contribuendo alla cupezza complessiva: di tanto in tanto, le sue discussioni sulla bellezza con l’amico Alfred (Walter Burns) interrompono in flashback, unendosi ad alcuni quadri familiari in cui Marisa Berenson esordisce nel ruolo della moglie, il progressivo naufragare in laguna che costituisce il fulcro narrativo e la parte cinematograficamente più significativa dell’opera. La sceneggiatura, scritta dal regista assieme a Nicola Badalucco, si snoda in maggioranza attraverso lunghe sequenze in pratica mute, dove sono gli sguardi a dominare nei campi stretti e le piccole figure a vagare in quelli lunghi, tutti quanti testimoni di una sorta di invincibile incomunicabilità, accresciuta dal polacco in cui si esprime la famiglia di Tadzio (sulla quale domina una davvero mirabile Silvana Mangano), e dal poco valore della maggior numero delle parole che vengono dette. False suonano infatti l’untuosità del maitre e la piaggeria del barbiere, interpretati con bravura da Romolo Valli e Franco Fabrizi, e ancor di più risulta esserlo tutta la sequenza dei musicanti. La somma di tanti fattori non proprio immediati a cui si aggiunge un ritmo per forza di cose assai rallentato, fa sì che l’insieme non sia certo di facile fruibilità, ma ripaga lo spettatore che voglia farsene coinvolgere malgrado il vago senso di malessere che se ne diffonde: a tale scopo, aiutano l’accurata scelta delle inquadrature fotografate con colori caldi ma mai netti da Pasqualino De Santis e l’interpretazione di Dirk Bogarde, che per lunghi tratti sostiene da solo la vicenda nei panni di un personaggio sempre in precario equilibrio tra profonda seriosità e pietosa caricatura.
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mondolariano
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domenica 3 aprile 2011
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all'insegna del decadentismo
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Un mirabile esempio di amalgama culturale all’insegna del decadentismo. La città lagunare che il wagneriano Thomas Mann ha certamente desunto dalle torbide atmosfere del “Tristano” (composto a Venezia) ma ispirandosi al contemporaneo Gustav Mahler in veste di scrittore; il personaggio di Alfred che deriva da un altro romanzo di Mann: “Doctor Faustus”; il fallimento degli ideali artistici, la vecchiaia, l’ambiguità del genio che ammette la mania e la depravazione. E ancora: la malinconia di Venezia acuita dal colera, la nebbia livida che avvolge l’orizzonte, il fasto decadente di un Grand Hotel alla fine della Belle époque (siamo nel 1911).
A commentare il quadro ci pensa una musica indescrivibile: l’“Adagetto” della 5° sinfonia di Mahler, il cui protagonismo compensa ampiamente i lunghi silenzi che costituiscono l’ossatura del film.
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Un mirabile esempio di amalgama culturale all’insegna del decadentismo. La città lagunare che il wagneriano Thomas Mann ha certamente desunto dalle torbide atmosfere del “Tristano” (composto a Venezia) ma ispirandosi al contemporaneo Gustav Mahler in veste di scrittore; il personaggio di Alfred che deriva da un altro romanzo di Mann: “Doctor Faustus”; il fallimento degli ideali artistici, la vecchiaia, l’ambiguità del genio che ammette la mania e la depravazione. E ancora: la malinconia di Venezia acuita dal colera, la nebbia livida che avvolge l’orizzonte, il fasto decadente di un Grand Hotel alla fine della Belle époque (siamo nel 1911).
A commentare il quadro ci pensa una musica indescrivibile: l’“Adagetto” della 5° sinfonia di Mahler, il cui protagonismo compensa ampiamente i lunghi silenzi che costituiscono l’ossatura del film. Silenziosa è l’immagine stessa della bellezza, interpretata dall’attore Bjorn Andresen in quanto “bellezza mortuaria” (come disse Visconti) e di fatto non pronuncia una sola parola. Alcune scene sono effettivamente prolisse: potrei citare il canto della donna polacca, l’esibizione del povero musicante e le grida “fragole fresche” che alla lunga farebbero scappare chiunque.
Thomas Mann aveva trasformato Mahler in uno scrittore mentre Visconti lo restituì al suo ruolo di musicista, evidenziandone soprattutto - più che le qualità artistiche - le velleità morali. Un particolare curioso è dato dalla tintura dei capelli che cola sulla fronte di Aschenbach: lo stesso episodio toccò veramente a Mahler in occasione di un concerto. C’è anche un’allusione all’infanzia di Visconti trascorsa sul lago, nella scena dove si sente che i bagagli vengono spediti a Como.
Silvana Mangano (già interprete di Cosima in “Ludwig”) accettò la sua breve parte senza richiedere alcun compenso.
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great steven
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martedì 26 maggio 2015
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dal libro di mann, un esempio di compita fedeltà.
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MORTE A VENEZIA (IT/FR, 1971) diretto da LUCHINO VISCONTI. Interpretato da DIRK BOGARDE, SILVANA MANGANO, BJONR ANDERSEN, ROMOLO VALLI, MARISA BERENSON, FRANCO FABRIZI, CAROLE ANDRé, NORA RICCI
Nel 1910 il compositore austriaco fallito Gustav von Aschenbach, fisicamente fragile e dallo spirito in perenne inquietudine, giunge al Lido di Venezia per concedersi una riposante vacanza. Trattato dal personale di uno dei più lussuosi alberghi veneziani come un cliente riservato e cortese, conosce un tredicenne effeminato slavo, di nome Tadzio, che diventa l’ossessione di una sua malsana e segreta passione omosessuale latente. Intenzionato a lasciare il capoluogo veneto per sfuggire ai possibili danni del suo nascosto desiderio, ottiene involontariamente che il suo bagaglio finisca per errore a Como, ed è costretto a far ritorno all’hotel, mentre intanto l’intera metropoli viene disinfettata perché sta per esplodere una sinistra e silenziosa epidemia di colera.
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MORTE A VENEZIA (IT/FR, 1971) diretto da LUCHINO VISCONTI. Interpretato da DIRK BOGARDE, SILVANA MANGANO, BJONR ANDERSEN, ROMOLO VALLI, MARISA BERENSON, FRANCO FABRIZI, CAROLE ANDRé, NORA RICCI
Nel 1910 il compositore austriaco fallito Gustav von Aschenbach, fisicamente fragile e dallo spirito in perenne inquietudine, giunge al Lido di Venezia per concedersi una riposante vacanza. Trattato dal personale di uno dei più lussuosi alberghi veneziani come un cliente riservato e cortese, conosce un tredicenne effeminato slavo, di nome Tadzio, che diventa l’ossessione di una sua malsana e segreta passione omosessuale latente. Intenzionato a lasciare il capoluogo veneto per sfuggire ai possibili danni del suo nascosto desiderio, ottiene involontariamente che il suo bagaglio finisca per errore a Como, ed è costretto a far ritorno all’hotel, mentre intanto l’intera metropoli viene disinfettata perché sta per esplodere una sinistra e silenziosa epidemia di colera. Aschenbach lo viene a sapere da un direttore delle poste, in quanto le autorità cittadine fanno di tutto per mascherare l’arrivo della pestilenza allo scopo di non far diminuire l’afflusso turistico. Gustav si ammala anch’egli e muore su una spiaggia senza poter soddisfare la sensazione covata a lungo nel proprio cuore morboso. Trasformando l’Aschenbach del premio Nobel Thomas Mann da scrittore a compositore, Visconti inserisce nella trasposizione del suo racconto lungo alcuni elementi autobiografici che la rendono appetibile anche ad un pubblico colto e attento al soave accademismo illustrativo che il film mette in piazza senza timore di andare incontro a qualche manierismo, per fortuna abilmente evitato. Contributi tecnici di indiscutibile qualità: scenografia di Ferdinando Scarfiotti, costumi di Piero Tosi, fotografia di Pasquale De Santis, montaggio di Ruggero Mastroianni. L’intensa interpretazione di Bogarde, unita alla saggia mescolanza di un cast tecnico di tutto rispetto, rende quest’opera un intermedio capolavoro di nicchia godibile e lodevole per la sua raffinatezza estetica, la sua descrittività altamente potente ed espressiva, i suoi toni colorati un po’ ambivalenti e la sua negazione della ricerca di uno scopo esistenziale se non quello di una redenzione emotiva sul sopraggiungere estremo e incontrastabile del rigor mortis. Visconti, da maestro della regia consumato ma pur sempre capace di sfoderare colpacci memorabili, conosce la materia letteraria di cui parla e ha ben chiara la narrazione da seguire per conseguire l’obiettivo stilistico senza dubbio ambizioso che s’è posto senza mezzi termini: il risultato da egli raggiunto non esclude qualche forzatura ideologica e alcuni frammenti di retorica sul discorso dell’importanza e della funzionalità dell’arte, tuttavia è anche da apprezzare per la fedeltà al testo scritto e l’allusione non poi così velata alla distruzione interiore che un uomo ammorbato nel corpo e nella mente può malauguratamente operare su sé stesso col semplice appoggio di una passione impossibile per uno sconosciuto. Oltre a Bogarde, melanconico e introverso Gustav von Aschenbach, si distinguono anche S. Mangano nei panni della madre di Tadzio e il reggiano R. Valli nella parte del gentile e servizievole direttore dell’albergo. È comunque un bene che, una volta tanto, un caposaldo della letteratura straniera venga adattato da un regista nostrano evitando di ricorrere a novità assurde e inusitate e, al contrario, adottando le giuste precauzioni per mantenere verosimiglianza nei confronti della versione letteraria e non travisarne l’intimo significato. Visconti premiato a Cannes in occasione del venticinquesimo anniversario dalla nascita del più importante festival cinematografico francese. Gli spettatori hanno saputo offrirgli il successo che meritava.
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parsifal
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giovedì 17 maggio 2018
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senescenza e sogni lontani
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IL Maestro Luchino Visconti, nel 1971, ispirandosi all'omonimo romanzo di T.Mann, diede vita al secondo capitolo della Trilogia Tedesca, creando un vero e proprio capolavoro. Si narra della vita del prof. Gustav Von Aschenbach, insigne musicista ( nel romanzo il protagonista era scrittore e veniva spesso chiamato in causa dall'autore con l'appellativo di " IL Solitario") in vacanza a Venezia, all'epoca molto in voga tra gli stranieri appartenenti alle elevate classi sociali. IL professore soffre di seri disturbi cardiaci e per tal motivo decide di trascorrere un periodo di vacanza nella Serenissima. Chiuso in un tenace isolamento, ricorda sovente le scene della sua vita passata, ricordi coniugali e paterni , diatribe dialettiche con un suo amico e collega fraterno Alfred, con cui si scontra sovente in virtù di una differente visione della Vita e dell ' Arte (il personaggio in questione è ispirato ad A.
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IL Maestro Luchino Visconti, nel 1971, ispirandosi all'omonimo romanzo di T.Mann, diede vita al secondo capitolo della Trilogia Tedesca, creando un vero e proprio capolavoro. Si narra della vita del prof. Gustav Von Aschenbach, insigne musicista ( nel romanzo il protagonista era scrittore e veniva spesso chiamato in causa dall'autore con l'appellativo di " IL Solitario") in vacanza a Venezia, all'epoca molto in voga tra gli stranieri appartenenti alle elevate classi sociali. IL professore soffre di seri disturbi cardiaci e per tal motivo decide di trascorrere un periodo di vacanza nella Serenissima. Chiuso in un tenace isolamento, ricorda sovente le scene della sua vita passata, ricordi coniugali e paterni , diatribe dialettiche con un suo amico e collega fraterno Alfred, con cui si scontra sovente in virtù di una differente visione della Vita e dell ' Arte (il personaggio in questione è ispirato ad A. Leverkhun tratto dal Dottor Faustus, ultimo romanzo di Mann), ricordi di una vita che non tornerà. Inoltre è perennemente immerso nei suoi pensieri e l'introspezione è una costante del suo modus agendi. Durante il soggiorno apparirà una figura che scalfirà la granitica solitudine intellettuale del Solitario; il giovane Tazio, efebico, sottile ed elegante, che con la sua grazia silenziosa catturerà l'attenzione del professore, per poi scatenare in lui dei sentimenti che credeva morti per sempre. I due non si rivolgeranno mai la parola, si osserveranno da lontano, talvolta incrociando gli sguardi, in una silenziosa complicità non dichiarata , ma al tempo stesso onnipresente. Venezia è minacciata da un'epidemia di colera, che viene tenuta nascosta dalle autorità per non inficiare la stagione turistica. La decadenza della città va di pari passo con quella del protagonista; entrambe sono agli sgoccioli ed egli pur essendo cosciente della sua imminente sorte, vuole cogliere gli ultimi frammenti di bellezza che la Vita gli offre. IL finale sulla spiaggia, sulle note di Malher, è uno dei toccanti della storia del cinema. La Bellezza che fa da cornice alla fine di un'esistenza che fu felice ma pur sempre alla ricerca di qualcosa che venne soltanto sognato. IL ruolo di Tazio venne affidato a B. Andersen dopo lunghe ricerche portate a termine dal MAestro , meticoloso e pignolo come sempre, nei paesi del Nord Europa e la scelta cadde su di lui poichè rappresentava m secondo Visconti, un perfetto Angelo della Morte. Scatenò notevoli polemiche a causa della tematica omosessuale, benchè fosse un'idealizzazione della Bellezza in sè e non certo un'esaltazione di pulsioni carnali.
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luca scial�
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mercoledì 6 marzo 2013
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contemplazione di un giovane amore impossibile
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Gustav von Aschebanch è un compositore e direttore d'orchestra in crisi creativa. Ha un infarto dopo essere stato contestato duramente dal pubblico alla fine di un concerto e il medico gli consiglia di prendersi una lunga vacanza. Va così a Venezia e s'imbatte in un giovanissimo dai capelli biondi in vacanza con la famiglia. La sua giovinezza, bella e pura, lo turba, lo attrae al punto da convincerlo a restare ancora qualche giorno. Ma il suo cuore è stanco per inseguire un'attrazione così conturbante. Sullo sfondo una Venezia tanto bella quanto malinconica e decadente.
Visconti traspone un omonimo romanzo di Thomas Mann. Flashback e presente si alternano in un intenso viaggio introspettivo.
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Gustav von Aschebanch è un compositore e direttore d'orchestra in crisi creativa. Ha un infarto dopo essere stato contestato duramente dal pubblico alla fine di un concerto e il medico gli consiglia di prendersi una lunga vacanza. Va così a Venezia e s'imbatte in un giovanissimo dai capelli biondi in vacanza con la famiglia. La sua giovinezza, bella e pura, lo turba, lo attrae al punto da convincerlo a restare ancora qualche giorno. Ma il suo cuore è stanco per inseguire un'attrazione così conturbante. Sullo sfondo una Venezia tanto bella quanto malinconica e decadente.
Visconti traspone un omonimo romanzo di Thomas Mann. Flashback e presente si alternano in un intenso viaggio introspettivo. Venezia non è la solita città romantica, ma appare quasi diabolica, decadente, cupa. Il protagonista è un'anima tormentata in cerca di se stesso e neppure il ritocco di un parrucchiere riuscirà a restituirgli quella giovinezza tanto agognata ma ormai irrimediabilmente perduta. Il tempo è un altro protagonista di questo film, con il giovanissimo Tadzio che è la reincarnazione del desiderio di Gustav di tornare giovane.
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pigi51
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mercoledì 21 luglio 2021
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la morte : una scelta obbligata
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Quando tre mostri sacri si incontrano metaforicamente, riescono a creare una opera d'arte unica, inimitabile,, vero patrimonio dell'umanità. Uomini di epoche diverse : Luchino Visconti figlio del mittelnovecento, Thomas Mann e Gustav Mahler a cavallo tra i due secoli, quando la musica, la poesia , la letteratura si seguivano in religioso silenzio. GRAZIE! per averci regalato questo capolavoro immortale, che continuo ad ammirare senza noia, sulle note di qell'Adagietto dell 5 sinfonia di Mahler che sembra accompagnare il protagonista, Dirk Bogarde verso la fine, nei colori purpurei del tramonto sulla spiaggia di Venezia Lido, mentre l'efebico Bjorn Andresen, di cui l'uomo è innamorato, o forse solo affascinato, indica l'orizzonte, quasi a mostrare la via del trapasso.
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Quando tre mostri sacri si incontrano metaforicamente, riescono a creare una opera d'arte unica, inimitabile,, vero patrimonio dell'umanità. Uomini di epoche diverse : Luchino Visconti figlio del mittelnovecento, Thomas Mann e Gustav Mahler a cavallo tra i due secoli, quando la musica, la poesia , la letteratura si seguivano in religioso silenzio. GRAZIE! per averci regalato questo capolavoro immortale, che continuo ad ammirare senza noia, sulle note di qell'Adagietto dell 5 sinfonia di Mahler che sembra accompagnare il protagonista, Dirk Bogarde verso la fine, nei colori purpurei del tramonto sulla spiaggia di Venezia Lido, mentre l'efebico Bjorn Andresen, di cui l'uomo è innamorato, o forse solo affascinato, indica l'orizzonte, quasi a mostrare la via del trapasso. Le ombre di morte che si inseguono a Venezia riflettono la filosofia viscontiana del disfacimento dell'uomo, in maniera forse troppo accademica e melodrammatica, ma sempre struggente come le note di Mahler.
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luivig
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mercoledì 19 luglio 2023
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ritornare a venezia
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Ho rivisto “Morte a Venezia” dopo tanto tempo. Mi sono distaccato dalla sceneggiatura e quindi dal romanzo e mi sono dedicato a carpire la regia di Visconti.
La sequenza iniziale del film viene “cullata” dall’Adagietto di Mahler e senza perdere tempo “veste” la visione e le da un imprinting indelebile. E non solo la musica.
Subito molte anticipazioni (le famose esche cinematografiche) …. i ragazzi che scompigliano l’atmosfera all’arrivo del traghetto, l’uomo grossolanamente truccato che va incontro al protagonista…maschera di perversa allusione e soprattutto maschera di fatale decadenza, e quindi, morte.
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Ho rivisto “Morte a Venezia” dopo tanto tempo. Mi sono distaccato dalla sceneggiatura e quindi dal romanzo e mi sono dedicato a carpire la regia di Visconti.
La sequenza iniziale del film viene “cullata” dall’Adagietto di Mahler e senza perdere tempo “veste” la visione e le da un imprinting indelebile. E non solo la musica.
Subito molte anticipazioni (le famose esche cinematografiche) …. i ragazzi che scompigliano l’atmosfera all’arrivo del traghetto, l’uomo grossolanamente truccato che va incontro al protagonista…maschera di perversa allusione e soprattutto maschera di fatale decadenza, e quindi, morte.
Dopo pochi minuti tutto implode e ormai non importa più se chi vede il film abbia o meno letto il romanzo o ne sappia la narrazione,
E’ Visconti ora che si sottrae al tutto ricreando il tutto. Il “sudore” delle immagini diventa dialogo e la struttura visiva si appoggia alla recitazione di Bogarde e alla “sospesa” bellezza di Tazdio.
Visconti copre ogni cosa in un’atmosfera decadente non per il tema trattato ma nell’impercettibile tono dei colori, i gesti sottratti nelle formalità dell’epoca, il “finto” ritmo del montaggio dove la lotta tra frenesia vitale e attesa della morte sono appese ad un filo sottile fatto di stati d’animo visivi.
Alla fine della visione, il film, e quindi la storia, “sembra” non aver raccontato nulla e, per assurdo, è proprio così non nel negare quello che si vede ma nel trovare quello che non si vede. La regia sembra scomparire proprio nel momento in cui si sublima.
In fondo è quello che accade alla morte, che sa di essere inutile senza la vita.
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