Morte a Venezia

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Il genio di un artista ossessionato dalla bellezza Valutazione 5 stelle su cinque

di annalinagrasso


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sabato 26 marzo 2011

Morte a Venezia: molto probabilmente il film più importante di Visconti, vincitore a Cannes della Palma d’Oro nel 1971. Visconti, si sa, è un maestro nel trasformare un’opera letteraria in una straordinaria pellicola di successo; stavolta la fonte è appunto “morte a venezia” del tedesco Thomas Mann, solo che il protagonista del film non è uno scrittore ma un compositore, Gustav Aschenbach, anziano , fisicamente debilitato e spiritualmente irrequieto, in crisi artista ed intellettuale che nel 1910 si reca a Venezia per riposarsi. Qui incontra il giovane Tadzio, bellissimo ragazzo polacco dai lineamenti delicati, efebico,”un angelo della morte”e se ne “innamora”.Un innamoramento che il musicista dapprima cercherà di reprimere, poi lo asseconda, provocando in lui una profonda crisi. Per il protagonista, Visconti si è ispirato alla vita del compositore Gustav Mahler e lo dimostrano i flashback con la moglie e la figlia e il fallimentare concerto tenutosi in Germania .
Il film rende perfettamente  l’atmosfera descritta nel romanzo, cupa, decadente  che avvolge la splendida Venezia, seppur in preda al colera; una Venezia che in sé il senso della morte come il protagonista che ancora nn ha preso coscienza di essere  ormai un artista decadente, che si trova davanti a drammatici interrogativi ke vengono  sublimati attraverso il confronto/scontro con il suo amico Alfred: la bellezza, lo spirito, la purezza, la malattia come condizione necessaria dell’essere artista, il sogno della giovinezza, la dignità umana e l’estrema difficoltà di unirla al concetto di arte e realtà, ecc…
Visconti mette insieme  lo svolgersi dell’azione  “presente” con una serie di fashback suggestivi funzionali ai fini della biografia del protagonista, e di forte riflessione filosofica/psicologica che sembrano andare di pari passo con l’evolversi della situazione presente, con il decadimento e l’avvicinarsi della morte di Aschenbach; contribuiscono a creare quel climax che rende il film,dal punto di vista della narrazione,  mai noioso ed omogeneo, grazie anche all’uso della splendida musica e del tempo, l’ambiguità degli spazi.
Colpisce poi con quanto garbo e sensibilità il regista tratti il tema dell’omosessualità, con quanto rigore e asciuttezza registri il dissidio tra arte e realtà, i valori borghesi, denunciando come fa già Mann nel libro, quale prezzo si paga per il privilegio della diversità attraverso la sofferenza, l’alienazione,ma anche autocompiacimento, che porterà il compositore addirittura a truccarsi per  sembrare più giovane agli occhi di Tadzio. Il giovane rappresenta concretamente quella ricerca della bellezza, innocenza, giovinezza,perfezione incompiuta  che il senescente musicista  ha sempre immaginato,ricercato e desiderato più come archetipo, come qualcosa di irreale e spirituale, mentre in quell’hotel gli si manifesta in atto, non è più qualcosa di potenziale. Inevitabilmente quindi, prendono largo campo anche le pulsioni, gli istinti che Aschenbach aveva sempre rifiutato, a differenza  di Alfred,(emblematica la sua frase:”Sai a cosa conduce la strada maestra?Alla mediocrità”)considerandoli morbosi, negativi, distruttivi per la ricerca della purezza, della perfezione, dell’opera d’arte, ma ai quali non può sottrarsi. Sono una forza corrosiva e letale per lui che, già debilitato, con la peste che imperversa a Venezia(preludio alla prima guerra mondiale), il musicista muore sulla spiaggia mentre Tadzio, nell’acqua,dirigendosi in direzione del sole, sembra indicargli un punto indistinto all’orizzonte; finale lirico, commovente,triste, sublime: come si diceva prima, il prezzo da pagare per l’essere diversi, sregolati,lontani dalle convenzioni borghesi, dopo che l’uomo e l’artista sono diventati la stessa cosa, hanno toccato il fondo insieme.
Da menzionare la presenza di una austera e fascinosa Silvana Mangano nei panni della madre di Tadzio, il sempre bravo Romolo Valli nel ruolo di direttore dell’hotel;personaggi che fanno parte di quel mondo cosmopolita, gaio, attivo, osservante delle regole etiche ma grigio, falso, ipocrita, in contrasto con il mondo dell’arte di cui fa parte l’artista.

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