Anno | 2013 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 63 minuti |
Regia di | Stefano Liberti, Enrico Parenti |
Attori | Sasha Sultanamovic, Miriana Halilovic, Giuseppe Salkanovic, Brenda Salkanovic, Remi Salkanovic . |
MYmonetro | 3,13 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 13 marzo 2015
Stefano Liberti ed Enrico Parenti narrano la vita nel campo ROM più grande d'Europa, in Via Salone a Roma.
CONSIGLIATO SÌ
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Miriana aspetta due gemelle e una casa decente in cui far crescere i suoi quattro figli. Remi ripara le auto che i clienti portano a questo meccanico abile ed economico (anche perché lavora in nero) ma senza un'officina. Giuseppe prende il camioncino ogni mattina e va a cercare pezzi di ferro, in una forma originale di riciclaggio che procura alla sua famiglia (è il marito di Miriana) il minimo indispensabile per vivere. Brenda ha diciotto anni e ha già abbandonato il sogno di diventare dottoressa. Sasha, Diego, Marta, Cruis frequentano le scuole elementari arrivando regolarmente in ritardo, e prendendosi i rimproveri delle maestre.
È la vita quotidiana degli "abitanti" del campo Rom di Via Salone, situato nel mezzo del nulla alle porte di Roma, il più grande d'Europa: oltre un migliaio di persone provenienti per lo più dall'ex Jugoslavia e suddivise per provenienza geografica anche all'interno di quel ghetto recintato da sbarre di ferro e sorvegliato dalle telecamere. All'interno, ammassati in camper da 22 metri e mezzo distanti l'uno dall'altro appena due metri, sopravvivono uomini, donne, vecchi e bambini senza un lavoro, documenti e un'identità riconosciuta dalla legge italiana. Anche se vivono qui da anni. Anche quelli nati in Italia.
Stefano Liberti ed Enrico Parenti, che per girare questo documentario hanno trascorso dieci giorni all'interno di uno dei container, lasciano parlare gli "zingari" (nome che loro non riconoscono, ma si ritrovano appiccicato addosso) senza fare commenti, e danno voce anche a due italiani che vivono vicino al campo di Salone. Ciò che interessa ai due registi è soprattutto illuminare le contraddizioni create dalla legge italiana e dal comportamento ambiguo delle amministrazioni locali, che da una parte dichiarano di volere l'integrazione dei Rom nel nostro Paese, dall'altra rendono di fatto impossibile che questa abbia luogo. Come si può ipotizzare un percorso di integrazione segregando un migliaio di persone in un luogo privo di servizi, lontano chilometri dal centro abitato e dunque anche dalle scuole (dagli ospedali, i supermercati, eccetera), fra persone che non parlano italiano? Perché non affrontare una volta per tutte il labirinto burocratico kafkiano in cui si trovano, privi di documenti e in alcuni casi anche di un Paese di origine, cancellato dalle guerre balcaniche?
Contanier 158 è chiaramente solidale nei confronti dei Rom di campo Salone, ma si limita a raccontare ciò che vede, e a lasciar parlare soprattutto i bambini, che non hanno la capacità di strutturare i loro ragionamenti in funzione di un obiettivo (e di un obbiettivo). I bambini raccontano una mancanza di comprensione, un'esclusione al limite del programmatico, una mancanza di alternative, una visione chiusa del futuro che fanno male non solo a loro, ma a tutta la comunità che vive loro accanto, e che - non manca di sottolineare il documentario - paga 3,5 milioni l'anno per perpetuare questa situazione di stallo improduttivo.
Ciò che resta impresso dopo la visione di Container 158 è il senso di claustrofobia e frustrazione, la percezione dell'ipocrisia di un atteggiamento a metà fra il punitivo e il paternalista, e l'idea di spreco, non tanto del denaro pubblico quanto del potenziale umano. E resta indelebile l'espressione pulita di una bimba di campo Salone che nonostante tutto riesce a sorridere, e proprio per questo ti spezza il cuore.
Il campo attrezzato di Via Salone a Roma è il campo rom più grande d'Europa. All'interno vivono 1200 persone - rom di varia origine (rumeni, serbi, montenegrini, bosniaci). Il campo è fuori dal raccordo anulare, non è collegato con i mezzi pubblici e non ha alcuno spazio comune. La distanza tra i container dove vivono le famiglie è di circa due metri. I bambini vanno la mattina a scuola in istituti molto lontani grazie a un servizio di pulmini - date le distanze e dato il traffico mattutino,
impiegano anche due ore e arrivano quasi sempre in ritardo di almeno un'ora.
All'interno del campo, la tensione è alta. Le varie comunità non comunicano; il livello d'istruzione è bassissimo, il livello di disoccupazione altissimo. Il documentario segue la quotidianità del campo: i bambini che vanno a scuola; gli adolescenti che trascorrono le giornate a non far nulla (molti non hanno nessun documento; sono nati in Italia ma non hanno la nazionalità, quella di origine dei genitori l'hanno perduta in seguito all'implosione dell'ex Jugoslavia); gli uomini e le donne adulti che cercano di arrabattarsi con lavori di fortuna.