enabram tain
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sabato 22 febbraio 2014
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storia vera, oscar certo (?)
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La storia ha le classiche "lacune" delle storie vere e i classici pregi delle storie vere. Sapere che quello che si vede è accaduto ha un effetto di coinvolgimento morale e sentimentale sicuramente potente e ovviamente porta a riflettere, ma come quasi sempre accade con le storie vere non riesce a stimolare pienamente la parte meno nobile ma più entusiasmante del cervello che è invece attivata da sceneggiature di fantasia (e di qualità).
Bravo il regista, ma senza lampi di genio, bravi gli attori ma senza picchi di eccellenza.
Un buon film, lo stereotipo perfetto del vincitore (quasi sempre) di oscar: storia vera, regista profondo, dramma toccante, tanti attori di grande nome e emergenti con buona interpretazione, non ho ancora visto gli altri film in corsa per l'oscar ma sono quasi certo che l' accademy non si lascera sfuggire questo modello del suo gusto, gusto che ha portato spesso a non far vincere veramente il migliore.
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La storia ha le classiche "lacune" delle storie vere e i classici pregi delle storie vere. Sapere che quello che si vede è accaduto ha un effetto di coinvolgimento morale e sentimentale sicuramente potente e ovviamente porta a riflettere, ma come quasi sempre accade con le storie vere non riesce a stimolare pienamente la parte meno nobile ma più entusiasmante del cervello che è invece attivata da sceneggiature di fantasia (e di qualità).
Bravo il regista, ma senza lampi di genio, bravi gli attori ma senza picchi di eccellenza.
Un buon film, lo stereotipo perfetto del vincitore (quasi sempre) di oscar: storia vera, regista profondo, dramma toccante, tanti attori di grande nome e emergenti con buona interpretazione, non ho ancora visto gli altri film in corsa per l'oscar ma sono quasi certo che l' accademy non si lascera sfuggire questo modello del suo gusto, gusto che ha portato spesso a non far vincere veramente il migliore.
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no_data
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lunedì 24 febbraio 2014
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aspro, potente, visivamente perfetto
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1841 Saratoga, stato di New York. Solomon Northup è un uomo di colore libero, musicista, padre di famiglia, conduce una vita dignitosa grazie ai guadagni del suo lavoro e quello della moglie. Ingaggiato per un tour di spettacoli viene drogato e venduto come schiavo da due uomini che credeva amici. Inizia così un incubo che durerà 12 lunghi anni, durante i quali verrà privato della cosa più importante per un essere umano: la libertà. Strappato alla sua vita e agli affetti e privato del suo stesso nome Solomon passerà da un padrone all’altro finendo a lavorare nei campi di cotone per un uomo arido e crudele, sotto il sole rovente e lo schiocco della frusta.
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1841 Saratoga, stato di New York. Solomon Northup è un uomo di colore libero, musicista, padre di famiglia, conduce una vita dignitosa grazie ai guadagni del suo lavoro e quello della moglie. Ingaggiato per un tour di spettacoli viene drogato e venduto come schiavo da due uomini che credeva amici. Inizia così un incubo che durerà 12 lunghi anni, durante i quali verrà privato della cosa più importante per un essere umano: la libertà. Strappato alla sua vita e agli affetti e privato del suo stesso nome Solomon passerà da un padrone all’altro finendo a lavorare nei campi di cotone per un uomo arido e crudele, sotto il sole rovente e lo schiocco della frusta. L’incontro con un antischiavista canadese Samuel Bass determinerà il corso degli eventi e la vita del protagonista.
Una storia vera raccontata in un libro autobiografico, 12 anni schiavo è un film spietato soprattutto nei dettagli ma mirabile nella sua interezza. È la battaglia tutta personale e drammatica tra l’accettazione rassegnata della propria condizione e la lotta per il cambiamento, una lotta che implica violenza, punizioni e ulteriori privazioni. La linea sottile tra “vivere e sopravvivere”.
Un tocco di eleganza nella scelta delle riprese e del taglio fotografico che si scontra con la durezza delle scene, soprattutto di alcune, incancellabili. Un film che sarebbe dovuto nascere tempo fa e che, nella sua sincerità devastante non basta a cancellare le colpe di un’America nata dal sangue di altri popoli. Fassbender e Pitt sono una garanzia ma è Chiwetel Ejiofor (Solomon) a lasciare incantati.
Dopo due bei film, Hunger e Shame, Steve McQueen ha fatto centro al suo terzo lavoro. Se sarà Oscar o meno lo vedremo, lui (il regista) ha già scritto il suo nome tra i grandi del cinema americano d’autore.
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alexander 1986
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martedì 25 febbraio 2014
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lo schiavismo di mcqueen, un'eccellente incompiuta
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New York, 1841. Solomon Northup (Ejiofor) è un uomo libero, un musicista e un nero senza gerarchia tra i fattori. Agli occhi di altri è invece un nero in prima istanza, un musicista in seconda e per nulla un uomo libero. Tradito da falsi amici, il povero Solomon viene venduto come schiavo presso un ricco proprietario del Sud. Inizia così un'odissea di sventure durante le quali il protagonista, come la Justine dell'omonimo romanzo di Sade, proverà sulla propria pelle una teoria di violenze sempre più dolorose e crudeli.
Quello della schiavitù e delle diseguaglianze razziali è un tema sempre più sentito nella narrativa hollywoodiana contemporanea, ma a ben guardare anche tra i film più recenti è mancato il coraggio di affrontare la questione di petto: 'Django Unchained' (2013) di Tarantino è una quasi carnevalata, mentre il kolossal spielberghiano 'Lincoln' (2013) gira al largo.
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New York, 1841. Solomon Northup (Ejiofor) è un uomo libero, un musicista e un nero senza gerarchia tra i fattori. Agli occhi di altri è invece un nero in prima istanza, un musicista in seconda e per nulla un uomo libero. Tradito da falsi amici, il povero Solomon viene venduto come schiavo presso un ricco proprietario del Sud. Inizia così un'odissea di sventure durante le quali il protagonista, come la Justine dell'omonimo romanzo di Sade, proverà sulla propria pelle una teoria di violenze sempre più dolorose e crudeli.
Quello della schiavitù e delle diseguaglianze razziali è un tema sempre più sentito nella narrativa hollywoodiana contemporanea, ma a ben guardare anche tra i film più recenti è mancato il coraggio di affrontare la questione di petto: 'Django Unchained' (2013) di Tarantino è una quasi carnevalata, mentre il kolossal spielberghiano 'Lincoln' (2013) gira al largo. A Steve McQueen spetta quindi il merito di aver messo una toppa a un pesantissimo vuoto nelle antologie cinematografiche. Altra cosa è valutare il valore del film in sè e per sè. Indubbiamente abbiamo a che fare con un'opera maestosa, che ricostruisce l'epoca di ambientazione nei minimi dettagli. Il cast, a partire da un Fassbender in stato di grazia e nonostante un Pitt fuori contesto, è altrettanto ricco e valido. Eppure '12 anni schiavo' perde il treno della storia e si ferma alle soglie del capolavoro senza varcarle. Ciò succede perché McQueen e il suo sceneggiatore Ridley hanno deciso di concentrare quasi tutto il focus narrativo sul racconto della violenza in sè, riducendo a questa sola un discorso che avrebbe potuto e dovuto stimolare un discorso più ampio e complesso. Abbiamo a che fare con un film di alto lignaggio, che non sembra però aver espresso il suo pieno potenziale.
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michele
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mercoledì 26 febbraio 2014
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steve mcqueen non è come gli altri
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Steve McQueen è uno dei registi contemporanei più interessanti del panorama cinematografico mondiale. Dopo due film più piccoli dal punto di vista della produzione, come ‘Hunger’ e ‘Shame’ che sono stati acclamati dalla critica e dal pubblico, è giunto per il video artista londinese il momento di confrontarsi con un film ad alto budget. E’ arrivata Hollywood nella sua vita. La storia è molto semplice, siamo in America nel 1841 e un talentuoso violinista di colore, Solomon Northup, viene rapito con l’inganno e portato in Louisiana, dove sarà schiavo nelle piantagioni di cotone per dodici anni, senza che la moglie e i due figli sappiano più niente di lui. Chi pensa di andare al cinema e di assistere al classico film hollywoodiano che come tutti i biopic (la storia è vera, tratta dalle memorie scritte del protagonista) procede in maniera didascalica, pieno zeppo di cliché narrativi, si sbaglia. Di questa struttura narrativa fortemente standardizzata, il film ne ripercorre a grandi linee le forme, ma non ne è mai vittima. Il lavoro di promozione che è stato fatto sulla pellicola (trailer e pubblicità varie) faceva credere effettivamente questo, ma in realtà non siamo di fronte ad un prodotto confezionato ad hoc, con musiche trionfanti verso il finale alla John Williams e farcito di sentimentalismi retorici, una sorta di Schindler’s List sulla schiavitù per intendersi. Il regista riesce a conferire in maniera abbastanza pregnante il suo stile alla pellicola, regalandoci delle immagine evocative di forte impatto e di reale crudezza, iperrealiste e nel fare questo a volte è perfino eccessivamente freddo, molto distaccato, tant’è che proprio quelle emozioni così intense che uno si aspetta di provare di fronte ad una storia come questa (seppur ripeto, con il rischio di sfociare in un vasto patetismo) vengono a mancare nella forma più classica che conosciamo, ma in questo caso non è un difetto, ma piuttosto un pregio. Gran bel film nel complesso, anche se nella parte centrale si evince una leggera piattezza narrativa che fa un po’ arrancare la storia. Da segnalare una scena su tutte (quella della sua tentata impiccagione), di grande fattura, di grande cinema e un finale toccante, seppur asciutto ed essenziale allo stesso tempo. McQueen si conferma un regista di grandissimo livello, soprattutto in questo caso, dove il tranello era in agguato. Nove nominations agli Oscar, parte come favorito per fare incetta di premi, ne merita alcuni, ma non tutti, non miglior film.
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(di dodix2013)
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flaw54
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mercoledì 26 febbraio 2014
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niente di nuovo
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L'argomento e' conosciuto e trattato da Mcqueen secondo i soliti canoni dello schiavismo. Sinceramente il film genera poco pathos per una regia piuttosto uniforme e una recitazione abbastanza scolastica ( mi chiedo come il protagonists possa essere candidato all' Oscar visto che mantiene ls stessa espressione in tutto il film). Il tutto appare fuori dalla storia piu' ampia della realta' americana dell'epoca e lo scorrere del tempo non appare tale tantoche, come dice il mio amico avvocato, passano 12 anni ma non sembra che siano passati neppure 12 mesi.
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(di pascale marie)
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khaleb83
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venerdì 25 luglio 2014
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a dir poco sopravvalutato
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Quando fra qualche anno si riguarderà questo film "a freddo", superando l'ovvia (si spera) indignazione che le sue scene suscitano, ci si renderà conto di aver premiato con l'Oscar l'intenzione, ma certo non il film in sé per sé.
Il risultato finale, in effetti, è decisamente scadente da molti punti di vista. Sarebbe anche superfluo, almeno da un punto di vista prettamente cinematografico, sottolineare come il messaggio dell'onta della schiavitù riesca a venire completamente annullato e banalizzato nell'affronto personale, perdendo tutta la profondità sociale che, con tutto il rispetto per le singole storie, ne è stata la vera piaga (l'unico guizzo si ha con Cumberbatch, ma è comunque un accenno estremamente superficiale e insufficiente), senza tuttavia riuscire a essere mai veramente profondo nell'emotività del protagonista.
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Quando fra qualche anno si riguarderà questo film "a freddo", superando l'ovvia (si spera) indignazione che le sue scene suscitano, ci si renderà conto di aver premiato con l'Oscar l'intenzione, ma certo non il film in sé per sé.
Il risultato finale, in effetti, è decisamente scadente da molti punti di vista. Sarebbe anche superfluo, almeno da un punto di vista prettamente cinematografico, sottolineare come il messaggio dell'onta della schiavitù riesca a venire completamente annullato e banalizzato nell'affronto personale, perdendo tutta la profondità sociale che, con tutto il rispetto per le singole storie, ne è stata la vera piaga (l'unico guizzo si ha con Cumberbatch, ma è comunque un accenno estremamente superficiale e insufficiente), senza tuttavia riuscire a essere mai veramente profondo nell'emotività del protagonista.
La recitazione è sorprendentemente scadente, per un film che punta così in alto. Il protagonista sembra un dilettante, assolutamente incapace di rendere qualsiasi sfumatura; caricare in quel modo le espressioni di dolore è (ovviamente parlando di livelli professionali) relativamente facili, ma i dettagli mancano completamente. Idem per la tanto decantata Nyong'o, che ha davvero un ruolo troppo piccolo per poter esprimere qualcosa di più che uno stereotipo. Si salvano solo il succitato Cumberbatch (che però, appunto, ha davvero troppo poco spazio per essere significativo) e un grande Fassbender, che però non può reggere sulle sue spalle l'intero film.
La presenza di Pitt, per quanto legata alla storia originale (e a motivi di produzione), è assolutamente fuori da qualsiasi tempistica cinematografica, poco più che un deus ex machina. Un espediente, insomma, completamente fuori contesto.
I tempi del film sono poi assolutamente sbagliati; l'idea dovrebbe essere rendere lo strazio del protagonista, non straziare lo spettatore. Eppure, i dodici anni del film non traspaiono assolutamente dalla storia: sembra un unico, ininterrotto presente, in cui ingrigire i capelli di Ejofor, mostrare bambini cresciuti e semplicemente parlare del tempo che passa non sono sufficienti a dare l'idea dello scorrere del tempo; anzi, risultano balzi assolutamente improvvisi e improbabili.
Per quanto mi riguarda, quindi, un completo fallimento come film, assolutamente sopravvalutato solamente per il messaggio che vorrebbe passare (ma che, come detto in apertura, manca completamente).
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catcarlo
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martedì 25 febbraio 2014
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12 anni schiavo
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Nel 1841, Solomon Northup viene rapito a New York, dove vive libero assieme alla famiglia e si guadagna da vivere suonando il violino, e viene deportato come schiavo negli Stati del sud, in crisi di manodopera per le difficoltà sulle rotte negriere dall'Africa. Per raccontarne il lungo incubo prima di ritrovare la libertà, l'inglese Steve McQueen cambia alcune coordinate del suo fare cinema e, quasi a volerlo far intendere subito, utilizza più di una parola nel titolo: si tratta di un film più corale rispetto ai precedenti, che sono dedicati allo scavo psicologico di un solo personaggio, non c’è Fassbender come protagonista assoluto e, soprattutto, la scrittura è affidata a qualcun altro.
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Nel 1841, Solomon Northup viene rapito a New York, dove vive libero assieme alla famiglia e si guadagna da vivere suonando il violino, e viene deportato come schiavo negli Stati del sud, in crisi di manodopera per le difficoltà sulle rotte negriere dall'Africa. Per raccontarne il lungo incubo prima di ritrovare la libertà, l'inglese Steve McQueen cambia alcune coordinate del suo fare cinema e, quasi a volerlo far intendere subito, utilizza più di una parola nel titolo: si tratta di un film più corale rispetto ai precedenti, che sono dedicati allo scavo psicologico di un solo personaggio, non c’è Fassbender come protagonista assoluto e, soprattutto, la scrittura è affidata a qualcun altro. E’ difatti di John Ridley la sceneggiatura costruita sulle memorie di Northup – che sapeva leggere e scrivere, anche se fu costretto a nasconderlo nei suoi anni di schiavitù – finendo però per essere l'anello debole del lavoro: pur non essendo in nessun punto davvero piatta, la storia non sorprende davvero mai e rende meno efficace l'impatto complessivo. Impatto che, invece, beneficia dell'accuratissimo lavoro della regia sull'immagine: se McQueen conferma la sua bravura nel costruire le inquadrature filmando un profondo sud opprimente dal punto di vista fisico e psicologico (il direttore della fotografia è il fido Sean Bobbitt), il regista inglese dà il meglio di sé nella rappresentazione della fisicità umana, in perfetta continuità con le sue opere precedenti. Si tratta di corpi sofferenti, con in primo piano piaghe sulla pelle che riflettono quelle dell'anima, e di volti che non si vergognano di esprimere i sentimenti – come dice esplicitamente Eliza in una delle tante scene in cui si piange come fontane – raccontando i pensieri che stanno dentro gli sguardi. L'orrore infinito della schiavitù sta nella sgradevolezza dei personaggi interpretati, in piccole ma significative parti, da Paul Dano e Paul Giamatti, oltre che nella gelida cattiveria della signora Epps di Sarah Paulson: se pare vacillare la coscienza di Ford, il primo padrone di Solomon - Benedict Cumberbatch esce di scena troppo presto -, la ferocia del secondo, Epps, la compensa abbondantemente. Nei suoi scomodi panni, l'attore preferito di McQueen, cioè Fassbender, disegna con grande profondità il ritratto di un uomo apparentemente senza sentimenti, violento con più di una punta di sadismo e alcolizzato, rubando se non la scena quantomeno l'attenzione rispetto al resto del cast: ne è testimonianza, fra le altre, la lunga sequenza – girata senza interruzioni con la macchina da presa che segue gli attori – della fustigazione di Patsey. A tener testa a cotanta interpretazione, c’è quella di Chiwetel Ejiofor nel ruolo del protagonista: l'attore inglese, sulle prime dubbioso, coglie al meglio l'occasione della vita rendendo con efficacia prima lo spaesamento di Solomon e poi la sua determinazione a uscire dalla trappola in cui l'hanno ficcato senza piegare (troppo) la testa. Accanto a lui, si fanno ricordare in special modo due figure di donna di una tragicità se possibile crescente, ovvero l’Eliza di Adepero Oduye e la Patsey dell'esordiente Lupita Nyong’o, la cui addolorata performance le ha ben meritato la nomination all'Oscar (corrono per la statuetta anche Fassbender ed Ejiofor, oltre al film e al regista). Piccola, ma decisiva per la liberazione di Northup, è invece la parte di Brad Pitt, che però compare nella lunga lista dei produttori, a testimonianza del fatto che lo sforzo realizzativo è stato notevole per quello che, a tutti gli effetti, è un ‘filmone’: eppure, malgrado la meritoria denuncia (non va dimenticato che la schiavitù esiste ancora), la notevole partecipazione di tutti quanti, le emozioni comunque suscitate anche grazie alla colonna sonora di Hans Zimmer alternata ai canti di lavoro nelle piantagioni, ’12 anni schiavo’ fatica a colpire nel profondo. Per carità, si tratta sempre di un film che sta tra il buono e l'ottimo, ma forse il fatto che sia tutto chiaro ed esplicito rende impossibili gli angoli bui e i momenti indefiniti che congiurano perchè, ad esempio, una pellicola pur non perfetta come ‘Shame’ si piazzi nell'animo dello spettatore e cresca con il passare del tempo.
(Quindi, a essere precisi, sarebbero tre stelle e mezza)
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nikthequik
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mercoledì 26 febbraio 2014
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potente, crudo, umano
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Se McQueen ci ha fatto provare emozioni forti con Hunger e Shame, qui ci fa uscire dal cinema come se avessimo subito anche noi le frustate, si esce dalla sala provati fisicamente.
Attori meravigliosi veramente straordinari, Ejiofor e Lupita su tutti, ti trasportano in questa incredibile storia di schiavitù e ingiustizie, Brad Pitt si infila visto che è produttore ma con scarsi risultati.
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Se McQueen ci ha fatto provare emozioni forti con Hunger e Shame, qui ci fa uscire dal cinema come se avessimo subito anche noi le frustate, si esce dalla sala provati fisicamente.
Attori meravigliosi veramente straordinari, Ejiofor e Lupita su tutti, ti trasportano in questa incredibile storia di schiavitù e ingiustizie, Brad Pitt si infila visto che è produttore ma con scarsi risultati.
Utilizzo del sonoro perfetto e moderno, soprattuto nelle scene delle funzioni religiose che spiazza ed emoziona.
Non è il genere di film da vedere per passare una serata tranquilla perché è di una forza e potenza allucinanti. McQueen garanzia di emozioni crude, forti e vere.
Attendetevi le lacrime durante la proiezioni...quindi due e tre fazzoletti servono.
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andrea marcon
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venerdì 21 febbraio 2014
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solo un pugno nello stomaco?
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Film assolutamente di livello, con interpretazioni degne di menzione (al netto di qualche facile ed eccessiva stereotipazione: ma in un film - che non ha a disposizione 600 pagine per calarci nella mente dei personaggi - ci sta). E però, però... personalmente, dopo 15 minuti mi è venuto istintivamente di volgere lo sguardo; mi sono detto "vuoi davvero vedere di quali nefandezze è capace un essere umano di razza caucasica? per due ore e mezza?" perché il film non mi avrebbe rivelato nessuna sorpresa, sapevo benissimo che il protagonista sarebbe sceso all'inferno e che la trama/non-trama avrebbe svolto il suo inevitabile filo di dolore, rabbia, sopportazione e infinita stupidità umana...
Pregevole qualche guizzo di regia, bravissimi gli attori, ma per chi conosce la storia del cinema (e la storia tout-court) un pugno nello stomaco che forse vorremmo evitarci.
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(di angydepp)
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pascale marie
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mercoledì 26 febbraio 2014
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libertà rubata
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Steve McQueen con questo film, tratto purtroppo da una storia vera, si è riconfermato un grande regista e tutto il suo cast ha lavorato molto bene, soprattutto Michael Fassbender che ha dato prova ancora una volta, della sua bravura, interpretando magistralmente il ruolo di Edwin Epps. Il tema della storia, lo schiavismo, è uno dei più imbarazzanti per il genere umano, e al di là dello schermo, ci sembra inverosimile ed incredibile che sia realmente esistito e che tali cattiverie, atrocità e brutalità siano state veramente inflitte ad esseri umani e solo " per un colore ". Mi viene spontaneo paragonarlo allo sterminio degli ebrei e non posso che rabbrividire.
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Steve McQueen con questo film, tratto purtroppo da una storia vera, si è riconfermato un grande regista e tutto il suo cast ha lavorato molto bene, soprattutto Michael Fassbender che ha dato prova ancora una volta, della sua bravura, interpretando magistralmente il ruolo di Edwin Epps. Il tema della storia, lo schiavismo, è uno dei più imbarazzanti per il genere umano, e al di là dello schermo, ci sembra inverosimile ed incredibile che sia realmente esistito e che tali cattiverie, atrocità e brutalità siano state veramente inflitte ad esseri umani e solo " per un colore ". Mi viene spontaneo paragonarlo allo sterminio degli ebrei e non posso che rabbrividire. Certe scene crude e terrificanti che il regista ci ha esplicitamente mostrato, non fanno scalpore per se stesse, non sono immagini solo di un film o di una fiction, ma fanno scalpore perchè sono fatti realmente accaduti e solo per questo dovremmo scandalizzarci. Il regista è solo un reporter che cerca di informarci su avvenimenti storici e che svolge il suo lavoro in maniera corretta e sincera. Solomom Northup di Saratoga, nello Stato di New York, era un uomo libero, un uomo e padre amato ed un apprezzato violinista che con l'inganno è stato incatenato, venduto come schiavo e deportato in Louisiana, uno degli Stati del Sud, dove nel 1841 lo schiavismo era praticato e confermato dalla Legge. Solomon "sballottato" come merce da un padrone all'altro, e dopo aver assaporato un briciolo di bontà dal gentile ma debole Mr. Ford, finisce a raccogliere il cotone nella piantagione dello spietato, crudele e sadico Edwin Epps e di sua moglie. I coniugi Epps non risparmiano insulti e terribili umiliazioni corporali e verbali a nessuno e come Solomon, la giovane Patsy è il bersaglio, dove a fasi alternate si scatena il folle capriccioso amore e la crudele follia di Epps, che consapevole della sua malvagità sembra goderne. Solomon, con la sua incredibile pazienza e la sua grande e sorprendente dignità riesce a sopravvivere ad Epps e la speranza di tornare un giorno libero si fa reale quando incontra Mr. Bass, un libero costruttore di case del Nord, che informerà la famiglia delle sue condizioni reali. Una visita inaspettata alla casa di Epps, dove Solomon messo a confronto riconosce Mr. Parker, sarà la fine dei suoi incubi e gli ridarà, dopo 12 anni di inferno, la libertà e niente valgono le urlanti recriminazioni di Epps per la "sua proprietà" che gli viene sottratta. Solomon non vincerà le cause legali, ci vorrà ancora qualche anno prima che un repubblicano di nome Lincoln abolirà anche negli Stati del Sud la schiavitù. Questo film dovrebbe far pensare e riflettere tutti noi, per quello che è avvenuto ma soprattutto perchè situazioni così non si ripetano mai più in nessun Paese del Mondo e per nessun essere umano. Siamo tutti uguali e tutti abbiamo il diritto di vivere dignitosamente per quello che siamo, non importa il colore, la religione o chi amiamo, la nostra vita è la cosa più preziosa che ogni uomo, donna deve rispettare. Questa è la mia speranza e sono convinta anche del regista e di tutti Voi. Film da vedere.
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