12 anni schiavo |
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Un film di Steve McQueen (II).
Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti.
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Titolo originale 12 Years a Slave.
Biografico,
durata 134 min.
- USA 2013.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 20 febbraio 2014.
MYMONETRO
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12 anni schiavo
di catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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martedì 25 febbraio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nel 1841, Solomon Northup viene rapito a New York, dove vive libero assieme alla famiglia e si guadagna da vivere suonando il violino, e viene deportato come schiavo negli Stati del sud, in crisi di manodopera per le difficoltà sulle rotte negriere dall'Africa. Per raccontarne il lungo incubo prima di ritrovare la libertà, l'inglese Steve McQueen cambia alcune coordinate del suo fare cinema e, quasi a volerlo far intendere subito, utilizza più di una parola nel titolo: si tratta di un film più corale rispetto ai precedenti, che sono dedicati allo scavo psicologico di un solo personaggio, non c’è Fassbender come protagonista assoluto e, soprattutto, la scrittura è affidata a qualcun altro. E’ difatti di John Ridley la sceneggiatura costruita sulle memorie di Northup – che sapeva leggere e scrivere, anche se fu costretto a nasconderlo nei suoi anni di schiavitù – finendo però per essere l'anello debole del lavoro: pur non essendo in nessun punto davvero piatta, la storia non sorprende davvero mai e rende meno efficace l'impatto complessivo. Impatto che, invece, beneficia dell'accuratissimo lavoro della regia sull'immagine: se McQueen conferma la sua bravura nel costruire le inquadrature filmando un profondo sud opprimente dal punto di vista fisico e psicologico (il direttore della fotografia è il fido Sean Bobbitt), il regista inglese dà il meglio di sé nella rappresentazione della fisicità umana, in perfetta continuità con le sue opere precedenti. Si tratta di corpi sofferenti, con in primo piano piaghe sulla pelle che riflettono quelle dell'anima, e di volti che non si vergognano di esprimere i sentimenti – come dice esplicitamente Eliza in una delle tante scene in cui si piange come fontane – raccontando i pensieri che stanno dentro gli sguardi. L'orrore infinito della schiavitù sta nella sgradevolezza dei personaggi interpretati, in piccole ma significative parti, da Paul Dano e Paul Giamatti, oltre che nella gelida cattiveria della signora Epps di Sarah Paulson: se pare vacillare la coscienza di Ford, il primo padrone di Solomon - Benedict Cumberbatch esce di scena troppo presto -, la ferocia del secondo, Epps, la compensa abbondantemente. Nei suoi scomodi panni, l'attore preferito di McQueen, cioè Fassbender, disegna con grande profondità il ritratto di un uomo apparentemente senza sentimenti, violento con più di una punta di sadismo e alcolizzato, rubando se non la scena quantomeno l'attenzione rispetto al resto del cast: ne è testimonianza, fra le altre, la lunga sequenza – girata senza interruzioni con la macchina da presa che segue gli attori – della fustigazione di Patsey. A tener testa a cotanta interpretazione, c’è quella di Chiwetel Ejiofor nel ruolo del protagonista: l'attore inglese, sulle prime dubbioso, coglie al meglio l'occasione della vita rendendo con efficacia prima lo spaesamento di Solomon e poi la sua determinazione a uscire dalla trappola in cui l'hanno ficcato senza piegare (troppo) la testa. Accanto a lui, si fanno ricordare in special modo due figure di donna di una tragicità se possibile crescente, ovvero l’Eliza di Adepero Oduye e la Patsey dell'esordiente Lupita Nyong’o, la cui addolorata performance le ha ben meritato la nomination all'Oscar (corrono per la statuetta anche Fassbender ed Ejiofor, oltre al film e al regista). Piccola, ma decisiva per la liberazione di Northup, è invece la parte di Brad Pitt, che però compare nella lunga lista dei produttori, a testimonianza del fatto che lo sforzo realizzativo è stato notevole per quello che, a tutti gli effetti, è un ‘filmone’: eppure, malgrado la meritoria denuncia (non va dimenticato che la schiavitù esiste ancora), la notevole partecipazione di tutti quanti, le emozioni comunque suscitate anche grazie alla colonna sonora di Hans Zimmer alternata ai canti di lavoro nelle piantagioni, ’12 anni schiavo’ fatica a colpire nel profondo. Per carità, si tratta sempre di un film che sta tra il buono e l'ottimo, ma forse il fatto che sia tutto chiaro ed esplicito rende impossibili gli angoli bui e i momenti indefiniti che congiurano perchè, ad esempio, una pellicola pur non perfetta come ‘Shame’ si piazzi nell'animo dello spettatore e cresca con il passare del tempo.
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