cassiopea
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giovedì 6 marzo 2014
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a che servono le censure?
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Riguardo questo film sono state dette tante cose, tra cui ho sentito pronunciare la parola "spettacolarizzazione". Ora, io non vedo come si possa parlare di questo film in termini di superficialità e spettacolo. Lo trovo a dir poco inappropriato. Sembra davvero che le persone non tollerino la crudeltà "nuda", spiattellata davanti agli occhi in tutta la sua forza, neppure se rispecchia una verità storica. Tutti sanno che quelle barbarie sono accadute, ciascuno di noi è a conoscenza della brutalità di cui l'uomo è capace, tutti (o quasi) abbiamo studiato a scuola la schiavitù. Perchè dunque dare a questa crudeltà un "volto", attraverso delle immagini, risulta ad alcuni una spettacolarizzazione? Se è questo che è accaduto, esattamente questo, perchè dobbiamo censurare la verità?
E' la reale violenza delle immagini a rendere grande questo film, insieme all'abilità recitativa ed alla forza delle emozioni che traspaiono da essa.
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Riguardo questo film sono state dette tante cose, tra cui ho sentito pronunciare la parola "spettacolarizzazione". Ora, io non vedo come si possa parlare di questo film in termini di superficialità e spettacolo. Lo trovo a dir poco inappropriato. Sembra davvero che le persone non tollerino la crudeltà "nuda", spiattellata davanti agli occhi in tutta la sua forza, neppure se rispecchia una verità storica. Tutti sanno che quelle barbarie sono accadute, ciascuno di noi è a conoscenza della brutalità di cui l'uomo è capace, tutti (o quasi) abbiamo studiato a scuola la schiavitù. Perchè dunque dare a questa crudeltà un "volto", attraverso delle immagini, risulta ad alcuni una spettacolarizzazione? Se è questo che è accaduto, esattamente questo, perchè dobbiamo censurare la verità?
E' la reale violenza delle immagini a rendere grande questo film, insieme all'abilità recitativa ed alla forza delle emozioni che traspaiono da essa. Peccato per la caratterizzazione sommaria di alcuni personaggi, che sarebbe stato interessante conoscere un po' meglio.
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mauridal
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sabato 8 marzo 2014
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la scelta di solomon "12 anni schiavo"
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quando un giovane artista inglese, colto ed intellettuale come steve mc queen, di formazione molto britisch ,studi in college a londra, ha poi una svolta newyorkese , riscopre le sue origini nere e inizia il lavoro di regista cinematografico, allora riusciamo a comprendere meglio, le sue scelte nella riscoperta della tematica dello schiavismo americano nel 1840 , al tempo della seccessione nord sud ante Lincoln e nel pieno della formazione culturale americana, della separazione razziale tra bianchi e neri .Dunque comprendiamo, approvandola, la scelta di realizzare un film per raccontare la storia vera di un uomo nero ,libero cittadino di New York Solomon Northup ,violinista , che diventerà per l’inganno degli amici bianchi , schiavo negro comprato e segregato da ricchi bianchi proprietari delle piantagioni di cotone degli stati del sud.
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quando un giovane artista inglese, colto ed intellettuale come steve mc queen, di formazione molto britisch ,studi in college a londra, ha poi una svolta newyorkese , riscopre le sue origini nere e inizia il lavoro di regista cinematografico, allora riusciamo a comprendere meglio, le sue scelte nella riscoperta della tematica dello schiavismo americano nel 1840 , al tempo della seccessione nord sud ante Lincoln e nel pieno della formazione culturale americana, della separazione razziale tra bianchi e neri .Dunque comprendiamo, approvandola, la scelta di realizzare un film per raccontare la storia vera di un uomo nero ,libero cittadino di New York Solomon Northup ,violinista , che diventerà per l’inganno degli amici bianchi , schiavo negro comprato e segregato da ricchi bianchi proprietari delle piantagioni di cotone degli stati del sud. Dunque una vicenda pienamente americana che riguarda la formazione politica e culturale di quelli che poi di lì a poco saranno gli Stati Uniti d’America , potenza economica e militare del mondo. Tuttavia il regista coglie e propone oggi, una contraddizione e una ferita, sì rimarginata nel corpo degli americani ma ancora bruciante come il razzismo e la relativa tendenza a ripercorrere vecchie strade di schiavismo e separazione. In forme differenti, certo, non essendovi oggi in America schiavi, neri o americani di colore , segregati, fisicamente, pur essendoci grosse differenze tra ricchi e miserabili . La forma di razzismo cambia e si tramuta in separazione economica, in mancato sviluppo e marginalità sociale. Il film racconta di come quest’uomo nero , Solomon, forte di animo e di principi di giustizia, rimane incrollabile di fronte le torture sadiche inflittegli dai padroni bianchi per lunghi 12 anni, ma sempre in attesa del riscatto finale e della libertà che in fondo lui cerca e sa di trovare nelle leggi e nella giustizia americana. Solomon , non è un ribelle rivoluzionario, anzi , si piega alla schiavitù rimanendo un uomo libero nella sua mente e nella sua arte di musicista. La scelta di Solomon , agli occhi dei neri contemporanei d’America forse è discutibile, ma il giovane regista Mc Qeen la rispetta, e la ripropone a tutta l’America democratica per ribadire che il popolo nero ha conquistato a duro prezzo la Libertà , e che difficilmente tornerà indietro. Un film di buon cinema narrativo, ben interpretato da tutti i protagonisti, che lo spettatore anche nelle scene più cruenti, vuole condividere, per la definitiva condanna del razzismo e della schiavitù vere piaghe del genere umano. mauriziodalessio
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alessiomovie
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lunedì 10 marzo 2014
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drammatica storia di un uomo nero libero americano
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“12 anni schiavo” è la drammatica storia di un uomo nero libero americano di nome Solomon Northup.
Il film è ambientato in una cittadina dello stato nordista di New York nel 1841. Solomon è un musicista di colore, libero e sposato con una moglie e due figli. Illuso ed ingannato da due brutti ceffi, si ritrova nella condizione di schiavo senza documenti né possibilità di fuga e con il nuovo nome di Blatt.
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“12 anni schiavo” è la drammatica storia di un uomo nero libero americano di nome Solomon Northup.
Il film è ambientato in una cittadina dello stato nordista di New York nel 1841. Solomon è un musicista di colore, libero e sposato con una moglie e due figli. Illuso ed ingannato da due brutti ceffi, si ritrova nella condizione di schiavo senza documenti né possibilità di fuga e con il nuovo nome di Blatt. Venduto a uno schiavista nel porto di New Orleans, comincerà a lavorare come taglialegna presso la famiglia Ford, poi passerà alla piantagione di cotone di Edwin Epps. La figura di quest’ultimo proprietario terriero è quella più crudele della pellicola e rappresenta lo stereotipo dello schiavista sudista, che uscirà sconfitto dalla guerra di secessione americana alla fine del secolo. Dopo varie peripezie durate dodici anni, Solomon riesce a tornare dalla propria famiglia. All’interno della storia emerge un crudele triangolo di amore e odio, o meglio di violenza e passione, tra i coniugi Epps e la giovane schiava nera Patsey che riesce a esemplificare non solo la durezza della condizione di schiavo, ma anche le psicosi e la mentalità di quel genere di uomo bianco.
Il cast è fenomenale: Chiwetel Ejiofor (Solomon Northup), Michael Fassbender (Edwin Epps), Sarah Paulson (Mary Epps), Lupita Nyong’o (Patsey) e Brad Pitt (nel ruolo di Samuel Bass).
Da sottolineare l’interpretazione di Michael Fessbender e di Lupita Nyong’o, vincitrice del premio Oscar: il primo riesce a diventare sul set duro, cattivo, spietato, perfido, molesto e a tratti pazzo, mentre la giovane attrice naturalizzata keniota porta in primo piano la sofferenza e la resa nei confronti del padrone.
Il film è bello, a tratti commovente e toccante, purtroppo un po’ lento nelle fasi centrali.
Allo spettatore rimangono i colpi di frusta e il dolore nel volto di un uomo che è stato soggiogato da persone senza scrupoli.
Il regista Steve McQueen fa suo il libro autobiografico di Solomon Northup e racconta la schiavitù e la successiva riconquista della propria vita da una diversa visuale, quella di un uomo che già conosceva la libertà. La pellicola fa anche riflettere come sia cambiata oggi l’America e quali siano stati i travagliati passaggi per raggiungere questa situazione.
Il mio giudizio è “Si deve vedere” e si passerà una serata emozionante che lascerà spunto a molte riflessioni.
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nik deco
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martedì 29 aprile 2014
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tra spielberg e tarantino: l'anna frank d'america
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Nessuna descrizione può risultare tanto appropriata come quella data da Steve McQueen in merito alla sua ultima, olimpica,fatica registica, 12 anni schiavo: il film evento dell’anno è “una storia d’amore”. Uscito a febbraio nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola, vincitrice di 3 Academy Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale), basandosi seppur con qualche licenza narrativa sull’autobiografia di Solomon Northup, narra la reale storia di un violinista nero (magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor) che a metà ‘800 viene ingannato, privato della sua libertà e venduto come schiavo. Dapprima per William Ford e successivamente per Edwin Epps, Solomon lavorerà in Louisiana come schiavo nelle piantagioni per 12 anni, prima di poter ricongiungersi con la propria famiglia, creando durante la prigionia un profondo legame affettivo con la schiava Patsey (Lupita N’Yongo) che lo accompagnerà fino al termine della narrazione.
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Nessuna descrizione può risultare tanto appropriata come quella data da Steve McQueen in merito alla sua ultima, olimpica,fatica registica, 12 anni schiavo: il film evento dell’anno è “una storia d’amore”. Uscito a febbraio nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola, vincitrice di 3 Academy Awards (miglior film, miglior attrice non protagonista e miglior sceneggiatura non originale), basandosi seppur con qualche licenza narrativa sull’autobiografia di Solomon Northup, narra la reale storia di un violinista nero (magistralmente interpretato da Chiwetel Ejiofor) che a metà ‘800 viene ingannato, privato della sua libertà e venduto come schiavo. Dapprima per William Ford e successivamente per Edwin Epps, Solomon lavorerà in Louisiana come schiavo nelle piantagioni per 12 anni, prima di poter ricongiungersi con la propria famiglia, creando durante la prigionia un profondo legame affettivo con la schiava Patsey (Lupita N’Yongo) che lo accompagnerà fino al termine della narrazione.
Non bastano i premi cinematografici, seppur numerosi e prestigiosi, a descrivere un film che a buon diritto completa ma non conclude il discorso partorito da un illuminato cinema hollywoodiano con il pastorale ritratto politico del Lincoln di Spielberg e il sanguinario ed eccentrico, ma mai banale o riduttivo, Django Unchained di Tarantino. Sono proprio questi registi a cui McQueen si riallaccia fondendo stili narrativi e artistici dell’uno e dell’altro, dando origine a una armonica e conturbante mescolanza di amore, violenza e nostalgia. La forza motrice dell’opera sta proprio nell’affermazione dialogica tra la violenza e l’amore: il regista si rende capace di superare l’olocaustica concezione cinematografica della schiavitù, fatta di dramma e omaggio, per approdare ad una risoluzione del tutto nuova nella trattazione del tema. Gli occhi di cui McQueen si serve per sondare il campo relazionale dei personaggi non sono gli occhi omniscenti del regista, e nemmeno quelli del suo protagonista. L’innovazione si riscontra nella scelta del protagonista: non è Solomon, non è nessuno schiavo. È Edwin Epps (Michael Fassbender, per questo ruolo condidato all’Oscar), l’insensibile schiavista di stampo tarantiniano che apporta al film una concreta dose di violenza e odio. Non l’estroso gusto sanguinario di Tarantino, bensì una violenza reale, esacerbata che molto ricorda il Munich di Spielberg. Solomon e Petsey vengono posti in secondo piano: non sono che narratori terzi della loro tragedia, incapaci di comprendere razionalmente la brutale realtà che li circonda ma fiduciosi nel fatto che l’amore è presente in tutti, persino nella più profonda inumanità. Ma se la costante speranza di fraternità tra bianchi e neri di Solomon in conclusione risulta essere legittimata da quei bianchi che gli garantiranno la libertà, il desiderio di giustizia degli altri personaggi viene sistematicamente frustrato. Nei concenti campi di cotone il blues e il gospel richiamano alla provvidenza divina: gruppi di schiavi esausti trovano la forza per sopravvivere nel canto, richiamo spirituale di una forza travolgente ma assente, l’amore appunto. Il simbolismo musicale non si riduce a ciò: il violino di Solomon è l’unico mezzo che stabilisce il legame con il suo passato da uomo libero, sia che lo condanna ad essere riconosciuto come diverso dagli altri neri, “allevati come bestie” per servire i padroni.
Tuttavia McQueen, a differenza dei suoi mentori, pur padrone di eccellenti spunti riflessivi, manca di quella capacità di approfondire e portare a compimento ciò che viene proposto. La regia è rapida, corre di fronte a un film che in alcuni tratti risulta superfluo e in altri fin troppo esauriente (incerta la scelta di lunghe inquadrature fisse su volti, azioni e paesaggi), lancia messaggi ed emozioni allo spettatore in continua sequenza, e prima che si possa compiere l’atto di partecipazione emotiva alle vicende narrate, subito è necessario riprendere i fili della narrazione, nervosa e incompleta. Narrazione frutto del desiderio del regista per una narrazione omniscente e un narratore che è, all’opposto, forzatamente passivo e spettatoriale. Non basta neanche la vena di sadismo, leitmotiv di McQueen già in Shame e in Hunger, approfonditamente trattata, a conferire al film la concretezza e il pathos necessari a definirla un capolavoro. La tentata fusione delle provate visioni spielberghiane e tarantiniane si risolve in una regia immatura, che non soddisfa le aspettative di un’opera così importante. Non un’occasione sprecata, ma sicuramente non sfruttata al meglio. I migliori frutti del film sono concepiti dagli attori, magnifici e accademici nei loro rispettivi ruoli e capaci di trasmettere tutto ciò che una così importante sceneggiatura è tenuta a inculcare. Un film ben distante dai livelli raggiunti dalle precedenti opere sullo schiavismo, ma sicuramente una tappa fondamentale nel percorso di maturazione del regista, e capace di offrire un innovativo punto di vista, svincolato dai canoni di compassione e generalizzazione per così tanto tempo seguiti dal cinema hollywoodiano. Una dettagliata descrizione, un diario di sentimenti su una tragedia così grande vista da occhi tanto piccoli.
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sabrina lanzillotti
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sabato 21 giugno 2014
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la storia di un uomo e di migliaia come lui
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12 anni schiavo è la vera storia di Solomon Northup, un talentuoso violinista di colore che conduce una vita agiata con sua moglie e i due figli. Ma siamo nel 1841 e in America i neri sono ottimi animali da impiegare nei campi e da frustrare per mero divertimento, e Solomon non fa eccezione; rapito con l’inganno e privato dei documenti, il violinista diventerà uno schiavo e per 12 anni lavorerà ne campi, maltrattato e umiliato per il semplice fatto dii essere nero.
Con 12 anni schiavo il regista Steve McQueen porta sullo schermo la pagina più buia della storia americana: la schiavitù, denunciando gli abusi, le umiliazioni e le violenze subite da migliaia di uomini, donne e bambini e lo fa colpendo lo spettatore con immagini semplici e allo stesso tempo crude.
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12 anni schiavo è la vera storia di Solomon Northup, un talentuoso violinista di colore che conduce una vita agiata con sua moglie e i due figli. Ma siamo nel 1841 e in America i neri sono ottimi animali da impiegare nei campi e da frustrare per mero divertimento, e Solomon non fa eccezione; rapito con l’inganno e privato dei documenti, il violinista diventerà uno schiavo e per 12 anni lavorerà ne campi, maltrattato e umiliato per il semplice fatto dii essere nero.
Con 12 anni schiavo il regista Steve McQueen porta sullo schermo la pagina più buia della storia americana: la schiavitù, denunciando gli abusi, le umiliazioni e le violenze subite da migliaia di uomini, donne e bambini e lo fa colpendo lo spettatore con immagini semplici e allo stesso tempo crude. L’intenzione del regista è ammirevole, ma la sua realizzazione no. McQueen non riesce a penetrare nel profondo nella vita dei suoi personaggi e, tranne qualche scena cruenta, il film si presenta come un’ analisi superficiale degli avvenimenti.
A peggiorare le sorti del film ci pensa il proibizionista Samuel Bass, interpretato da Brad Pitt che, comparso solo nell’ultima parte del film, ne diventa il protagonista indiscusso, apparendo perfino nelle locandine come se fosse il personaggio principale. E alla fine, dopo aver seguito per 2 ore le vicissitudini di Solomon, ci troviamo ad assistere al trionfo dell’uomo bianco, senza l’aiuto del quale la storia dello schiavo nero non avrebbe trovato il lieto fine.
In conclusione, 12 anni schiavo sarebbe potuto diventare il film più discusso e scomodo del 2014, ma si è rivelato niente più che un insieme di personaggi stereotipati in cuoi il salvatore è, ancora una volta, l’uomo bianco, che questa volta viene dal Canada.
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vaness
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venerdì 27 giugno 2014
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buono ma forse non troppo
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Decisamente buona e convincente la nuova pellicola favorita agli oscar 2014: 12 anni schiavo,per la regia di Steve McQueen. Sceneggiatura originale tratta dall'autobiografia di Solomon Northup,uomo nato libero,rapito a Washington nel 1841 e fatto schiavo per dodici anni. Il film vanta indubbiamente di un' ottima regia, presente e accurata:camere fisse,ottimi piani sequenza e inquadrature di dettagli su scene particolarmente importanti per la narrazione,una fotografia molto poetica nel descrivere immagini talvolta anche molto forti,che riflettono spesso i sentimenti che il protagonista prova e le tappe della sua storia il tutto unito da un montaggio molto serrato che ci permette di seguire lo svolgimento delle azioni e l'evoluzione dei personaggi; non dimentichiamo certamente le musiche strumentali di Zimmer.
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Decisamente buona e convincente la nuova pellicola favorita agli oscar 2014: 12 anni schiavo,per la regia di Steve McQueen. Sceneggiatura originale tratta dall'autobiografia di Solomon Northup,uomo nato libero,rapito a Washington nel 1841 e fatto schiavo per dodici anni. Il film vanta indubbiamente di un' ottima regia, presente e accurata:camere fisse,ottimi piani sequenza e inquadrature di dettagli su scene particolarmente importanti per la narrazione,una fotografia molto poetica nel descrivere immagini talvolta anche molto forti,che riflettono spesso i sentimenti che il protagonista prova e le tappe della sua storia il tutto unito da un montaggio molto serrato che ci permette di seguire lo svolgimento delle azioni e l'evoluzione dei personaggi; non dimentichiamo certamente le musiche strumentali di Zimmer. I personaggi sono sufficientemente approfonditi psicologicamente e caratterialmente, con tali interpretazioni riusciamo perfettamente ad immedesimarci nelle situazioni vissute dai personaggi. La storia ruota sul tema della spersonalizzazione dell'uomo che è l'effetto della schiavitù sul genere umano e Solomon non esita mai a ricordarcelo,il tutto trattato con una crudezza di immagini molto realistica. Difetti purtroppo ce ne sono. Il film punta molto sul tempo,sulla durata della schiavitù che il personaggio di Solomon ha vissuto; il tempo della storia però è molto approssimativo,non sono presenti molti particolari che ci fanno sentire il passare di questi dodici anni e se sono presenti sono solo accennati,si basano magari solo su particolari fisici secondari e non psicologici. Il personaggio della schiava Patsey,interpretata da Lupita Nyong'o è caratterizzato dall'amicia nata con Solomon,che dovrebbe far sviluppare psicologicamente il personaggio di lei anche se in realtà ciò non è mai definito particolarmente e mostrato palesemente. I dialoghi mai brillanti,affidano quasi tutto forse ai silenzi e alle interpretazioni più che buone.
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paolp78
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domenica 22 marzo 2015
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poco convincente sul piano narrativo
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Il film è interamente dedicato alla descrizione delle terribili condizioni in cui dovevano vivere i neri ridotti in schiavitù negli stati americani nei quali ancora tale pratica inumana era consentita, prima della sua abolizione avvenuta oltre venti anni dopo i fatti narrati nella pellicola: vengono messi a fuoco gli aspetti più odiosi e truci.
Ad aggiungere ulteriore dose di ingiustizia c'è la peculiare storia del protagonista: un uomo libero, padre di famiglia, istruito e ben inserito nella comunità in cui vive, che viene ridotto in schiavitù illegittimamente e di fatto rapito alla propria esistenza libera e tranquilla per essere sottoposto ad un inferno.
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Il film è interamente dedicato alla descrizione delle terribili condizioni in cui dovevano vivere i neri ridotti in schiavitù negli stati americani nei quali ancora tale pratica inumana era consentita, prima della sua abolizione avvenuta oltre venti anni dopo i fatti narrati nella pellicola: vengono messi a fuoco gli aspetti più odiosi e truci.
Ad aggiungere ulteriore dose di ingiustizia c'è la peculiare storia del protagonista: un uomo libero, padre di famiglia, istruito e ben inserito nella comunità in cui vive, che viene ridotto in schiavitù illegittimamente e di fatto rapito alla propria esistenza libera e tranquilla per essere sottoposto ad un inferno.
Si tratta di un film storico, quasi didascalico.
La storia risulta tuttavia piatta, priva di un finale e notevolmente ripetitiva. Alla fine del film si ha la sensazione di aver assistito quasi ad un documentario un po’ romanzato e certamente ben curato, ma non ad un’opera cinematografica vera e propria.
Nella parte iniziale lo spettatore si appassiona alle sorti del protagonista, ma poi l'attenzione ed il coinvolgimento vengono meno a causa della completa assenza di una evoluzione narrativa.
Il senso di frustrazione che viene accumulato durante la pellicola abbisognava di un riscatto finale sul quale era utile soffermarsi maggiormente; viceversa le sequenze finali sono marginali e molti fatti non vengono neppure messi in scena, ma semplicemente riferiti con delle scritte prima dei titoli di coda. A mio parere si tratta di una scelta infelice che fa perdere molto ad una storia da cui si poteva trarre una pellicola certamente più avvincente.
Risulta stucchevole anche la rappresentazione eccessivamente ideale ed aggraziata della vita quotidiana del protagonista quando era ancora libero; è chiaro che si sono voluti enfatizzare questi aspetti per evidenziare maggiormente il contrasto con la vita infernale dello schiavo, ma il risultato è comunque poco convincente.
Troppo manichea pare anche la scelta di rappresentare tutti i bianchi che accettavano e praticavano la schiavitù come persone totalmente insensibili, spregevoli e malvagie; questi sono tutti descritti come individui affetti dai peggiori vizi, infedeli, facili a scatti d’ira, amorali, infantili, ipocriti, violenti, sadici ed incapaci di qualsiasi atto di pietà (incapaci persino di comprendere il dolore di una madre strappata ai propri figli). Anche questa scelta indebolisce il film, sottraendone forza narrativa e riducendolo ad un mero esercizio di rappresentazione formale dell’inumanità di una pratica terribile.
Sicuramente era possibile tagliare diverse scene; il film risulta troppo lungo.
Resta comunque un film ben girato e molto apprezzabile nella forma.
L'interpretazione del protagonista, che non conoscevo, è particolarmente toccante.
Impeccabile la ricostruzione dell'America del tempo, ottimi i costumi e l'ambientazione scenografica.
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great steven
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martedì 16 giugno 2015
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grandiosa vicenda di corsa verso il riscatto.
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12 ANNI SCHIAVO (USA, 2014) diretto da STEVE MCQUEEN. Interpretato da CHIWETEL EJIOFOR, MICHAEL FASSBENDER, BENEDICT CUMBERBATCH, LUPITA NYONG'O, PAUL DANO, PAUL GIAMATTI, BRAD PITT, SARAH PAULSON, ALFRE WOODARD
Ispirato ad una commovente e lancinante storia vera. Quando corre l’anno 1841, Solomon Northup è un violinista di corte molto apprezzato per il suo talento fuori dal comune. Un mediatore gli fa conoscere due uomini che si spacciano per artisti circensi, i quali gli propongono di aggregarsi alla loro comitiva, ma è solo una copertura: si tratta infatti di negrieri che cercano merce umana da destinare ai campi di cotone dei ricchi proprietari terrieri del Sud statunitense.
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12 ANNI SCHIAVO (USA, 2014) diretto da STEVE MCQUEEN. Interpretato da CHIWETEL EJIOFOR, MICHAEL FASSBENDER, BENEDICT CUMBERBATCH, LUPITA NYONG'O, PAUL DANO, PAUL GIAMATTI, BRAD PITT, SARAH PAULSON, ALFRE WOODARD
Ispirato ad una commovente e lancinante storia vera. Quando corre l’anno 1841, Solomon Northup è un violinista di corte molto apprezzato per il suo talento fuori dal comune. Un mediatore gli fa conoscere due uomini che si spacciano per artisti circensi, i quali gli propongono di aggregarsi alla loro comitiva, ma è solo una copertura: si tratta infatti di negrieri che cercano merce umana da destinare ai campi di cotone dei ricchi proprietari terrieri del Sud statunitense. Imprigionato e costretto a lavorare come schiavo in un latifondo, Solomon assume il nome di Blett (che gli viene coercitivamente imposto dagli schiavisti) e si ritrova suo malgrado a fare i conti con una perdita della libertà personale che sembra irrevocabile e senza rimedio. Continua comunque a suonare il suo strumento prediletto e, finché gli è possibile, finge di essere analfabeta. Ma dopo aver risposto per le rime a un negriero che pretendeva di fargli aggiustare per il verso giusto una casa da costruire, viene destinato ad un’altra piantagione, sotto le direttive del dispotico e insensibile signor Epps. Agli ordini di questo tiranno, Solomon ne deve passare di tutti i colori e soffre parecchio, insieme alla schiava preferita dal ricco e spietato feudatario, la giovane Pepzee. Infine, l’incontro con un viaggiatore canadese abolizionista gli ridarà la speranza che aveva perduto in tutti e dodici gli anni della sua forzata schiavitù, e unitamente a questo aiuto insperato, Solomon scoprirà anche un insospettabile moto di fervida umanità nel suo padrone. Una volta fatti giungere i documenti necessari a testimoniare la sua vera identità e il suo diritto alla libertà, l’uomo di carnagione scura ritorna ad essere libero e si riunisce alla sua famiglia. S. McQueen (da non confondere con l’omonimo attore appassionato di corse automobilistiche che interpretò Bullitt, fra gli altri, e che visse fra il 1930 e il 1980) ha centrato in pieno un bersaglio sinceramente difficile da cogliere in tutto il senso della sua potenza e profondità: ha realizzato un film che affronta il tema della schiavitù con una marcia in più, la quale risiede nel fatto che l’opera si interroga sul perché questo male apparentemente inestirpabile esista sulla Terra, e anche sul motivo per cui debbano essere i neri a pagare sempre il prezzo più alto di una tortura che, nonostante il trascorrere dei secoli, sembra destinata a non esaurire mai la sua crudeltà. Lode, quindi, ad una sceneggiatura (che attinge a piene mani dall’autobiografia che lo stesso Solomon Northup pubblicò nel 1853, poco dopo aver riguadagnato la libertà) che sa mettere in campo pathos, desideri umanitari, speranza, lotta per la sopravvivenza, sarcasmo, voglia di ricominciare e sanguigno ardimento per uno scopo da ottenere che appare lontano anni luce, specialmente in una condizione come quella di uno schiavo vittima di razzismo e obbligato a fare i conti con un potere dittatoriale al quale non può opporsi, pena il ricevimento di sanzioni sempre più cruente e disumane. Ejiofor è uno straordinario protagonista che infonde tutto il suo impegno soprattutto nelle espressioni concitate e disperate di un uomo che sogna, più di ogni altra cosa al mondo, il proprio bene e quello di chi lo circonda, ben lungi dal desiderare che ad un essere umano vengano inflitti inutili e immeritati patimenti. Giustamente si tratta anche di una delle opere cinematografiche più premiate di tutto il 2014: Golden Globe per il miglior film drammatico, un premio BAFTA per C. Ejiofor e tre Oscar (Nyong'o, sceneggiatura non originale, film). Il personaggio di Pitt, che compare solo nell’ultima mezz’ora e in appena due scene, è la chiave di lettura indispensabile per comprendere come, all’interno di un medesimo gruppo etnico, possano sussistere diverse scuole di pensiero e differenti modi di intendere i diritti inalienabili e irrinunciabili di qualunque persona degna di chiamarsi così. Un successo di pubblico ben più che discreto, e anche questo meritevolmente sudato.
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aristoteles
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domenica 17 luglio 2016
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solomon e la libertà
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Ci sarebbe quanto basta per potere gridare al film di altissimo livello : storia tragica,schiavitù,inganni,sofferenze,ottimi costumi,buoni attori,etc.etc.
Purtoppo,almeno personalmente,sono arrivato a fine film con una certa difficoltà.
Non ho provato grandi emozioni,non sono riuscito a "soffrire" con il protagonista e a tratti mi sono anche annoiato.
Senza libertà l'uomo non può vivere e la pellicola andrebbe visionata solo per questo motivo,tuttavia, ripeto c'è una fiacchezza di fondo che non mi ha convinto,nonostante i tanti premi vinti.
Solomon ,ovviamente, non va dimenticato,forse la pellicola a lui dedicata non resterà nella storia.
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Ci sarebbe quanto basta per potere gridare al film di altissimo livello : storia tragica,schiavitù,inganni,sofferenze,ottimi costumi,buoni attori,etc.etc.
Purtoppo,almeno personalmente,sono arrivato a fine film con una certa difficoltà.
Non ho provato grandi emozioni,non sono riuscito a "soffrire" con il protagonista e a tratti mi sono anche annoiato.
Senza libertà l'uomo non può vivere e la pellicola andrebbe visionata solo per questo motivo,tuttavia, ripeto c'è una fiacchezza di fondo che non mi ha convinto,nonostante i tanti premi vinti.
Solomon ,ovviamente, non va dimenticato,forse la pellicola a lui dedicata non resterà nella storia.
Ai posteri l'ardua sentenza.
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greatsteven
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mercoledì 20 giugno 2018
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percorso accidentato dalla schiavitù alla libertà.
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12 ANNI SCHIAVO (USA/UK, 2013) diretto da STEVE MCQUEEN. Interpretato da CHIWETEL EJIOFOR, MICHAEL FASSBENDER, BENEDICT CUMBERBATCH, PAUL DANO, PAUL GIAMATTI, BRAD PITT, LUPITA NYONG'O, ALFRE WOODARD, GARRET DILLAHUNT, SARAH PAULSON
Nel 1841, prima della Guerra di Secessione, il talentuoso violinista di colore Solomon Northup è un uomo libero che vive con la moglie Anne e i figli Margaret e Alonzo a Saratoga, nello stato di New York. Imbrogliato da due falsi artisti circensi nella veste di agenti che credeva amici, si reca con essi a Washington, dove, dopo esser stato drogato, viene imprigionato, frustato, privato dei documenti che attestano la sua libertà e condotto in Louisiana, dove rimarrà fino al 1853, cambiando per tre volte padrone e lavorando principalmente nella piantagione di cotone dello spietato schiavista Edwin Epps, ricco e crudele proprietario agrario.
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12 ANNI SCHIAVO (USA/UK, 2013) diretto da STEVE MCQUEEN. Interpretato da CHIWETEL EJIOFOR, MICHAEL FASSBENDER, BENEDICT CUMBERBATCH, PAUL DANO, PAUL GIAMATTI, BRAD PITT, LUPITA NYONG'O, ALFRE WOODARD, GARRET DILLAHUNT, SARAH PAULSON
Nel 1841, prima della Guerra di Secessione, il talentuoso violinista di colore Solomon Northup è un uomo libero che vive con la moglie Anne e i figli Margaret e Alonzo a Saratoga, nello stato di New York. Imbrogliato da due falsi artisti circensi nella veste di agenti che credeva amici, si reca con essi a Washington, dove, dopo esser stato drogato, viene imprigionato, frustato, privato dei documenti che attestano la sua libertà e condotto in Louisiana, dove rimarrà fino al 1853, cambiando per tre volte padrone e lavorando principalmente nella piantagione di cotone dello spietato schiavista Edwin Epps, ricco e crudele proprietario agrario. Solomon è ormai ridotto in condizioni di pura e brutale schiavitù, e infila un incubo all’apparenza interminabile nel quale sperimenta la cattiveria degli uomini e la tragedia della sua gente. Fra la malvagità di Epps e inaspettati quanto rari atti di carità, Solomon (ribattezzato Blatt, che è costretto ad assumere come nome da schiavo) lotta non soltanto per sopravvivere, ma anche per conservare la propria dignità. A colpi di frusta datigli da padroni vigliaccamente deboli o dannatamente degeneri, il pover’uomo avanza nel cuore oscuro del calvario statunitense provando a resistere e a riappropriarsi del suo autentico nome. Nel dodicesimo anno della sua terrificante disavventura, l’incontro casuale con l’abolizionista canadese Samuel Bass gli fornisce una speranza e una chiave di svolta nelle quali non sperava quasi più, ponendo un termine alla sua vita d’inferno. Bass riesce a rintracciare la famiglia di Solomon, che così viene raggiunto, identificato e finalmente liberato. Tornato a casa, riabbraccia la moglie e i figli ormai divenuti adulti, fra cui Margaret che l’ha reso nonno partorendo un bambino che ha chiamato come suo padre. Come recitano i titoli di coda, negli anni successivi Solomon intentò una causa contro i rapitori che l’avevano schiavizzato, senza tuttavia riscuotere un esito positivo, e s’impegno in battaglie legali a favore del fronte abolizionista. Per il suo popolo, occorreranno ancora quattro anni, un conflitto civile e il proclama di emancipazione di un Presidente illuminato. Adattamento del romanzo omonimo e autobiografico di Northup, sceneggiato da John Ridley, è un sontuoso film sulla schiavitù, aggressivo, veemente, che senza scorciatoie mostra e narra la natura dell’uomo, in grado di provare o infliggere intollerabili soprusi fisici e psicologici su altri uomini; è la storia di un’ingiustizia subita da un uomo che riesce a resistere, a non perdere la sua dignità; ed è assieme la storia di una speranza. McQueen dirige con un approccio pratico, lineare, all’apparenza facile ma in realtà pragmatico e veritiero: in una cornice pittorica meravigliosa (la natura, gli ambienti, i costumi: fotografia di Sean Bobbitt), disegna personaggi/caratteri volutamente squadrati, il martire, il vigliacco, il sadico, la vittima, il buono, gli indifferenti, per convincere lo spettatore a vedere, comprendere, indignarsi, commuoversi. Vi si può riscontrare anche un sottotesto religioso che, schivando abilmente le pretese di estremismo o di moralismo, traccia la figura di un Cristo di carnagione scura che però scampa alla morte, ma pur tuttavia, come il suo omologo originale, risorge, una volta riconquistata la libertà. C’è perfino un’analogia con Il pianista (2002) di Roman Polanski: il film del regista polacco raccontava la storia, anch’essa reale, di Wladyslaw Szpilman, suonatore di pianoforte rifugiatosi nel ghetto di Varsavia per non subire la stessa sorte dei parenti, deportati nei campi di sterminio; la sua musica gli ha permesso di sopravvivere. Solomon Northup è solo nella sua disgrazia e, a differenza di Szpilman, è meno fortunato dei suoi congiunti, ma continuare a suonare il violino malgrado la schiavitù gli dà il coraggio di tirare avanti anche in quelle feste in cui il razzismo dei proprietari terrieri costringe la servitù a ballare a suon di musica o, ancora peggio, per quanto paradossale possa sembrare, ricevere compensi sottoforma di cibo per l’ottimo lavoro svolto, come in un rapporto asino-contadino in cui ancora vigono il bastone e la carota. Interpreti da applauso: Ejiofor tira fuori il meglio di sé, facendosi anche conoscere dal pubblico internazionale per la prima volta, nel delineare un uomo istruito e pertinace; Fassbender è un credibilissimo antagonista principale che somministra le nerbate come confetti, tradisce la moglie e punisce chi, alle sue dipendenze, ha raccolto la minor quantità di libbre di cotone; Cumberbatch è il più umano dei proprietari terrieri che acquistano il protagonista, costretto però a trasferirlo dopo che questi ha avuto uno screzio e poi una colluttazione col capo-carpentiere (un P. Dano senza baffi dal piglio perfido e arrogante); Giamatti è un efficace mercante di schiavi molto abile nel contrattare sui prezzi di ciascuno, soprattutto scrupoloso nell’indicazione delle qualità al fine di arricchirsi a più non posso; L. Nyong'o è a suo agio nei panni della giovanissima e minuta schiava che supera i maschi nella raccolta del cotone, dapprima nelle grazie del padrone, dopodiché a lui invisa e peggio ancora da lui odiata non appena Epps scopre i suoi maneggi (del tutto innocui e innocenti, fra l’altro) con Solomon, il che le costa un numero incalcolabile di ferite inflitte alla schiena; S. Paulson recita il ruolo della signora Epps rimproverando al marito le scappatelle extraconiugali, non nascondendo mai il suo disprezzo razziale ma conservando comunque un certo tono di fermezza che le permette di esprimersi sempre con la testa sulle spalle; infine, il bravissimo B. Pitt (anche co-produttore), nonostante compaia solo in due sequenze, espleta magnificamente l’esegesi del rapporto uomo bianco-uomo nero in cui il primo, se agisce con virulenza nei confronti del secondo, un domani dovrà rispondere delle sue azioni riprovevoli a un’entità superiore, sfoderando la saggezza del viaggiatore che conosce a fondo gli esseri umani e meglio ancora la loro inderogabile necessità di uguaglianza reciproca. Oscar 2014 per il miglior film, sceneggiatura non originale e attrice non protagonista (Nyong'o).
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