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Il pop reinventato

Il teen movie impasticciato di Harmony Korine.
di Roy Menarini

In foto le protagoniste del film.

domenica 10 marzo 2013 - Approfondimenti

La formula più accattivante l'ha ideata il critico francese Serge Kaganski, che per descrivere Spring Breakers lo ha definito "il film che avrebbe girato Godard se avesse bevuto bevuto litri di energy drink". Provocazione a parte, l'idea non è peregrina. Forse è troppo considerare Spring Breakers come Il bandito delle undici della generazione MTV, però ci avvicina al senso dell'operazione cinematografica. D'altra parte, Korine - con la sua fama maledetta e una filmografia a dir poco destabilizzante - non sembra aver alcuna intenzione di offrire appigli ai suoi spettatori: ogni volta che il film pare instradarsi verso un racconto morale dallo stile iperrealista e allucinato, le scale di valori vengono subito invertite; e ogni volta che sembra lasciarsi andare all'esaltazione coatta delle sue bad girls, ecco che il racconto prende una piega tutt'altro che affettuosa verso i personaggi.
È forse da questa imprevedibilità di atteggiamento che comincia l'originalità del film. Tutto parte dal linguaggio. Si è detto che Korine decostruisce e mina alle fondamenta lo stile pop degli show giovanili, dei reality e dei videoclip (di cui pure è regista richiestissimo). Ci sembra l'atteggiamento sbagliato. La dinamite stilistica di Korine tende semmai a svelare e mutare di significato gli elementi superficiali di quel linguaggio. Utilizzare le attrici fino a poco tempo fa più popolari della fascia pre-teen significa anzitutto osservarne una crescita in cui l'aspetto sessuale divampa, incenerendo tutto il resto (quando Godard diceva che ogni film è in fondo un documentario sugli attori che ne fanno parte). Poi significa ricostruirne un'identità, senza per questo deriderne miti e consumi. Che Korine abbia di fronte una generazione azzerata, post-ideologica e autistica, è fuor di dubbio. Ma invece che imboccare la strada dell'apocalismo provocatorio - si pensi a Gummo - questa volta il regista entra nella casa e nella grammatica dei giovani che incornicia, spezza e frantuma i loro mezzi di comunicazione, eppure resta sempre "in ascolto", interessato agli improvvisi squarci di poesia e lirismo che nascono pur nel contesto dello sbriciolamento estetico di cui si nutre. E dunque una sequenza come quella in cui Alien, interpretato da James Franco, e le protagoniste in bikini, si avvicinano al pianoforte e intonano in coro una canzone di Britney Spears, apre una voragine emotiva innegabile, in bilico tra consacrazione e dissacrazione. Difficile non esserne toccati.
Ovviamente, Spring Breakers è il tipico film che si presta a reazioni polarizzate, a rifiuti netti e disgustati, così come a esaltazioni acritiche. Forse varrebbe la pena considerare l'idea che Korine movimenta un intero comparto audiovisivo, una gigantesca cultura pop giovanile, per ricordarci - e ricordare al cinema contemporaneo - che essa esiste e andrebbe coinvolta, non semplicemente abbandonata alle produzioni mediali di quello specifico settore. In fondo, il bistrattato Project X faceva un discorso simile, sia pure meno consapevole e meno talentuoso. E per chi pensa che questo "non sia cinema", si consiglia di studiare il piano sequenza della prima rapina organizzata dalle protagoniste, ripresa dall'abitacolo dell'auto che le attende per la fuga, realizzata grazie a una millimetrica organizzazione degli spazi e dei tempi. Come se Korine ci avvertisse: se voglio, lo so fare, ma Spring Breakers è un'altra storia.

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