Il bambino ribelle di Pechino
di Lietta Tornabuoni L'Espresso
Naturalmente si può anche fuggire come lepri, sentendo parlare di un film cinese ambientato in un asilo a tempo pieno di Pechino riservato a bambini di non oltre cinque anni. Invece La guerra dei fiori rossi di Zhang Yuan è interessante, bello e si occupa d'uno dei problemi contemporanei più dilemmatici non soltanto in Cina: libertà e comando, omologazione e individualismo, regole e disobbedienza, obbedienza e rivolta. L'asilo è governato con ordini imperiosi, colpi di fischietto, disciplina infrangibile. C'è un'ora esatta per alzarsi, vestirsi, mangiare, cantare, fare la cacca; c'è un modo preciso di domandare, di giocare; chi è diverso dagli altri è un reprobo in perenne punizione. All'asilo viene portato un bambino di quattro anni i cui genitori sono troppo presi dal lavoro per occuparsi di lui. Il bambino ci resta malvolentieri: è uno spirito indipendente, comincia a compiere ogni possibile trasgressione. Viene rimproverato, poi punito, poi isolato dai coetanei. Nulla lo doma: tra tanti bambini naturalmente obbedienti e timorosi, avidi di gratificazione, è l'unico autonomo. Nel duro conflitto non vince nessuno: ma si prepara almeno un futuro ribelle. Tutto è raccontato con sensibilità, intelligenza e divertimento, rendendo la metafora semplice e profonda. Il film tratto da un romanzo di Wang Shuo, montato da Jacopo Quadri, con musiche di Carlo Crivelli, è coprodotto dalla società Downtown di Marco Muller, da Rai Cinema e dall'Istituto Luce. Il regista Zhang Yuan, 44 anni, viene abitualmente colpito dalla censura cinese, spesso ancora oggi i suoi film non circolano in Cina: La guerra dei fiori rossi dovrebbe avere un destino diverso.
Da L'Espresso, 25 gennaio 2007
di Lietta Tornabuoni, 25 gennaio 2007